Una vacanza diversa

di Melog

Era una calda giornata di fine settembre e l’unico taxi della stazione che ero riuscito a trovare, con un incredibile rumore di ferraglia, stava arrancando attraverso un’immensa pianura costellata di alberi spogli che sembravano tendere braccia scheletriche al cielo. Avevamo da poco lasciato dietro di noi le ultime case del paese, dove, tra le mura annerite dal tempo, avevo potuto vedere, non senza un certo disagio, bambini sudici intenti a rovistare tra i rifiuti.

– È sicuro che sia la strada giusta? – chiesi all’autista, mentre infilavo l’indice della mano destra dentro il colletto della camicia per non soffocare, – La persona che mi ha consigliato l’albergo Eden parlava di delizia e gioia, non mi sembra davvero di andare verso la delizia e la gioia.- Il tassinaro non rispose, pensai che probabilmente il rumore del motore e le vibrazioni della carrozzeria avessero coperto le mie parole e ripetei la domanda con maggiore vigore. L’autista seguitò a tacere. Cercando di spiare il suo viso attraverso lo specchietto retrovisore capii che aveva sentito benissimo entrambe le volte la mia domanda e se taceva era perché non voleva rispondere. Ripensando a quanto era avvenuto sino allora mi resi conto che quello strano essere deforme, che ora mi stava conducendo attraverso l’inferno, non aveva proferito una sola parola sin da quando ero salito sulla sua macchina. Anche quando mi ero avvicinato per chiedergli di portarmi all’albergo Eden, si era limitato ad emettere uno strano grugnito e ad aprire la portiera per farmi entrare. Non avevo altro da fare che affidarmi a lui senza pretendere di avere un contatto con lui e, socchiudendo gli occhi, mi adagiai indispettito nei miei pensieri. Sotto il sole infuocato la lamiera dell’auto divenne sempre più arroventata e l’aria dell’abitacolo si fece irrespirabile. Credo di aver perso conoscenza perché quando riaprii gli occhi il paesaggio era mutato e la vettura stava avanzando penosamente attraverso una vegetazione che diventava sempre più fitta e buia.  Smarrito guardai fuori dal finestrino e non capii se stessimo salendo o scendendo. Ero sul punto di gridare all’autista di fermarsi, quando questi, giunto su di uno spiazzo pianeggiante, inchiodò la macchina

– Vede quel muraglione dal colore grigio scuro? – disse con voce laconica e piatta, mentre indicava un punto indeterminato nello spazio – ..là dietro c’è l’albergo Eden.-

– Ma allora lei parla! Non è muto! Perché prima non mi ha risposto?

– Più avanti troverà il cancello.- seguitò sempre con lo stesso tono di voce piatto – ..a me non è concesso di andare oltre – e, senza emettere un altro suono che avesse la minima parvenza di una parola, allungò il braccio all’indietro e aprì la portiera posteriore.

Capii che sarebbe stato inutile insistere oltre e scivolai fuori dall’abitacolo, mi sgranchii le gambe, inspirai profondamente e mi misi a scrutare l’orizzonte alla ricerca de l’annunciato muro. Nulla di nulla. Mi voltai allora verso il taxi per avere maggiori spiegazioni e pagare anche la corsa ..era sparito, senza emettere il minimo rumore, era inspiegabilmente sparito. Per nulla turbato, anzi, un poco soddisfatto di risparmiare del denaro ( magari, avrebbe avuto anche la faccia tosta di chiedermi la mancia) mi misi a ripensare in quale modo fossi arrivato a trovarmi in quella strana situazione.

Era da tempo che ogni estate venivo ripetendomi che per quell’anno avrei trascorso una vacanza diversa dal solito, poi era sempre finito che, vuoi per pigrizia, vuoi per paura di cadere nelle reti di qualche imbroglione, avevo optato per ciò che offriva l’agenzia convenzionata col mio ufficio. Quell’anno, era metà settembre, mentre me ne stavo nell’atrio dell’ufficio accanto alla macchina del caffè, sentii uno dei dipendenti parlare delle vacanze che aveva appena trascorso e dell’albergo Eden. Dalle frasi rubate avevo capito che doveva trattarsi di un posto indimenticabile. Nel suo parlare non aveva fatto altro che ripetere che non riusciva a decantarne sufficientemente le lodi e che non trovava parole o paragoni per descriverlo, poteva dire, al massimo, solo cosa non fosse. Lo attesi all’inizio del corridoio che ci avrebbe riportato nelle nostre stanze e, senza troppi giri di parole gli chiesi di fornirmi l’indirizzo di quel paradiso. Quello, dopo avermi osservato con diffidenza e una punta di fastidio, rispose che non era cosa facile far parte dei frequentatori dell’albergo “Eden” e che, comunque, occorreva trovare qualcuno che perorasse la propria causa. Non mi persi d’animo e lo pregai di intercedere per me presso chi di dovere, avrei saputo essergliene riconoscente. Per tutta risposta il collega negò di essere uno dei pochi privilegiati, poi, alle mie insistenze si schernì affermando di non essere all’altezza di raccomandare qualcuno e, infine, vista la mia ferma decisione a giungere ad un risultato, acconsentì a fare il possibile per venire incontro alla mia richiesta.

