Di viaggi, di esplorazioni e di ritorni: intervista a Paolo Benvegnù

Un’antologia di visioni, dove la grazia è la molecola alla base della vita...

H3+” è il nuovo album di Paolo Benvegnù uscito il 3 marzo per Woodworm Label ed è l’ultima componente del trittico iniziato con “Hermann” (2011) e “Earth Hotel” (2014), un viaggio a tre tappe all’interno dell’anima.

«“H3+”, dedicato alla perdita, all’abbandono e alla rinascita, è un’antologia di visioni, dove la grazia, la molecola alla base della vita, riempie gli spazi tra le emozioni, conservando la memoria di quello che siamo stati e quello che saremo. “H3+”». Ne abbiamo parlato con Benvegnù proprio il 3 marzo prima dello showcase a “Na cosetta“, a Roma.

 

“H3+” è il tuo ritorno, ma è prima di tutto esplorazione, ascesa, viaggio. Cosa ha cercato Paolo Benvegnù in questi tre anni e cosa ha trovato? Hai lasciato o perso qualcosa in questo percorso?

Io ho cercato gli abissi, in tutta sincerità, che pensavo di aver toccato con Earth Hotel nella descrizione hopperiana degli interni perché pensavo che quelli fossero i miei abissi. Invece i miei abissi a un certo punto ho cominciato a percepirli ben più “gravi”, parlo della gravità nel senso che ho il peso della gravità e questo peso della gravità non sapevo se lo sentivo io, se lo sentono tutti, se è una legge universale. E poi ho scoperto una cosa che mi ha confortato molto: che siamo qui per tramandare. E questa cosa ha dato grande levità a questa gravità che avevo. Perciò semplicemente ad un certo punto ho pensato: “Scrivo un film di fantascienza per fare un disco di fantascienza insieme ai miei compagni”, che come sempre mi hanno dato una grande mano a stare a terra perché io altrimenti evaporo. Cosa ho trovato? Ho trovato questo conforto. Cosa ho lasciato? Niente, perché tramando ogni informazione anche la più brutta. In Boxes c’è la frase “Trasporto demoni e prigioni”: le prigioni son quelle di Michelangelo, che secondo me sono la bellezza assoluta, ovvero l’incompiutezza, invece i demoni sono i demoni, che sono compiutissimi e noi riusciamo a frastagliarli ancora di più. Le prigioni no, sono assolutamente imprigionate nella loro imperfezione. Perciò non ho lasciato nulla, anzi. È ovvio che però non sono più evidente nel parlare e nel tramandare informazioni, sono informazioni per piccoli iniziati. Non è una cosa elitaria, semplicemente non si può essere in sintonia con ogni cosa, da esseri umani, così come per grazia e fortuna una donna meravigliosa non può sedurre tutti gli uomini e altrettanto un uomo meraviglioso non può sedurre tutte le donne, per fortuna, altrimenti sarebbe una vita invivibile. Così in questa parzialità io non ho lasciato nulla d’intentato e lancio piccoli messaggi per quel poco che ho capito. Mi commuove il pensiero che qualcuno possa raccoglierli e farli suoi. Questo è il senso della mia vita e il senso della vita di tutti.

– Da “Earth Hotel” a “Good Bye Planet Earth”. Dalla carnalità di “Labbra” al percorso di ascesa di “H3+”. Cosa ha influito in questo processo di trasformazione?

Sono cambiato come essere umano, prima la mia visione era talmente vicina, materica. Non perché, come adesso, mi piacerebbe farne parte in quanto ineluttabilità. Vorresti essere il dominatore della materia, perciò la carnalità e la materialità hanno a che fare con questo: con il desiderio di conquista e non c’è nient’altro. Che qualcuno mi venga a dire qualcos’altro, sono pronto ad opinare per tutta la vita. Ma non è sbagliato, non è sbagliato. Io da poco ho una figlia, ha un mese e qualche giorno, ed è proprio uno stato esistenziale, cioè quando nascono la loro disperazione è legata, secondo me, al di là della fame e delle cose che tutti dicono, al non sentirsi in nessuno spazio, in nessun posto. E deve essere terrorizzante questa cosa. Il nostro materico è legato alle necessità, il desiderio di ascesi è già una cosa legata al materico. Non ci dovrebbe essere nessuna ambizione legata all’ascendere. Ascendi semplicemente quando sei in grado e sei in grado quando ti stacchi da ogni cosa. È l’unico desiderio che ho, perché tutto quello che dovevo fare nella mia vita l’ho fatto. È vero, ci sono stati tutti questi cambiamenti e meno male. Ero un piccolo uomo assolutamente imperfetto, ora sono un uomo un po’ più grande, un po’ più agé, con altre imperfezioni che non sono legate al proprio spazio nel mondo. Non perché l’abbia trovato ma perché ho capito che non ha alcun senso.

