Ignorando per l’ennesima volta la regola dell’alternanza Europa/Sudamerica, la Fifa, proprio durante lo svolgimento del mondiale svizzero, assegnò alla verde Svezia l’organizzazione della Coppa del Mondo 1958. Ancora una volta, almeno dal punto di vista politico, la decisione della Fifa parve tanto saggia quanto azzeccata: in un mondo diviso in blocchi e alleanze, il paese scandinavo aveva infatti deciso di restare fuori da ogni schieramento. L’ascesa al potere delle sinistre, guidate dal primo ministro Tage Erlander, permise la convivenza pacifica della monarchia costituzionale e ereditaria e il socialismo democratico, un sistema alla cui base c’era un ferreo rispetto dei diritti e dei doveri. Questa soluzione in tempo di guerra fredda favorì la partecipazione alle qualificazioni di 56 nazionali, tra le quali figuravano l’Urss, fresca vincitrice del torneo olimpico di Melbourne ’56, e le 4 federazioni del Regno Britannico al completo: Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord.
Italia e Uruguay alla caccia della ‘terza’…anzi no
Nel mondiale che avrebbe potuto assegnare definitivamente la Coppa Rimet ad Uruguay o Italia, uniche nazionali due volte vincitrici del trofeo, fu proprio l’assenza di entrambe a rappresentare la novità più clamorosa. La Celeste aveva aperto il 6° decennio del 20° secolo impartendo ai brasiliani la più sonora quanto drammatica lezione mai ricevuta. Il ‘Maracanazo‘ però, resta tutt’ora l’ultimo successo mondiale degli uruguagi. Quatto anni dopo fu la squadra d’oro ungherese a fermare in semifinale la ‘Banda Oriental’, ma all’appuntamento del 1958 l’Uruguay neanche ci arrivò. Priva di Schiaffino ed Abbadie, ufficialmente diventati oriundi italiani, e con la generazione del ’50 giunta ormai al tramonto, la ‘Olimpica‘ venne sbattuta fuori dal modesto Paraguay durante le qualificazioni. Decisiva in questo senso la clamorosa batosta subita ad Asuncion il 14 luglio 1957 per 5-0.
Stessa sorte, purtroppo, toccò anche all’Italia. La disfatta ai mondiali brasiliani del ’50 si attribuì alla tragedia del grande Torino, drammatico evento che ci aveva privato dei nostri giocatori più forti, ma dopo i sonori ceffoni presi a Basilea dalla Svizzera 4 anni più tardi quello del 1958 si prospettava come il mondiale del riscatto. Ma la lunga notte del calcio italiano, iniziata il 4 maggio 1949, non era ancora terminata.
Per risollevare le sorti della nazionale viene chiamato in panchina Alfredo Foni, campione olimpico nel ’36 e mondiale nel ’38 e reduce da stagioni felici alla guida dell’Inter, dove il suo catenaccio aveva permesso ai nerazzurri di vincere due campionati consecutivi (’53 e ’54). Foni impostò la squadra con rigidi schemi difensivi, e pian piano riuscimmo a toglierci qualche soddisfazione. Ad esempio in occasione dell’amichevole disputata a Stoccarda il 30 maggio 1955, quando battemmo i campioni del mondo in carica della Germania Ovest per 2-1. Anche a livello di club mostrammo un discreto stato di salute, con Fiorentina e Milan che si opposero con onore allo strapotere del Real Madrid nelle finali di Coppa Campioni ’57 e ’58, ma la specializzazione dei ruoli iniziata ad espandersi nei vivai stravolse l’organizzazione del nostro calcio.