Fu così che un pomeriggio, all’uscita dall’ufficio, fui avvicinato da un barbone che, senza allungare la mano per elemosinare, mi rivolse la parola con un fare molto deciso

– Lei ha bisogno di me, ..vero? –  Ero già pronto a dargli poche lire pur di levarmelo dai piedi, quando con la coda dell’occhio vidi di trafilo e poco distante da noi il collega che avevo fermato nel corridoio che con un gesto della mano mi incitava a rispondere a quella strana domanda.

– Credo di si – risposi incredulo

– Bene! – rispose il barbone e, senza la minima esitazione, allungò la mano destra sudicia per afferrare il mio volto e, facendolo ruotare a destra e sinistra, osservare attentamente le mie labbra, gli occhi e le orecchie, poi sentenziò  – Non credo che lei sia adatto, il suo aspetto testimonia contro di lei, ..tuttavia non si sa mai, laggiù sono molto clementi e può anche darsi che l’accolgano. Ecco la lettera di presentazione che ha richiesto, la consegni in portineria non appena giungerà lì – e così dicendo mi mise in mano una busta sigillata.

Nei giorni successivi il collega mi dette tutte le indicazioni per raggiungere l’albergo Eden.

 

Improvvisamente il muro mi apparve tra il verde. Mi soffermai per un attimo ad osservare quell’immane ammasso di pietre dall’aspetto un po’ sinistro e, con un vago senso di vittoria, lo accarezzai con lo sguardo. Raccolti i bagagli, mi misi alla ricerca del cancello d’ingresso che mi avrebbe introdotto nella mia vacanza diversa. Lo trovai e, non appena varcai la soglia, si presentò davanti a me uno spettacolo che aveva dello stupefacente: in un ampio e rigoglioso parco c’era disseminato un imprecisato numero di ombrelloni bianchi. Sotto ogni ombrellone se ne stava, comodamente adagiata, una figura dall’aspetto umano avvolta in un’ampia veste bianca. Tra costoro, che apparivano chiaramente essere gli ospiti, si muovevano velocemente, quasi volando e in assoluto silenzio, un centinaio di camerieri, anch’essi vestiti di bianco. Di tanto in tanto qualcuno degli ospiti, senza un ordine prestabilito e come se fosse stato punto da un insetto, si alzava di scatto e si trasferiva sotto un altro ombrellone e lì, senza troppe formalità, si abbandonava a calorosi abbracci con chi già dimorava lì sotto.  Con un cenno della mano, cercai di attirare l’attenzione di uno di quei fugaci camerieri, ma il mio braccio fu bloccato a mezz’aria, mi voltai e vidi un portinaio dall’aspetto arcigno che, senza troppi complimenti, mi rivolse la parola con fare imperioso.

-..Voglia farmi la cortesia di seguirmi –

– Credo di avere qualcosa per lei – risposi con ostentata sicurezza mostrandogli la lettera che mi aveva dato il barbone

– Non a me ..e poi ora non serve più. Le ripeto, abbia la compiacenza di seguirmi – e, senza aggiungere altro, si incamminò attraverso il parco.

Lo seguii in un intricato dedalo di viottoli, ne contai circa 32, infine giungemmo davanti a un grande edificio con le inferriate alle finestre. Il portinaio, invece di farmi entrare dall’ingresso principale, mi sospinse verso un portoncino secondario sul cui architrave potei leggere, non senza stupore, il mio nome scritto in lettere sbiadite. Oltrepassata quell’angusta soglia scendemmo lungo una rampa di dieci scalini umidi e in pessimo stato e alla fine di uno stretto corridoio sbucammo in una specie di ampio scantinato.  Lo sbalzo di luce che mi aveva reso quasi cieco perse il suo effetto e, poco alla volta, scorsi nella penombra, addossato contro un muro, un grande tavolo scuro da ufficio e, dietro di esso, tre vegliardi, in piedi, avvolti in una toga sdrucita.

– Saluta i giudici! – disse il portiere affibbiandomi una gomitata nel fianco che mi fece piegare in due. – Dipende da loro se la tua permanenza qui sarà accettata. –

-Come? – replicai – Ero convinto che fossero sufficienti le assicurazioni che vi hanno fornito su me.- I tre austeri personaggi scoppiarono in una grassa, vigorosa e sgangherata risata

– Tutti così.. – disse il portiere osservandomi con senso di superiorità frammisto a una certa pena – ma poi..

– La stavamo aspettando – proruppe il più anziano dei tre giudici, e fatto un cenno ai due colleghi che gli stavano a lato li invitò a sedersi.