 

– La contaminazione è uno dei tratti distintivi della tua scrittura: il concreto, il visionario, l’inglese, il linguaggio scientifico. Potremmo dire che questo è il tuo modo di rendere la complessità dell’uomo e la profondità di ciò che ci circonda?

Non so se questa è una maniera utile, però sono convinto dell’interdisciplinarietà degli studi umani, nel senso: una conquista nel campo della fisica ha necessariamente un riflesso anche nel campo dell’economia, che è normale, o dei grandi passi in avanti nella matematica sono anche decisamente dei grandissimi passi in avanti anche nella filosofia. Questo mi piacerebbe riuscire a far capire a mia figlia, ma in generale: bisogna studiare non perché bisogna occupare un posto nel mondo ma semplicemente perché riesci a comprenderlo e a essere utile agli altri. È vero, faccio un grammelot, una grande mescolanza di piccole suggestioni, che non conosco necessariamente in maniera profonda. Magari la cosa che conosco in maniera più profonda è l’esplorazione del sé, ma anche perché il mio percorso ha a che vedere con questo e in questo posso essere utile a qualcuno che magari è in un momento di sperdimento. Anche semplicemente per dirgli “Sì, perditi pure, non aver paura. Ritorna”. In questo disco, in particolare, c’è l’idea di questo esploratore, Victor Neuer, in un futuro in cui l’inglese è la lingua da colonizzatori, anche nello spazio: questa è la piccola immaginazione, perciò ci sono tantissimi termini inglesi. Se l’avessi pensata ambientata tra cinque-seicento anni, l’avrei resa in cino-teutonico o in tedesco-cinese.

 

– Nei tuoi album sono presenti diversi personaggi, reali o non. Se dovessi farli interagire, dove li collocheresti? Sul palco di un teatro? Sullo schermo di un cinema?

Devo dire che come partenza normalmente penso sempre al soggetto cinematografico, però non ho né il talento né la pazienza né soprattutto il carattere per poter fare regia. Ma soprattutto nemmeno le basi tecniche per poterlo fare. È soltanto una piccola immaginazione. Invece li collocherei, non so per quale motivo ho da tempo questa suggestione, davanti ad una spiaggia ad ascoltare il rumore del mare, mi sembra la cosa più vicina alla nostra nascita e alla nostra capacità di esplorare il diverso. Quella che sembra monotonia è invece, secondo me, un grande sussurro che dovremmo cercare di ascoltare. È più una considerazione poetica che una considerazione legata al senso dell’ambiente o a come gli uomini dovrebbero avere a che fare con ciò che li circonda. Non so, io tanti dei miei momenti più belli e importanti li ho passati semplicemente ascoltando quello che succede nel mondo. Ad esempio ieri sera un momento del genere l’ho vissuto paradossalmente a Roma, in zona Prati, ma era notte, c’era silenzio, c’erano tutte queste case abitatissime ma disabitate e mi è sembrato di vedere le panchine che sorridevano. Probabilmente perché sono miope e allora posso immaginarmi ogni cosa, ma mi è parso proprio bello. Perciò ieri sera questo posto per me era Roma.

 

– Hai affiancato la tua carriera di cantautore a quella di produttore artistico: cosa ne pensi della scena musicale contemporanea? Credi ci sia sostanza oltre la forma?