Per sopperire a questo equivoco tattico si decise di affrontare le qualificazioni puntando su un nutrito numero di oriundi, tra i quali figuravano anche gli eroi dei mondiali uruguaiani Ghiggia e Schiaffino. Il girone, composto da avversari modesti come Portogallo e Irlanda del Nord, era tutt’altro che proibitivo. L’esordio fu positivo nonostante una gran sofferenza: a Roma contro i nord irlandesi ci volle infatti una prodezza di Cervato per avere la meglio in un match combattutissimo. Poche settimane dopo scendemmo in campo a Zagabria contro la Jugoslavia per un turno di Coppa Internazionale (ultima edizione del trofeo che dal ’60 verrà sostituito dai Campionati Europei), subendo un tennistico 6-1. A 15 giorni dal match contro il Portagallo a Lisbona, Foni non aveva idea di come preparare la partita. L’ex tecnico nerazzurro schierò una formazione senza capo ne coda, mandando in campo una squadra allo sbaraglio che uscì dalla capitale lusitana con 3 dolorose sberle. Sei mesi dopo l’Italia tornò in campo per affrontare a Belfast la gara di ritorno contro l’Irlanda del Nord. Si giocò il 4/12/1957, ma l’incontro si trasformò in un amichevole perché l’arbitro, bloccato dalla fitta nebbia, non riuscì ad arrivare allo stadio. Amichevole per modo di dire, perché nel 2-2 del campo i britannici riservarono agli azzurri un trattamento speciale, fatto di insulti, sputi e botte, il giusto modo per far capire ai nostri cosa gli avrebbe attesi al loro ritorno Prima del replay match, il 22 dicembre 1957 gli azzurri riscattarono la sconfitta di Lisbona rifilando ai portoghesi un sonoro 3-0, risultato che permetteva all’Italia di tornare a Belfast e qualificarsi ai mondiali con 2 risultati su 3. Quel giorno però, il 15 gennaio 1958, rimarrà negli almanacchi come il più nero nella storia della Nazionale. L’arbitro, l’ungherese Zsolt, quella volta fu puntuale, ma furono gli italiani, metaforicamente, a non scendere in campo. Dopo il 2-0 a fine primo tempo, l’Italia si rimise in partita, ma l’espulsione di Ghiggia a 20′ dalla fine spezzò definitivamente le speranze azzurre. Per la prima volta dal 1930, e fino ad oggi l’ultima (e almeno fino al 2018 non ci sono rischi), l’Italia era fuori da un mondiale.
Tra le altre 14 rappresentative presenti c’era il solito Brasile, che poteva contare ancora una volta sulla solita sfilza di fuoriclasse dal tocco di palla felpato. Gilmar tra i pali, Djalma Santos e Nilton Santos in difesa, il maestro Didì a centrocampo, il funambolico Manè Garrincha sulla fascia, e un tridente delle meraviglie composto da Altafini, Vavà e Zagallo in attacco. Ma il tecnico Vicente Feola, chiamato sulla panchina verdeoro dopo la disfatta di Silvio Pirillo nel Sudamericano dell’anno prima, poteva contare su una carta a sorpresa, un giovanotto di neanche 18 anni dal fisico apparentemente esile, lo sguardo furbo e dai piedi fatati: Edson Arantes do Nascimento, da tutti conosciuto in patria con il nomignolo di Pelè.
Le esclusioni di Uruguay e Italia non furono però le uniche sorprese del mondiale ’58. Tra le big rimaste fuori ci furono anche Spagna e Paesi Bassi, rispettivamente eliminate da Scozia e Austria. La novità più interessante fu quella rappresentata dalla presenza dell’Urss, selezione di grandi tradizioni che però mai aveva partecipato ad un mondiale. Completavano il quadro delle 16 partecipanti Argentina, Cecoslovacchia, Francia, Galles, Germania Ovest, Inghilterra, Jugoslavia, Messico, Paraguay, la Svezia padrone di casa e l’Ungheria.
Francia e Brasile: gol e spettacolo; delusione Argentina
Dopo l’atroce esperienza delle teste di serie provata nel mondiale svizzero, la Fifa tornò sui suoi passi regolando il torneo svedese con la classica formula dei 4 gironi divisi per criteri geografici.
La gara inaugurale del Mondiale di Svezia vide i padroni di casa superare agevolmente per 3-0 il Messico. La squadra scandinava, costruita sui talenti degli ‘italiani’ Liedholm, Hamrin, Gren e Skoglund, battè anche l’Ungheria e si qualificò come prima dopo lo 0-0 con il Galles dello juventino John Charles. Al secondo posto proprio i gallesi, qualificati ai quarti dopo lo spareggio vinto per 2-1 contro quel che restava della grande Ungheria.
Molto buono fu anche il girone disputato dei francesi. La squadra transalpina, trascinata da autentici campioni come Raymond Kopa, Roger Piantoni, Just Fontaine e Maryan Wisnieski, esordì infierendo un pesante 7-3 al Paraguay. La sconfitta nel secondo turno contro la Jugoslavia (2-1) complicò le cose, ma il successo nella decisiva sfida contro la Scozia per 3-1 permise ai galletti di accedere ai quarti davanti agli slavi.
