Torino; un immenso centro commerciale. Un formicaio.
Sciami di uomini si muovono frenetici da un negozio all’altro; clienti, potenziali clienti, bighelloni d’ogni sorta… tutti preda dello stesso impeto compulsivo a consumare, a vedere, a prendere nota, a perdere tempo, ad annotare, a curiosare, a fare cose. Quel luogo, del resto, è progettato apposta.
Coppie di giovani fidanzati vi passeggiano mano nella mano, vi trascorrono pomeriggi, giornate sane; come narcotizzate da quel luccicante palliativo che riesce, meglio di qualunque mastice, a tenerli saldamente incollati.
Tra di queste un negro e una biondina. Lui indossa una tuta, come un cantante hip-hop; lei è vestita all’ultimo grido, come tutte le sue coetanee. Passano da una vetrina all’altra tranquilli e beati.
Li avvicina un uomo. Faccia anonima, impiegatizia; occhialini calati sul naso e capelli, pochi, tinti d’un innaturale nero corvino. Un riporto molto curato vela la crapa rossiccia, abbrustolita dal sole, e un vestito nero da pochi soldi ne incalza il corpo vizzo e sovrappeso.
Come si trattasse del suo più caro compagno, l’omino passa un braccio intorno al collo del negro, posandogli una mano sulla spalla:
– Olà!
Lo apostrofa vivacemente. Quello si volta a guardarlo, incredulo.
– No dico, olà! Non si usa salutare nella jungla?
Sempre con estrema cordialità, con un timbro d’una tale morbidezza, d’una tale galanteria…
– Prego?
Replica il negro completamente basito, mentre la sua ragazza, la biondina, guarda la scena con tanto d’occhi. L’omino si stringe ancora di più al giovane, ammiccando cameratescamente e colpendolo all’altra spalla con un pugnetto scherzoso, da vero compagnone:
– Vecchio marpione! La riempi per bene questa bambolotta eh? Immagino che bella papaia che nascondi… brutta canaglia!
A quel punto il negro si scuote, cercando di liberarsi dalla presa affettuosa dell’omino, che però si dimostra incredibilmente ferrea.
– Ma cos’è che vuole? Ma ci lasci in pace, nè!
Fa il ragazzo in perfetto accento piemontese. La bionda, dal canto suo, è quasi impietrita. L’anonimo ometto, allora, accoglie nel suo caldo abbraccio anche lei, perché non si senta esclusa.
– E te? Birichina! Ti piacciono i calibri grossi eh?! Ma come biasimarti…
E le strizza l’occhio con una tenerezza indicibile.
È allora che il negro scatta: con forza animalesca dà uno strattone e si libera della presa che lo teneva avvinto; ma l’omino è incredibilmente lesto: con l’altra mano -che teneva sulla spalla della ragazza- va fulmineo a frugarsi nella giacca e ne estrae un coltello tattico di tutto rispetto, con lama seghettata.
Il povero ragazzo non fa in tempo a dir né “a” né “ba” che si trova la lama piantata nel femore, a sfilacciargli senza pietà l’arteria.
La biondina caccia un urlo ferino, squillante, disperato… e mentre la folla s’accrocca scriteriatamente intorno a lei e al suo compagno che butta sangue come una fontana, l’omino ne è già stato inglobato.
di Dario Marcucci
Argh!!!
lol
l'inizio di ogni razzismo contro i negri..
😉
tremendo ma… ihihihih!!!
se solo lo avesse salutato la prima volta con educazione… :O
qualcosa mi dice che non era solo un razzista
marcucci e le infinite possibilità del delirio.
🙂
bello, bello nel suo reale assurdo
marcucci e il delirio quotidiano 😉