Di forma ce n’è tanta, hai ragione. Ce n’è troppa. Prendo un po’ posizione. Una volta ero molto colpito dalla mancanza di esplorazione nella musica d’intrattenimento, lo dico in tutta sincerità, perché per me la musica d’intrattenimento è bella, faccio un esempio, “Pensiero Stupendo” di Ivano Fossati, scritta per Patti Pravo, è un’intuizione, è un’esplorazione della propria sensualità, della propria sensualità verso l’altro, quasi un risvolto pirandelliano tra amanti, e perché no, anche del torbido di una relazione. Questo per me è avere una forma e avere una sostanza. E poi Calvino, leggerezza e profondità… “Lezioni americane”. Sì, ritengo che ci sia molta profondità adesso, invece. A proposito della forma, c’è anche tanta sostanza, che viene allontanata quasi con disprezzo dalle persone che ascoltano e non sto parlando di me, che sono già molto fortunato ad avere degli uditori, io e i miei compagni siamo, per certi versi, privilegiati in questo momento storico nell’avere delle persone che vogliono avere a che fare con noi. È un grande privilegio e ce ne rendiamo conto. Però secondo me di grandi scrittori in Italia ce ne sono: c’è Ettore Giuradei, che è uno che scrive benissimo, ha veramente una poetica altra, vera tra l’altro. Faccio altri esempi: Fabio Cinti, al di là del fatto che abbiamo lavorato insieme, oltre ad essere una persona meravigliosa, è anche una persona che ha delle capacità e delle intuizioni nel concreto, poi espandendole in concetti universali, che sono meravigliose. Paradossalmente c’è più ricchezza rispetto a quello che era il periodo d’oro dei cantautori, come si diceva una volta. E poi ci sono tantissimi gruppi giovanissimi e bravissimi: i Cieli di Turner sono un gruppo di Perugia, sono un gruppo giovanissimo che ha fatto pochissimi concerti, ma li ho visti e per me è stata una folgorazione. Hanno un’energia bellissima, però non slegata da un’idea del mondo: questo vorrei. In effetti, è vero che sono preoccupato un po’ per la vittoria dell’intrattenimento rispetto al pensiero, la vittoria del pecoreccio rispetto all’esplorazione filosofica, ma non dei testi filosofici. Soprattutto sono molto turbato dal fatto che l’80⁒ delle persone in Italia guardi il dito e neanche la luna, già guardar la luna è poco, ma guardare il dito… anzi, non vedere neanche il dito è veramente notevole. Io capisco che il quotidiano e il personale rubino molte energie però avere uno sguardo ulteriore verso le cose, a parte il fatto che dà un grande conforto nell’affrontare la vita che comunque è terribilmente meravigliosa, come dico spesso, o meravigliosamente terribile, a seconda di come uno voglia vederla. Io lo dico con tutta franchezza, quando ero giovane, quando ero bimbo addirittura, non pensavo che fosse presente questo irrigidimento del pensiero. Pensavo fosse un problema delle generazioni precedenti. Invece trovo che la mia generazione sta facendo a voi ciò che la generazione dei miei padri e dei miei nonni ha fatto con me, ovvero un certo irrigidimento nelle posizioni. Chiudere dei muri protegge da tanti mali ma occlude anche lo sguardo. Mi auguro che voi sarete diversi, lo spero tanto. Soltanto con l’essere concentrati, con lo studiare le cose, con lo sguardo ulteriore possiamo uscire da questo stato così controriformistico del mondo. È incredibile, mi sembra di vedere scultori venduti come se fossero detersivi per piatti, cantanti che sembrano marche di auto. Però, detto questo, mi piacerebbe fare di nuovo il produttore perché è una cosa che mi appassiona molto, perché posso tramandare dei valori. E sono fermamente convinto che questo sia un momento di grande opportunità: chi scrive bene non deve deprimersi, deve semplicemente continuare a scrivere bene, anzi migliorare perché le cose vengono conosciute soltanto se vengono dallo Spazio oppure se c’è qualcuno di veramente grande che fa un investimento su di te. E infatti mi stupisce vedere grandi personaggi che non aiutano questa scena.

 

Veronica Della Vecchia

Foto: Sofia Bucci

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