Il girone più equilibrato fu senza dubbio quello del Brasile, disturbato dalla presenza di Inghilterra, Austria e Urss. I brasiliani partirono alla grande con un secco 3-0 all’Austria, ma dopo il pareggio a reti bianchi con gli inglesi, Feola, ‘invitato’ dai veterani Didì, Nilton Santos e capitan Bellini, escluse dall’undici titolari per la gara contro l’Unione Sovietica Dino Sani, Altafini e Joel in favore di Zito, Pelè e Garrincha. La mossa si rivelò azzeccata, perché proprio grazie alle giocate di Pelè e agli assist di Garrincha il Brasile archiviò la pratica Urss con un 2-0 firmato Vavà. I sovietici però non accusarono troppo il colpo e si rifecero nello spareggio per l’accesso ai quarti battendo l’Inghilterra per 1-0.
Molto deludente invece fu il mondiale giocato dall’Argentina. Nonostante fosse accreditata tra le favorite infatti, la nazionale ‘albiceleste’ uscì malamente dalla competizione dopo il girone preliminare. Nel Sudamericano disputato un anno prima in Perù, la Seleccìon conquistò il trofeo battendo proprio il Brasile per 3-0 nella gara conclusiva (la formula era a girone). Quella squadra era composta per lo più da giocatori che militavano all’estero, tra cui figuravano tre autentici fuoriclasse come Omar Sivori, Antonio Angelillo e Humberto Maschio (tutti e tre tesserati per club italiani), meglio conosciuti con il soprannome “angeli dalla faccia sporca“. Per qualche motivo però la Federazione argentina decise di escludere dalla rosa in partenza per la Svezia tutti i giocatori che militavano all’estero. Povera dei suoi maggiori talenti, la formazione guidata dal grande Guillermo Stabile esordì con una sconfitta per 3-1 subita dalla Germania Ovest. I ‘portenhi’ si rimisero in gioco con la vittoria per 3-1 sull’Irlanda del Nord, ma il clamoroso 6-1 incassato dalla Cecoslovacchia nella gara decisiva costò l’eliminazione dal torneo. Questa roboante vittoria non bastò però ai cechi per qualificarsi: ai quarti andarono infatti Germania Ovest e la sorprendente Irlanda del Nord.
I quarti di finale non regalarono nessuna sorpresa. La Francia si sbarazzò dei nord-irlandesi con un altro spettacolare 4-0, mentre la Svezia risolse la pratica Urss con un secco 2-0. Molto più equilibrate invece le altre due sfide: Brasile-Galles e Germania Ovest-Jugoslavia. Fu una magia di Pelè, la prima di una lunga serie nella storia dei campionati del mondo, a spalancare ai carioca le porte della semifinale. Stesso risultato anche per la Germania, a cui bastò un gol di Rahn, l’eroe del miracolo di Berna, siglato nel primo quarto d’ora, per superare le resistenze degli slavi.
O’Rei trascina i verdeoro sul tetto del mondo
Le semifinali misero di fronte il meglio del calcio mondiale di quel momento. La sfida tra Francia e Brasile proponeva lo scontro tra i 4 moschettieri francesi e il pirotecnico attacco brasiliano. La Francia giocò con onore e coraggio, pareggiando la rete di Vavà arrivata dopo appena 2′ con il gol di Fontaine al 9′ del primo tempo. Da lì in poi fu un assolo verdeoro, suonato dal 2-1 di Didì a fine della prima frazione e rimarcato dalla tripletta di Pelè nella ripresa. Inutile il gol di Piantoni per il 5-2 definitivo.
Più complicata la gara della Svezia contro i tedeschi campioni in carica. Il gol di Schafer mise paura ai 50,000 di Goteborg, ma la rete di Skoglund dopo neanche 10′ risvegliò il pubblico ammutolito. Nella ripresa fu battaglia vera, e agli svedesi servì un gol di Gren a 9′ dalla fine e uno di Hamrin a tempo praticamente scaduto per avere la meglio dei tedeschi e volare alla finale di Stoccolma.
Germania Ovest e Francia si scontrarono a Goteborg il 28 giugno per giocarsi la medaglia di bronzo. La Francia confermò l’ottima vena realizzata mostrata in tutti il torneo e con un tennistico 6-3 stoppò le ambizioni di gloria dei tedeschi. A trascinare i transalpini a quello che sarà il loro miglior piazzamento in mondiale fino al 1986, un ragazzo non ancora 25enne nato in Marocco da genitori francesi. Just Fontaine riuscì nell’impresa di segnare 13 gol in una sola edizione della Coppa del Mondo (4 nella finale per il 3/4° posto proprio contro i tedeschi), record tutt’ora imbattuto e difficilmente eguagliabile.
