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Il diritto di voto e l'inconsistenza della politica sui fondamenti costituzionali: quando il padrone chiama l'Italia risponde

Abbiamo assistito ad una campagna elettorale tra le più squallide e puerili della storia della Repubblica italiana e nonostante ciò ci siamo recati alle urne per esercitare il nostro diritto di voto che per un malinteso senso di responsabilità verso la comunità intera ci viene propinato come un dovere, come l’imposizione ad ottemperare alla richiesta di partecipazione alla vita politica.
Sui teleschermi, in prossimità di qualsivoglia tipologia di elezione a cui siamo chiamati a partecipare, compare con ritmo piuttosto fitto un messaggio che risuona nelle teste dei telespettatori quasi come un’intimidazione: “votare è un diritto ed anche un dovere”.
Questo non è vero.
Votare è soltanto un diritto ed è un diritto che si può esercitare solo se esiste un sano criterio di rappresentanza, un meccanismo che permetta ai cittadini di una nazione di sentirsi pienamente rappresentati da individui coscienti di essere investiti di un altissimo dovere ed un grande onore.
La Costituzione della Repubblica italiana recita: «Gli individui che esercitano una pubblica funzione sono chiamati ad assolvere a tale compito con disciplina ed onore»; proprio quella stessa Costituzione che con un voto quasi plebiscitario abbiamo difeso in occasione del Referendum del 4 marzo 2016 concernente le riforme costituzionali che il governo Renzi proponeva.
Certo non possiamo ricordarci del valore della Costituzione solo quando ci fa comodo o quando vogliamo utilizzarla come strumento di difesa per ricordare ai nostri avversari politici che certi principi contengono una sorta di sacralità.
Sebbene il testo redatto dai padri costituenti racchiuda in sé gli elementi fondanti della nostra società intesa come sistema votato all’economia, al lavoro ed al progresso, dovremmo ricordarci e ricordare a tutti i nostri concittadini che la Costituzione è soprattutto un testo di pace.
Pace è una parola che solo apparentemente comprendiamo ma che pare essere una certezza e proprio in virtù di ciò fatichiamo a rammentarne il significato.
Per il vocabolario della lingua italiana Treccani la parola pace non ha un significato proprio ed infatti è definita come “Condizione di normalità di rapporti, di assenza di guerre e conflitti, sia all’interno di un popolo, di uno stato, di gruppi organizzati, etnici, sociali, religiosi, ecc., sia all’esterno, con altri popoli, altri stati, altri gruppi”; tradotto “assenza di guerra”.
Pace dunque è definita come condizione relativa e non come uno stato naturale degli eventi.
Questo dovrebbe farci riflettere sulla natura dello stato apparente di calma, sull’illusione di una pace che viviamo quotidianamente ma che nei fatti non esiste e dovremmo domandarci se il nostro Paese stia o meno vivendo una condizione corrispondente alla definizione succitata.
Proprio la nostra Costituzione recita all’Articolo 11: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».

Proprio in onore di quanto recitato all’articolo 11 ho ascoltato con piacere ed interesse l’intervento di Gino Strada, fondatore di Emergency, il quale durante un’intervista video rilasciata pochi giorni prima delle elezioni politiche del 4 marzo scorso, ha ribadito l’intenzione di non esprimere alcun voto verso nessun candidato.
La sua scelta sarebbe stata legata proprio al continuum sempre espresso da tutte le forze politiche, senza eccezione alcuna, nell’esercitare violenza proprio su quell’articolo 11 che impedirebbe al nostro Paese di prendere parte ad ogni tipo di conflitto.
A ragion veduta, tramite le cosiddette missioni di pace, l’Italia si è impegnata nel 2017 in diversi conflitti critici, sparsi in 24 paesi impegnando sul campo 7459 uomini delle forze armate e 167 appartenenti alle forze di polizia, per una spesa complessiva calcolata di 1,132 miliardi di euro.
Come paese membro della NATO l’Italia nel 2017 si è impegnata in Kosovo, dispiegando una forza di 538 uomini per una spesa parti a 78 milioni di euro.
Inoltre l’esercito italiano è impegnato sul fronte africano con contingenti in Mali ed in Niger, nonché nel corno d’Africa con 400 uomini e due unità navali ed in Egitto con 75 soldati.
In Medio Oriente il nostro esercito è impegnato in Libia e fornisce un contingente di 1125 uomini e 303 mezzi terrestri, per una spesa complessiva pari a 153 milioni di euro.
In Turchia le risorse umane impegnate sono 136, mentre in Afghanistan sono 900 più 148 mezzi terrestri, con un costo pari a 147 milioni di euro.
Ma non finisce qui; lo Stato Italiano, sotto il governo Gentiloni, infatti ha svolto anche il ruolo di finanziatore, elargendo – sempre con riferimento all’anno 2017 – 295 milioni di euro da destinare alle “missioni di pace”, di cui 111 volte a migliorare le condizioni di vita dei paesi in fase di ricostruzione post-bellica.
In sostanza prima radiamo al suolo e poi ci proponiamo come salvatori e ricostruttori – U.S.A. Docet.
Alla luce di quanto riportato credo proprio che Gino Strada abbia ragione nel considerare la nostra classe politica non solo incapace di governare ma, bensì, anche inconsistente nel momento in cui si dovrebbe far rispettare quella Costituzione che tutti – e nessuno escluso – van sventolando come un trofeo quando si tratta di raccogliere voti e che poi stracciano quando si tratta di applicarla.
La nostra Costituzione ripudia la guerra e cerca di definire un concetto di pace che vada al di là della mera assenza di conflitti.
Proviamo a ricordarlo, soprattutto a noi stessi, nel momento in cui saremo nuovamente chiamati alle urne per esprimere il nostro desiderio di rappresentanza.
Ricordiamo a chi voteremo che pretendiamo di essere rappresentati in quanto cittadini di un paese che ripudia la guerra.

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Leonardo Pierri

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8 Comments

  • i dati riportati da Pierri sono disarmanti.
    e’ vergognoso che ancora ci troviamo in quei luoghi solo per spalleggiare politiche imperialiste …..
    e’ importante rimarcarlo sempre sempre !!!

  • Il voto di protesta , che si può esercitare come stabilito dalla legge , è l’unico modo pacifico per dare un segnale forte alla politica. Oltre c’è la rivolta

  • fino a quando il32% e affiliati degli italiani voteranno o appoggeranno il precedente governo non c’è speranza….

  • –è assurdo …ed ancor di più a mio parere perchè si gioca sui termini del “benpensiero” (politically correct)..quindi non diciamo più entriamo in guerra, ma andiamo a portare la pace…e ci sentiamo fieri, felici e in un mondo perfetto e soprattutto liberi , ma in realtà falsamente “ipersedati”…chè se dicessero , come è la realtà, andiamo in guerra…ci sarebbero rivolte, manifestazioni di studenti, di pacifisti di pensionati..tutti giù a dire male e indignarsi ..semplicemente per poter essere e diventare cari e buoni ” portartori di pace”.

    Grazie Leonardo per l’articolo più che stimolante.

  • Articolo 52. La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici. L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica.

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