Vendunt vitae: la malia dell’informatica invasiva – Uki/Steve Jobs (Part. 5)

La trappola del fissare una vita sul digitale

Il debito divino: l’origine ecclesiale del “debito pubblico” e lo sfondo socio-politico del neoliberismo.
Un viaggio alla scoperta dell’origine del male che affligge i popoli, attraverso le pieghe del tempo e dello spazio, alla ricerca della consapevolezza. La finanza ed il debito hanno convertito l’uomo in uno zombie, uno schiavo ormai inconsapevole. Trovare l’origine di questo male potrebbe fornire una soluzione, un antidoto

 

Una nuvola densa e colorata si spandeva tutta intorno ad Uki. Lo “psicocrononauta” cibernetico non riusciva a recuperare l’orientamento.
Una voce, prima da lontano e man mano sempre più vicino, lo invitava ad alzarsi in piedi.
«Alzati Uki, il futuro non aspetta chi aspetta il futuro».
Uki si alzò sulle sue gambe come fosse il barone di Munchausen.
Poco a poco la densa nuvola si diradava ed improvvisamente Uki si ritrovò di fronte un uomo, una figura quasi anonima. L’uomo indossava un paio di scarpe da ginnastica, dei blue jeans ed un maglione scuro dolcevita.
«Aspetta, io so chi sei», esclamò Uki.
«Tutti sanno chi sono», rispose l’altro.
«Tu sei…» ma l’uomo lo interruppe.
«Io sono colui che ha capito prima di chiunque altro che quelli come te sarebbero inevitabilmente diventati reali e che proprio su quelli come te avrei creato la mia fortuna».
«Quelli come me?», rispose Uki.
«Quelli come te! Una fusione tra macchina e biologia… una questione di sopravvivenza e, nonostante io non sia sfuggito al trapasso, persino tu, che provieni da un futuro lontano, mi hai riconosciuto».

“Steve Jobs”, sussurrò Uki.

Uki non capiva, non era certo stato Steve Jobs il più grande genio dell’informatica né tanto meno un religioso, una divinità, un banchiere, una figura a cui l’umanità si era rivolta per sfuggire all’inevitabile scorrere della vita , al tempo, alla mortalità.
C’era una certa distonia tra questo incontro e quelli precedenti eppure il suo viaggio l’aveva condotto li, di fronte al celebre Steve Jobs.

UKI: Con tutto il rispetto, Perché sto parlando con te? Tu non sei certo il tipo di persona che possa aiutarmi a trovare le risposte che cerco.
STEVE JOBS: Caro ibrido, sei proprio sicuro di quello che stai affermando con tanta veemenza?
UKI: Piuttosto sicuro!
JOBS: Su via, guardati allo specchio, non vedi di che cosa sei fatto? Sei la commistione tra umanità ed inumanità.
UKI: Credo di sapere chi e che cosa sono. Mi avete trasformato voi con le vostre automatizzazioni in questo ibrido. Io mi sono fermato giusto in tempo…
JOBS: E sai anche perché sei ciò che sei?
UKI: Suppongo di si, così sono stato creato. Tant’è!
JOBS: Sbagliato! Tu sei così perché è quello che io ho voluto.
UKI: Tu?
JOBS: Certo, non si può negare, al tempo in cui camminavo sulla terra c’erano persone molto più capaci di me nel ramo dell’informatica, basti pensare al caro vecchio Bill. Nessuno però più di me ha saputo guardare avanti, sognare ed immaginare l’interesse reciproco tra uomo e macchina.
UKI: È noto che tu abbia fatto tutto ciò che hai fatto non per amore del progresso ma per mero profitto.
JOBS: Esatto “mezza macchina”, esatto. Il profitto ricavato dal rendere indispensabile l’interazione tra uomo e macchina. Tutto quello che ho fatto l’ho fatto perché ho saputo predire il futuro, perché ho saputo disegnare un avvenire in cui l’uomo e la macchina sarebbero diventati una cosa sola.
UKI: E con questo? Oltre a confermare che questa fusione è a dir poco scellerata e pericolosa, non riesco a capire cosa questo possa avere a che fare con il mio viaggio.
JOBS: Tutto il tuo viaggio ha a che fare con me, “figlio mio”. Io ho visto la razza umana diventare schiava di un piccolo schermo, una piccola macchina in cui impacchettare un’intera vita, un’esistenza piena di scadenze, pagamenti, fittizie interazioni sociali, ricerca di attenzione, notorietà, sesso, opinioni e tutto questo per cosa? Esattamente per tutto ciò che riconduce al debito, alla fuga dalla morte e dall’anonimato.
UKI: Cosa intendi dire?
JOBS: Perché mai riempire un computer con tutte le cose che fanno parte della nostra vita? Abbiamo forse paura che la vita non sia abbastanza? Vogliamo di più? Vogliamo più di quanto il corso naturale degli eventi ci concede di avere? L’essere umano è talmente ossessionato dalla paura di svanire nel nulla che è disposto a comprimere in un file tutti gli aspetti importanti della propria vita; ma con che risultato?
UKI: Dimmi Steve, con che risultato?
JOBS: Il risultato è non avere alcuna vita, perché ridurre la propria esistenza ad un database di foto, reazioni dopaminiche dettate da un “MiPiace” non è vita, è isolamento.
UKI: E questo cosa c’entra col debito? In cosa ha a che fare col male?
JOBS: Rifletti ‘figlio mio’…

.
Continua….

 

Leonardo Pierri

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