Il giorno dopo a Solna, Stadio Rasunda, si disputò la finale della 6^ coppa del Mondo di calcio. La Svezia si presentò a questo appuntamento con la consapevolezza di avere la storica possibilità di giocarsi in casa il titolo mondiale, mentre i brasiliani erano determinati a riscuotere il loro credito dopo il Maracazo di 8 anni prima. La vigilia favorì i padroni di casa, che vinsero il sorteggio per le maglie obbligando gli avversari ad abbandonare la tradizionale tenuta da gioco ‘auriverde’ per indossare la camiseta blu con pantaloncini bianchi.
La Svezia fece subito la voce grossa, e dopo appena 4′ un Liedholm 36enne e inspiegabilmente rasato (evidentemente era stato uno di quelli che aveva perso la scommessa con i compagni sull’accesso della Svezia in finale) trovò lo spazio giusto per battere Gilmar. Lo sconcerto dei brasiliani, intimoriti dalla foga agonistica degli scandinavi, durò ben poco. Al 9′ Garrincha mise a sedere Axboom con una finta e servì a Vavà il pallone del pareggio. Il gol galvanizzò i carioca che iniziarono a giocare in scioltezza, e al 32′, con un azione-fotocopia della prima rete, Pelè suggerì a Vavà la palla del sorpasso. Dopo appena 45′ lo stadio Rasunda intuì che la coppa era ormai assegnata. La ripresa servì solo ad arrotondare il punteggio, con i brasiliani che andarono a segno per altre due volte, prima con Pelè al 55 poi con Zagallo al 68′. A 10′ dalla fine Simonsson si tolse la soddisfazione di firmare il secondo punto per la Svezia, ma mentre si attendeva il triplice fischio del francese Guigue, Pelè ricevette pala in area scandinava, superò il difensore con un sombrero d’alta scuole e infilò uno stupito Svensson per la 5^ volta. Tutto lo stadio, compreso Re Gustav, si alzò in piedi per tributare al giovane campione una meritata ovazione.
Quella fresca estate del ’58 svedese, oltre a sancire la prima storica vittoria verdeoro –primo e fino ad oggi ultimo successo di una sudamericana in Europa– agognata da quasi 30 anni, verrà ricordata per aver visto sbocciare una leggenda. Come possiamo definire un giocatore che possedeva lo scatto di un velocista, un’irresistibile dribbling, una geniale visione di gioco, una disarmante potenza nei tiri e uno strabiliante stacco areo? Semplicemente col suo nome, Pelè, il più grande di tutti.
Oltre a lui però un altro grande talento merita di essere ricordato. Parliamo di Maoel Francisco dos Santos, meglio conosciuto col soprannome di Garrincha. Chiamato così da una sorella per la somiglianza con un’omonima specie di uccelli, Garrincha era un’ala formidabile, da molti considerato il miglior interprete del ruolo in assoluto. Il giocatore nacque con diversi difetti fisici congeniti: un leggero strabismo, la spina dorsale deformata, il bacino slogato e la gamba sinistra più corta rispetto all’altra di sei centimetri. Questa malformazione invitò molti medici a scoraggiarlo di proseguire l’attività calcistica, ma gli storici ritengono che fosse proprio il suo difetto fisico a rendere i suoi movimenti imprevedibili e i suoi dribbling inarrestabili.
Carlo Alberto Pazienza
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SPECIALE MONDIALI:
> “World Cup Story -Il gioco più bello del mondo” (Part. 1)
> Uruguay 1930 (Part. 2)
> Italia 1934 (Part. 3)
> Francia 1938 (Part. 4)
> Brasile 1950 (Part. 5)
> Svizzera 1954 (Part. 6)
Mitico Pelè!!! Grandissimo!!!
Grazie al Pazienza per questi bei momenti dal passato…
il calcio di una volta…meraviglia!
Lo sport più bello del mondo per talenti ineguagliabili!
presto l’Italia le suonerà pure al Brasile……aspetto quella puntata! 🙂
tutto lo stadio per un’ovazione,durante una finale dei Mondiali….wao!!!
Maradona o Pelè…. uno dei dubbi amletici più difficili di sempre! 🙂
Per ora… è inizia l’era di Pelè! 😉
Bellissimi post di C.A.Pazienza. Complimenti!