– Vede, mio caro amico, – disse il giudice di destra – anche se l’albergo Eden è una associazione benefica cui si accede per grazia e segnalazione, ciò non è sufficiente per acquisire il permesso di permanenza, occorre guadagnarsela.-

— ..Può anche darsi che a lei sia concesso solo il privilegio di saperne l’esistenza e nulla di più. – commentò il giudice di sinistra.

– E questo è già un merito – concluse il primo giudice.

– Ma io .. – cercai di ribattere, poi tacqui, avevo capito che ogni protesta sarebbe stata inutile. – Sono pronto ad essere esaminato da voi. – soggiunsi chinando la testa e mi abbandonai pesantemente sullo sgabello sgangherato che il portiere mi indicava con mossa imperiosa.

– Innanzi tutto – riprese il giudice più vecchio – deve sapere chi è il fondatore dell’albergo Eden. Ebbene non si sa chi sia, ne’ dove viva ..e neppure cosa faccia. Questo è fondamentale! Il nostro fondatore e benefattore ci ha lasciato una quantità incredibile di rigide indicazioni per la sua conduzione, per l’esattezza 613. Sappiamo che ci sorveglia, ma non sappiamo come. A volte crediamo di comunicare con lui, ma è una pia illusione. Non ci resta altro da fare che attendere il giorno in cui verrà qui, tra di noi, per controllare di persona il nostro operato e, forse, ci farà dono del suo apprezzamento per il modo in cui abbiamo portato avanti il suo progetto. Le è tutto chiaro?

— Si – balbettai

– Bene! ..Come avrà potuto notare qui non esiste un attimo di sosta: tutto è in costante movimento. ..Guai fermarsi, sarebbe un insulto all’istituzione, a se stessi e agli altri. Non speri di passare inosservato! È impossibile! È come se ognuno di noi fosse dentro gli altri e gli altri in lui. Non si sfugge. Ci conosciamo tutti, ma non per nome, siamo solo numeri e cifre. È vietato parlare! Le parole sono troppo importanti per essere gettate al vento, occorre essere sicuri di quello che si dice, ma, lei me lo insegna, la sicurezza non è di questo mondo e dalle parole buttate al vento nasce la distruzione. È tassativamente proibito allacciare contatti solo per prova, ogni avvicinamento equivale ad uno stretto rapporto ..del resto, visto che nessuno di noi si ritiene estraneo agli altri, sarebbe impossibile fare altrimenti.-

Incominciai a temere che si stessero burlando di me, io desideravo soltanto fare una vacanza rilassante, si, è vero, non avevo escluso la possibilità di fare nuove conoscenze femminili e stringere rapporti che, chissà, forse, in futuro, avrebbero anche potuto sfociare in un matrimonio, ma sinceramente mi parve che quelle tre persone facessero di tutto per farmi desistere dal rimanere

– Ma come faccio a prendere contatto con una persona se non la conosco? ..Sono appena arrivato! – azzardai con foga, poi mi calmai e, con voce pacata, proseguii – ..Mettiamo, per esempio, che io desiderassi fare amicizia con una donna..

— Nulla di più facile! – proruppe il giudice più vecchio – Lei, tramite un cameriere, spedisce un messaggio alla donna che, anche se velata, l’avrà colpita in modo particolare e questa, se ne avrà il desiderio e la voglia, verrà presso di lei ..tuttavia, se lo ricordi bene, la donna non è tenuta a risponderle per forza, potrà anche ignorarla, ma, se verrà presso di lei, sarete liberi di amarvi, anche per tutta la giornata, ..poi, dovrete lasciarvi.

– Ma è folle! Non è possibile! Io desidero sapere di più, conoscere bene chi sia, cosa abbia fatto prima, cosa farà dopo, da dove venga, dove andrà..non posso accontentarmi di quello che voi mi concedete! –

– Come le è già stato accennato – disse con estrema pazienza il giudice di destra – qui non è permesso il possesso prolungato, l’isolamento, anche di due sole persone, sarebbe la fine dell’armonia.

-Ma io pago! – gridai e, dicendo queste parole, infilai la mano sotto la giacca per prendere il portafogli e sventolare uno di quei foglietti colorati che sapevo aprire tutte le porte. Mentre il giudice più vecchio chinava la testa ed iniziava a piangere sommessamente, il giudice di sinistra si alzò in piedi, agitò la mano in direzione del mio volto e tutta la stanza iniziò a girare vorticosamente.

 

Mi risvegliai nella sala di attesa della stazione della mia città con accanto i miei bagagli ..il quadrante con datario alla parete segnava che dal giorno che ero uscito di casa erano trascorsi venti giorni ..venti inutili giorni. Forse sono stato drogato, forse quella gente mi ha gettato in una prigione per impedirmi di parlare o forse, più semplicemente, mi sono addormentato mentre aspettavo il treno e gli altri viaggiatori mi hanno scambiato per un barbone senza dimora e, per compassione, non hanno chiamato le guardie. Ormai è troppo tardi per trovare una risposta a questi interrogativi, so solamente che mai più si ripresenterà per me un’occasione simile.

di Melog

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