Ho sempre avuto un rapporto particolare con i lavandini. Con lo scarico dei lavandini, precisamente. Più volte mi è venuto di fotografarli. Con quello che restava, con quello che gli si rifletteva dentro e poi con quello che non va giù quando rimane intasato.
E così il Lunedì mattina il tuo lavandino mi predice il futuro.
Il tuo.
Il nostro.
Di nessun altro.
Solo il nostro.
Non lo leggo dai fondi del caffè, non lo capisco dai voli migratori degli uccelli. È guardandomi allo specchio con la bocca ricolma di dentifricio, che l’acqua non vuole scendere e aumenta sempre più fino a traboccare.
Il lavandino del bagno è intasato. Sono le prime parole che ti dico al telefono. Ho chiuso i rubinetti, ma niente da fare, prima o poi evaporerà.
Lo so benissimo, avrei dovuto già buttargli stamattina l’acido, quello dai mille muscoli, ma il tempo non c’era, lo sistemerò stasera, appena sarò di ritorno.
Chiusa la telefonata.
Tra le strade di una Roma per bene, giacche e cravatte fanno da sfondo ad un paesaggio che non mi appartiene. La stazione dista quindici minuti, a piedi, tra le rovine e semafori perennemente rossi. Il tempo di prendere al volo un winner taco e il treno parte e parto anch’io verso casa, con uno zaino vintage ma nuovo e una coperta in più.
E non c’è spazio per noi, quando il vuoto è pieno. Non c’è tempo per poterci dire di restare. Non c’è tempo tra i soffitti troppo alti e mura sempre più strette, tra le lenzuola pulite, tra i respiri affannati dei tuoi polmoni. Non c’è tempo tra i tasti bianchi e neri, tra le parole vomitate e non dette. Tra le sigarette. Non c’è spazio in mezzo a tutta questa gente, in mezzo ai capelli delle altre, tra i tuoi ricci e bisticci. Non c’è spazio tra le tue dita e la carta, tra il tuo passato non passato e la mattina che avanza. Tra i sogni che non fai e i tuoi desideri che non vorrei mai diventassero ricordi.
Cerco di non trattenere più nulla. Lascio tutto fluire.
E quello che rimane è solo l’acqua del lavandino che non vuole scendere, è il non tempo e il non spazio dove siamo vissuti, dove ci siamo detti che tutto passerà. Come passiamo noi, ognuno dal suo lato del letto a scivolare via in orari e modi sempre diversi.
Tu in ascensore, io per le scale.
La sincronicità non ci aiuterà.
Chi chiuderà per ultimo la porta?
Diario e Foto: Sofia Bucci
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Cuore.
Traccia due. Ab libitum ….
amo questa canzone di nicolo’ fabi. e queste parole sembrano uscite da una pagina del mio diario di qualche tempo fa … e’ stato catartico.
grazie sofia bucci.
la salvezza non si controlla.
Lasciar fluire… mossa di sopravvivenza
🙂
musica e testi all’unisono nel mio cuore
grazie uki
confermo bellissime sensazioni anche questa volta
perché’ l’acqua purifica soprattutto quando non scende……. grazie Sofia.
sotto la magia di Niccolo’ Fabi …
bel testo. molto introspettiva e affascinante questo modo di scrivere ispirati da un brano popolare. complimenti a Bucci.
bisognava buttare l acido , chi lascia per primo si salva due volte :))
una toccante canzone che si stampa sul riflesso di un lavandino che scorre acqua che passa…..che lascia e se ne va! davvero bellissimo post! sempre cose fantastiche su Uki
Bravissima S.Bucci… molto emozionante e profonda, cosi’ sincera.
” per ogni tipo di viaggio , e’ meglio avere un bagaglio leggero ” e infatti : ” E non c’è spazio per noi, quando il vuoto è pieno. Non c’è tempo per poterci dire di restare ”
e’ qui che trovo la mia dimensione malinconica della giornata 🙂
splendido post .
grazie .
Sofia, sempre precisa, sempre puntuale, sempre leggera eppure così pesante. Che bell’anima che è la Sofia.
“che bell’inganno sei, anima (mia)”