Stefano Puri e il suono dei sempieterni moti dell’anima

Scopriamo un compositore classico che, al di là della musica sinfonica, ci trasporta anche per il dark rock sempre e solo per mezzo delle emozioni

Ci sono storie racchiuse nei nomi delle persone, storie già vissute a volte, storie tutte ancora da rivelarsi in altri, indizi che celano la grandiosità degli individui in altri casi ancora, come sembra sia per Stefano Puri.

Conosciuto a quel sano pubblico dei “pochi” e di sicuro tra le eccellenze italiane di uno splendido sottobosco -grazie a Dio ancora non contaminato dai modelli marketing e mass imposti come Einaudi e/o Allevi, per rimanere sullo stesso genere di musica- Stefano Puri racchiude già nel “Puri” di quel suo nome, l’essenza del proprio fare artistico, la centralità di un saper creare dosato ed appagante, la rara destrezza nel comporre melodie sempieterne capaci di richiamare in superficie quei moti dell’anima più profondi e normalmente sottaciuti dalle quotidiane distrazioni. Definire “classica” la sua musica sembrerebbe la prima e più evidente deduzione a farsi, ma in realtà di classico nelle sue melodie, prima ancore delle note, ci sono i sentimenti, quei movimenti universali così alti e schietti al tempo stesso da non finir mai di emozionare.

 

Compositore per orchestra, direttore di coro, arrangiatore per Spiritual Front in “Armageddon Gigolò”, non ultimo autore insieme a Simone Salvatori di “Black Hearts in Black Suits”, è soprattutto nel discorso pianistico, nato casualmente, che si possono trovare di Stefano Puri  -e per il momento solo sulla rete– delle vere e proprie perle, balsamo per il cuore per gli animi anche più assopiti.

Se “Mentre lei dorme II” offre la quiete dell’occhio di chi osserva la propria amata addormentata, “Preludio a dicembre” lascia intravedere nuvole sparse raggrupparsi  in un cielo non ancora del tutto gelido, “Ricordo di un sorriso” invita alla dolce e nostalgica revérie romantica, è con “Pensieri di morte” e nello specifico in “Demoni” e “Le Ceneri” che Stefano Puri assurge al divino portando in terra un pezzettino di quella perfezione estranea in genere all’umano concepire.

 

Diceva Junger: «La mente può sviluppare i nessi logici solo fino a un determinato punto, raggiunto il quale la prova deve cedere il passo all’evidenza. Lì occorre compiere il salto oppure ritirarsi. Il punto di rottura in questione indica un mistero del tempo. I punti di rottura sono luoghi di ritrovamenti. Anche la morte è un punto di rottura, non una fine; ed è questo l’orizzonte della parola “origine”» (da Uccelli d’altri cieli, p. 14).  E con “Pensieri di Morte” sembra proprio che  Stefano Puri sia riuscito nel salto, dando alla “morte” l’origine della sua più compiuta armonia.

Per chi volesse approfondire ancora, c’è solo da cercare e da lasciarsi trasportare nella poliedricità  dell’artista, impegnato in innumerevoli percorsi e progetti tutti da scoprire come “Ivashkevich” o “Ensemble Mysterium“.

Insomma l’eccellenza italiana c’è, esiste, ed è più a portata di mano di quanto si possa pensare: basta solo cercare, sentire onestamente e lasciarsi trasportare dalla purezza del suono, unico vero parametro di autenticità e qualità.

 Daniela Masella

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