Underdocks: “Re-Burnt” – il nuovo disco contro la vanità odierna [intervista esclusiva]

Il lavoro denuncia chiarissime influenze grunge, anche se convertite in un sound contemporaneo, influenzato dall’indie e dall’alternative..

“Re-Burnt” è il vostro nuovo album. Parlatecene un po’: com’è nata l‘idea di questo lavoro discografico, cosa rappresenta per voi, quali sono le vostre aspettative?

Non parlerei di “idea” ma di fenomeno spontaneo, che deriva dall’esigenza di materializzare in musica lo sfogo di tante nostre repressioni, dando alla luce un lavoro che ha avuto un concepimento immediato e inaspettato, ma una gestazione lunghissima dovuta ai cambi formazione. Per noi rappresenta il modo migliore per ballare strillando su tutta la merda calpestata in passato, una liberazione che ci fa sentire un metro sopra al fango in cui si nuota ogni giorno.

 

Come nascono gli Underdocks?

Io (Carlo) e Gigi suonavamo entrambi in una band precedente, ma avevamo bisogno di qualcosa di più primordiale, di pancia, così abbiamo iniziato con qualche riff e ritmica primitiva, poi trovando quasi casualmente il cantante Corrado Macchiarelli (che si scopre essere un amico di infanzia di Carlo mai più frequentato), ci abbiamo aggiunto le melodie. Un incontro di gusti e vapori da sbollire del tutto fortuito, cose che capitano poche volte nella vita.

 

Quali sono le vostre principali influenze artistiche e musicali, e quali di esse sono più presenti in questo album?

Ci piacerebbe che rispondessero i nostri ascoltatori, non ci piace attaccarci etichette o meglio ci piace essere inconsapevoli dei nostri distillati di influenze. Sicuramente tutto il grunge anni 90, con qualche tendenza metal crossover ed una costante ricerca rock alternative.

 

Su cosa vertono le tematiche del disco e dei brani? C’è qualche tema in particolare che vi è caro e che siete soliti affrontare con la vostra musica, o seguite solo l’ispirazione del momento?

Seguiamo l’ispirazione del momento, tanti pezzi sono ispirati da storie sentimentali malate (lo ammettiamo siamo dei romantici), altri hanno dimensione totalmente onirica. Ricorre spesso anche il rifiuto della vanità odierna in senso più generale.

 

C’è o ci sono uno o più brani del disco a cui siete particolarmente legati, e perché?

Burnt è stato il primo brano ed anche il più istintivo, una sorta di primal scream che non dimenticheremo. All the Stories of My Mind, perché ognuno può farla sua per sciogliere i nodi delle proprie contorsioni mentali. Begging God, perché vola a 10 metri da terra..

 

Nel vostro modo di comporre avete un approccio più spontaneo ed istintivo, oppure più “calcolato” e ragionato (ad esempio valutate l’impatto che un brano avrà sul mercato, a chi potrà piacere, cosa “va” in quel momento, cercate un titolo d’impatto..)?

Esiste una forma d’arte che non sia spontanea e istintiva? Lol …

 

Si legge dalla vostra biografia che il vostro comune terreno e quello del Post-Grunge, genere che «Vi comprende ma non vi identifica, perché trattato più come un set di “strumenti di lavoro” che non come una vera e propria etichetta». Cosa intendete dire con questo? E se doveste dirci quale genere musicale fanno gli Underdocks?

Tutti siamo cresciuti a pan di stelle e grunge, ma non ci piace congelarci in uno stile musicale specifico, il mantra che ci accomuna va ben oltre la corrente stilistica specifica, è la convinzione che nella semplicità si possa nascondere il genio e il valore artistico, quello migliore. Come dire raschiamo la sostanza dal fondo del barile o una bella scarpetta sul fondo della pentola… midollo!

 

Qual è stata fino ad ora l’accoglienza del pubblico e del mercato nei confronti del vostro lavoro?

Gente che abitualmente non ascolta nessun tipo di rock, che va a correre con la nostra musica sparata in cuffia, devo aggiungere altro?
Per quanto riguarda il mercato… devo aggiungere altro? Lol …

 

Con la crisi dell’industria discografica da tempo in atto, quali sono secondo voi gli sbocchi più proficui per un nuovo artista ed un nuovo disco, sia dal punto di vista più prettamente “economico”, ma anche rispetto alla visibilità e alla possibilità di raggiungere un certo successo di pubblico?

Sembra utopia, ma vorrei che lo sbocco per gli artisti fosse il ritorno alle cantine dove si suonano i propri lavori, magari live su Periscope, YouTube o Facebook per chi proprio non vuole andare in cantina. Vorrei che fosse il pubblico a mettersi “a caccia” dei nuovi talenti e non i talenti a cercare pubblico. Magari un sistema di retribuzione agli artisti basato sul numero di connessioni spontanee. Ma tutto ciò può nascere solo da una cosa, una scintilla che risvegli la coscienza artistica delle persone, nella voglia di cercare l’arte nelle salette ammuffite, senza bisogno di un riflettore robotizzato programmato in Java.
Progetti per il futuro e dove possiamo ascoltarvi?

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