Giulio Paternò ha sempre diviso il suo amore per la musica tra il rock dei Pink Floyd, dei Dire Straits o dei Deep Purple e la musica elettronica di John Talabot, Nicolas Jaar o David August. La sintesi di queste sue anime è sfociata nel progetto Swoosh, dove la techno e la house si incontrano con le sonorità degli anni ’70. Il risultato è qualcosa di affascinante e magnetico, che prende forma in un’esibizione esclusivamente live di grande impatto realizzata con una Ableton Live, una Gibson Les Paul, e diversi controller. Il 2016 per Swoosh è stato l’anno delle grandi soddisfazioni, tra l’esibizione allo Spring Attitude e l’uscita del suo primo Ep “Over and Above“.
– Domenica hai suonato alla chiusura dello Spring Attitude. Com’è stato per te far parte di un evento di questa portata?
Indescrivibile. Come recitare in uno dei propri film preferiti, con attori protagonisti del calibro di Pantha du Prince, gli AIR, Matthew Herbert, Dj Tennis, Gold Panda, Rone e tanti altri premi Oscar. Con un ruolo molto “morettiano” di comparsa nel finale, al Sisley store di via del Corso, nell’ultima ora dei quattro giorni di festival. Mi si nota di più?
A prescindere dalla mia presenza nella line up di quest’anno, “Spring Attitude” è un festival a cui partecipo regolarmente da quattro anni. Quella settimana di maggio, si sa, non si prendono altri impegni.
Rispetto ad altri Festival di musica elettronica più “classici”, ciò che mi affascina di S/A è la fiducia nella direzione artistica che i promoters sono riusciti a infondere nel loro pubblico in questi anni. Mi spiego meglio: in genere si sceglie di andare a un Festival dopo aver visto i nomi degli artisti confermati; per quanto mi riguarda si è appena conclusa un’altra puntata di una manifestazione a cui vado soprattutto per gli artisti che non conosco. Il pubblico è più aperto rispetto alla media, leggermente più grande di età. Si tratta di un Festival il cui cartellone specifica quando un artista si esibisce in Dj set, mentre dà per scontato il live act: una questione di proporzioni. Per non parlare dello spazio che forme d’arte diverse dalla musica (mapping, installazioni, ecc.) ricoprono nei quattro giorni.
Da qui l’emozione enorme di partecipare con il mio live a questa manifestazione, nella città in cui vivo.
– Lo Spring Attitude è un Festival romano che ha un forte legame con i luoghi di questa città. Che rapporto hai con Roma e quanto ha influenzato la tua produzione musicale?
Con Roma ho un rapporto speciale. In un momento storico in cui si tende a scappare da qui, io devo dire che tutto sommato non starei da nessun’altra parte in questo momento. Roma è una città che può dare tanto a chi la vive con lo spirito giusto, ma è permalosa con chi si lamenta. Bella di giorno, bellissima di notte. Ha i suoi problemi certo, ma con un motorino se ne risolvono almeno la metà. A livello di vita notturna e musica elettronica trovo che ci sia una scena molto valida e competitiva a livello europeo. Qualche difficoltà in più si registra nella stagione estiva, quando i locali invernali chiudono e la lotta con la burocrazia italiana si fa più intensa.
Musicalmente è una città che mi ha dato tanto, come tanto ha dato a qualsiasi artista che negli ultimi tre millenni sia passato da qui. C’è storia, c’è spiritualità, c’è cultura: artisticamente è un polo fertilissimo. Se la musica è una trasposizione in note di “altro” che abbiamo dentro, ecco, Roma è in grado di costruirti dentro un gran bell’ “altro”. Le radici sono importanti!
– Descrivi la tua anima musicale come divisa in due parti: “Over and Above” (l’Ep uscito il 16 maggio) è un tentativo di mettere d’accordo questi due aspetti? O è semplicemente la descrizione di due entità inconciliabili?
“Over And Above Ep” è il primo timido (due tracce!) grido di “Autum”, neonata etichetta discografica a cui ho contribuito nel fondarla. Quando ho deciso di addentrarmi nel mondo della musica elettronica qualche anno fa, non volevo assolutamente abbandonare il tipo di approccio che caratterizzava la produzione musicale nella mia esperienza da chitarrista in band. Quindi sì, si tratta di un tentativo di conciliazione.
– Qual è il locale (o Festival) dove sogneresti di esibirti live?
La Capannina a Forte dei Marmi!
