New Media Art e Magia: su identità ed esperienza

Dall'oriente non arrivano più artisti ma scienziati: le opere d'arte sono realizzate da veri ingegneri.Così l'arte elettronica unisce scienza e fantascienza

L’interazione costante tra l’immaginario onirico e la science-fiction ha portato la ricerca condotta dagli artisti giapponesi contemporanei verso continui rimandi a elementi di neuroscienza e di cibernetica, alla fantascienza nella forma di manga e anime e perfino ad aspetti pertinenti alle pratiche magiche. Di fatto, la fantascienza e la scienza hanno completamente perso le singole identità e ruoli per fondersi in una unica identità. Provocare la momentanea perdita di identità, causare vertigini sensoriali, far condividere le percezioni fra i visitatori sono tutti elementi comuni alla ricerca nell’ambito dell’arte contemporanea in Giappone, precisamente nell’ambito dell’Arte Elettronica, ammesso di continuare a definirla solo arte.

 

Cultura giapponese: un cultura lontana dalla nostra, influenzata per esempio dai manga, che dobbiamo cercare di comprendere, per quanto possiamo avvertirla lontana, perché riflette sui temi che anche la nostra cultura occidentale ha sempre preso in esame. Grande interprete dell’uomo e del mono è l’arte: in Giappone una fiorente new-media art ripropone proprio le questioni che oggi più dovrebbero interessare alla società, utilizzando la tecnologia, attraverso la quale si è in grado di riprodurre un esorcismo sciamanico.

Per new-media art si intende, in senso vasto, l’arte che si esprime attraverso i più disparati e diversi mezzi che sono messi a disposizione dell’uomo, a partire dalla fotografia per arrivare alla biotecnologia. In senso stretto, il termine indica la branca dell’arte che si esprime attraverso le tecnologie basate sull’uso del computer. In Giappone questa forma di arte ha avuto, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, uno sviluppo del tutto particolare, presentando caratteristiche peculiari tra cui troviamo anche influenze di magia nera.

 

Il rapporto tra tecnologia e arte, quindi tra la disciplina artistica e l’evoluzione della società, è sempre stato importante al fine di definire il ruolo giocato dall’arte stessa, spesso vista come mezzo espressivo della società appunto. Un accenno particolare al rapporto con la tecnologia va fatto perché è questa che oggi influenza molto il nostro vivere, data la gran quantità di tecnologia nella nostra vita.

Ora, una prima questione è questa: se l’arte è un mezzo espressivo, lo è perché è influenzata direttamente dalla società o perché l’artista, il genio di Kant, è colui che ha una particolare sensibilità e ci riesce a trasmettere l’essenza della società attraverso le sue opere? Di conseguenza ci chiediamo: il rapporto con la tecnologia, che ha avuto un boom negli ultimi cinquant’anni, ha dato vita a qualcosa di nuovo o nell’essenza porta in sé le stesse caratteristiche di sempre perché la mediazione artistica non è cambiata?

 

Rivolgiamoci al panorama nipponico per indagare questo rapporto, perché è in Giappone che sono state, negli ultimi decenni, sviluppate molte delle più innovative tecnologie, e questa è cosa risaputa.. basti pensare a tutti i robot umanoidi che effettivamente sono stati costruiti! Troveremo in questo mondo, forse poco conosciuto in Occidente, un produzione artistica molto particolare, alla base della quale c’è un concetto fondamentale: quello di schiavitù.

Dunque, siamo in Giappone. Ciò a cui siamo di fronte, e che è venuto fuori dall’incontro dell’arte con la tecnologia, non sembra essere quell’arte che si può semplicemente ammirare e che può sembrare fine a se stessa, in quanto lo spettatore assume un ruolo di attore, attivo o passivo, quando entra in contatto con l’opera d’arte, fornendo risposte propriocettive, interocettive ed esterocettive, che cioè riguardano la consapevolezza della posizione delle parti del corpo nello spazio, degli stimoli prodotti dagli organi interni e degli stimoli provenienti dall’esterno. Particolarità è che queste opere sfidano il concetto di identità come definito dalla cultura occidentale e in più offrono la possibilità di esplorare lo spazio intorno a sé, anche inteso come spazio abitato da altri uomini.

Cos’ha il Giappone che noi non abbiamo e che ha favorito lo sviluppo di questa particolare forma di arte, che ha le sue origini nella comunicazione? Quello che manca  nella cultura occidentale, e che invece è fiorente in quella orientale, è il manga/anime: i manga e gli anime, spesso ispirati ai primi, godono di una considerazione completamente diversa in quell’isolotto oltreoceano! Spesso ci mettono in comunicazione di pensiero con realtà parallele o fantastiche o futuristiche, che stimolano la fantasia, sia nostra che dell’artista. In particolare un grosso sviluppo alla new-media art è stato dato dalla diffusione dell’anime Mobile Suit Gundam.

 

La fusione di tecnologia, intrattenimento e magia nera esclude ogni forma di dramma o denuncia, compresi i messaggi politici; il riferimento al mondo naturale e animale; la differenziazione uomo-donna e i bambini, che non saprebbero essere abbastanza presenti a se stessi nell’utilizzo di queste installazioni.

Ecco che allora ci siamo spostati dall’opera d’arte all’esperimento, che annovera tra le sue caratteristiche anche la mimica e la prossemica, che studia gli elementi interni a una conversazione (gesti, comportamento, distanze), sia verbale che non verbale.

La schiavitù è rappresentata dalla dipendenza del soggetto/visitatore/attore che, attivamente o passivamente, prende parte all’esperimento e quindi fa quello che l’artista vuole che faccia, come nel rapporto tra uno sciamano e il soggetto sottoposto all’esorcismo (influenza della magia nera).

 

Il punto vero di rottura, almeno apparente, tra arte e, possiamo dire in generale, scienza si ha quando notiamo che le opere più significative sono state ormai rivalutate come esperimenti e non sono state prodotte da artisti di mestiere, diciamo così, ma da scienziati, giudicati poi come artisti solo in un secondo momento: questi esperimenti sono stati messi in mostra durante le fiere e le mostre dedicate al mondo dell’arte.

 

Il nome di uno di questi scienziati/artisti è Junji Watanabe, che ha dato vita ad una delle istallazioni suddette: ha collegato il visitatore a dei sensori, fornendogli un tanica d’acqua in cui galleggia una bambola. I sensori spingono il visitatore a deviare, a non camminare in linea retta quindi, portando la bambola a deviare, a sua volta, nel suo galleggiamento. Metafora, secondo lo scienziato, dell’uomo che deve tenere sempre ben presente (camminare in linea retta) la sua identità (bambola) cercando di non lasciarsi influenzare troppo dagli stimoli esterni (sensori).

Ecco che le discipline si fondono per parlare dell’uomo e della società in cui vive, ecco che l’arte continua la sua opera ermeneutica servendosi della tecnologia, ormai grande protagonista della vita dell’essere umano, e la scienza assume su di sé i compiti delle altre discipline. Tutto questo è un bene? Che messaggio possiamo ricavarne? L’uomo nella sua evoluzione rischia di perdere la sua identità? Forse un messaggio che possiamo trarre è quello di non diventare schiavi della tecnologia utilizzandola anzi per recuperare la nostra identità?

Roberto Morra

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