Un grido di aiuto invano che non gli ha salvato la vita, sotto gli occhi indifferenti di quel poliziotto.
“Non riesco a respirare” sono le parole di una comunità oppressa che da anni continua a vivere di soprusi e violazioni che non gli consente di vivere una vita degna.
“Non riesco a respirare” sono anche le parole di un Paese, di tutte quelle persone che ancora credono fermamente nella Democrazia e nei suoi principi che combattono e lottano perché non ci sia più violenza e che le minoranze vengano rispettate e difese perché ogni vita conta, ogni vita vale.
Ma purtroppo l’America si sa è un Paese che vende il famigerato “sogno americano”, un sogno che però non è per tutti.
Quello che emerge da questa storia è che purtroppo non è difficile associare all’America la parola “razzismo”.
La storia lo dimostra, infatti fino alla metà degli anni 60 in molti stati degli Stati Uniti erano in vigore delle leggi che discriminavano i neri, negandogli i più elementari diritti civili.
Una luce di speranza si accese nel 1964 con il “Civil Right Act” che dichiarava illegali le disparità e la segregazione razziale, dando uno schiaffo morale alle precedenti leggi “Jim Crow”. La storia attuale però non ha fatto passi in avanti in tema dei diritti civili degli afroamericani, anzi c’è un ritorno al passato.
La storia drammatica di George Floyd riporta alla mente altri tragici episodi accaduti sempre in America, quello di Eric Garner, l’afroamericano ucciso a New York nel 2014 per la stretta al collo di un agente di polizia e di Michael Brown Jr. Ma prima di loro nel 2012 si può ricordare Trayvon Martin che subito dopo la
sua morte nel 2013 è nato il movimento “Black Lives Matter“, ma nonostante la nascita di questo movimento la situazione nell’America di Trump non è cambiata, ma è ancora un Paese profondamente razzista, in cui la violenza sulle comunità afroamericane continua a essere all’ordine del giorno.
Oggi più che mai, a seguito di questa vicenda bisogna evocare a gran voce il celebre discorso di Martin Luther King, leader delle battaglie per i diritti civili dei neri negli Stati Uniti, “I have a dream”.
Era il 1963, quando nel suo discorso diceva: «Cento anni fa un grande americano firmò il Proclama sull’Emancipazione, ma cento anni dopo, il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione; cento anni dopo, il negro ancora vive su un’isola di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale; cento anni dopo; il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra».
Allora erano passati cent’anni, ad oggi ne sono passati altri 57 dal suo discorso eppure la comunità afroamericana continua a vivere nell’ombra, anzi vengono lasciati morire da coloro che dovrebbero proteggerli, che dovrebbero dare loro sicurezza come proteggono e danno sicurezza ai cittadini americani.
Martin Luther King aveva un sogno: «Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho davanti a me un sogno, oggi!».
Oggi, il suo sogno aspetta ancora di essere realizzato…
Valentina Polidori
UN VERO SCHIFO !!!!