Partiamo dal Festival: Sònar, Barcellona. Sono stato l’anno scorso: a prescindere dal Festival in sé, è la città a vibrare di qualcosa di unico. Si percepisce un’energia diversa, tutti sono lì per lo stesso motivo. In un paese, una cittadina, può essere facile, se il Festival ha una capienza doppia rispetto alla popolazione locale… ma a Barcellona? La produzione del Sonar mi ha lasciato di stucco: impianti di primo livello, padiglioni senza fine, venues diverse per il dìa e per la noche. Direi che in particolare vorrei suonare nel bellissimo stage a forma di palco teatrale, un po’ più intimo, in cui ho sentito l’anno scorso Francesco Tristano e Dj Tennis, mambo italiano. Nel frattempo aspettiamo che da noi istituzioni e opinione pubblica comprendano le potenzialità di Festival che sono in grado, nel caso spagnolo, di produrre in pochi giorni il 2% del PIL annuo della città (per non parlare del fatto che il Sònar che si svolge solo a poche settimane di distanza dal Primavera, altra Mecca musicale catalana).
Come club mi vengono in mente il Fabric e il Village Underground di Londra, così come il Watergate di Berlino.
– Nell’eterna lotta dell’ascolto musicale da che parte ti schieri: vinile o digitale?
Non posso nascondermi, sono figlio dell’era digitale. Gli anni dell’adolescenza hanno coinciso perfettamente con il lancio dell’iPod. Rispetto alla fruizione, sotto il profilo qualitativo, penso che il problema del digitale non sia il digitale, ma il modo in cui ne fa uso la gente. Il vinile o lo compri o lo lasci sullo scaffale. La musica digitale apre vie diverse: un discorso è ascoltare musica in wav (in Flac?) o in mp3 a 320 kbps, un altro scaricarla da Youtube. Nel secondo caso il lungo lavoro di artisti e studi di missaggio e mastering viene annullato da un click. Si è persa un po’ la cultura del “trattarsi bene” a livello uditivo, che era propria della generazione dei miei genitori. Tanti o pochi che fossero, i primi soldi si spendevano sempre in un buono stereo, mi hanno sempre detto.
Certamente poi il vinile è il vinile. Per il primo “Autum”, “Over And Above Ep”, abbiamo deciso di optare per una release esclusivamente in vinile. Una scelta compiuta, sinceramente, senza essere dei puristi. Semplicemente, chi si vuole avvicinare all’etichetta per la prima volta deve poter avere qualcosa tra le mani, ci deve essere un contatto fisico. Il digitale si perde nell’aria. Anche a livello di attenzione nell’ascolto, ho notato che sono spesso il primo ad andare avanti nello streaming di una canzone con il mouse; quando si mette un vinile sul piatto, si ascolta dall’inizio alla fine.
– Roma, New York o… in quali luoghi ti vedi a produrre musica nei prossimi anni?
L’America m’intriga senza troppo affascinarmi, ma probabilmente è perché ci sono stato solo una volta prima dell’età della ragione. Tutto troppo grande. Tutto è ricco, tutto è nuovo, dicevano. Il mio essere mediterraneo mi porta alla ricerca del borgo, del dettaglio, del contatto con il posto e con chi lo abita. Lontano dai meccanismi che impongono efficienza e massimizzazione su ogni cosa. Per fare musica sotto ai 123 Bpm sento il bisogno di recuperare un po’ di lentezza, anche a livello di contorno “ambientale”.
Se dev’essere metropoli, in Europa andrei volentieri a Parigi per un lungo periodo, magari un album… ritmi spezzati ed erre moscia, un bel disco da stronzi.
– Cosa c’è oltre alla musica in Swoosh?
La musica è prima donna, gelosa del tempo speso in altro. Occupa gran parte delle mie giornate, anche perché riguarda varie attività diverse tra loro: produzione, ascolto, studio e dedizione allo strumento (chitarra elettrica, ndr).
Mi piace molto la cinematografia, che sia grande schermo o streaming casalingo. In generale preferisco film rispetto alle serie. Meglio un album o undici EP di seguito?
Il liceo classico mi ha poi regalato grandi passioni, in particolare per le lingue morte, fino alla storia e alla filosofia.
Di sport ce n’è un po’ di meno nella mia vita, sono uno di quelli che a 7 anni arrivava ultimo su quindici bambini alle gare di nuoto… mi sono ripreso le mie rivincite anni dopo col biliardino.
Poi c’è Totti, ma ne parliamo la prossima volta!
– Grazie mille della disponibilità e in bocca al lupo per i tuoi progetti futuri!
Grazie a voi! 🙂
Eleonora Paesani
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le musiche che ci piacciono
e brava Eleonora che ci riporti sempre queste belle cose
swoosh fantastico! mi piace un sacco
non lo conoscevo. questa fusione tra elettronica e chitarre psichedeliche e’ davvero una figata. e lui mi sembra un tipo interessante 🙂
dice sagge parole in fatto di festival e cultura musicale del nostro paese. e sarebbe curioso sentirlo in un un bel disco da stronzi ah ah ah ah
schietto e intelligente. bella intervista e musica che ti culla in meandri onirici…
un figlio di Roma esportabile in tutto il mondo. interessante personaggio per musiche suggestive ….
bella intervista della Eleonora
un semplicissimo assolo di chitarra su un tappeto costante …. una colonna sonora perfetta per un viaggio medio-lungo ……… passo dopo passo.
mi piace,grazie Eleonora!