«E tu chi saresti?».
«Io sarei Linda».
«E che ci trovi di tanto divertente?».
«Non lo so, sei buffo».
Un’intersecazione delle visuali, una guerra di respiri, le luci della festa si abbassano, adesso sono fioche, il volume si inabissa, sacrosanta dissolvenza.
«Guarda Linda che io non c’avrò i capelli per tutta la vita».
«E quindi?».
«Quindi ti conviene darti una mossa con me».
Lui si era lanciato nel suo rinomato tuffo carpiato, ardito, con avvitamento, ritornato, raggruppato.
Oh Linda, non lo aveva capito, ma lui era sceso giù dall’aereo senza il paracadute.
Non era pazzo, sapeva che a qualcosa si sarebbe potuto aggrappare.
Aveva ponderato il rischio e quando dico il rischio intendo le innumerevoli variabili del cazzo di universo.
E poi se lo ricordava bene quel discorso della rifrazione, quando era un ragazzo e sedeva impalpabile sui banchi verdi dell’università.
C’era un professore che schiariva la voce e diceva: «Quando infilate una matita in un bicchiere e sembra che sia spezzata, ce lo avete presente?».
«Sissignore, ce lo abbiamo presente» faceva il coro di studenti sonnambuli.
Poi il prof continuava: «Molto bene, quando la luce si propaga da una sorgente e incontra un altro corpo può dare luogo a due fenomeni».
«Dica, dica Prof., siamo tutti orecchie» facevano i ragazzi per sfottere e quello aggrottava le ciglia boscose e diceva: «In un caso, se la luce incontra un corpo opaco, non riesce a propagarsi e si forma un cono d’ombra. Nell’altro caso, se incontra un corpo trasparente, allora la luce lo attraversa e la sua velocità di propagazione cambia, cosicché ha luogo la rifrazione: la matita è tutta intera, ovviamente, ma l’occhio la percepisce come se fosse spezzata».
E si dia il caso che lui, in un certo senso, questo discorso, lo aveva applicato alle esistenze.
Dopo quella festa, s’erano rivisti, lui e Linda e, diciamo, non del tutto casualmente.
La sciarada veloce dei cosa fai e cosa non fai, dei dove sei stato e chi sei stato, lo scioglimento dei ghiacciai dentro i drink allungati, tre candele silenziose, una sigaretta spenta male, violenta dissolvenza.
«Insomma Linda, resta da capire se tu sia un corpo opaco o trasparente».
«Che vuol dire?».
«Sono anni che cerco di capirlo».
«E te ne porti a letto tante con questa stronzata?».
Le lentiggini si disponevano sul viso di Linda, disegnavano una costellazione, erano gli astri rossicci appesi con cura al tappeto della pelle e c’era un ordine anche in quello, lo si poteva percepire.
Continuava, nel frattempo, la lotta psicologica, l’intreccio delle voci e delle pause, ma il tempo se ne fregava altamente di loro due cavi elettrici scoperti, continuava ad andare avanti come se niente fosse.
Ed io non so se sia vero, ma mi piace pensare che ad un tratto prese a piovigginare.
L’aria umida: da una parte della scacchiera c’era Linda, dall’altra lui, non più così giovane, non quanto dovrebbero esserlo i protagonisti delle scintillanti commedie de la vida.
«Pensi di cambiare col tempo?» chiese a lei.
«Non lo so, è possibile, perché?».
«Mi piacerebbe tu restassi così ancora qualche anno».
Linda fece scivolare lo sguardo sul pavimento, con una mossa afferrò la borsa, il bicchiere cadde giù e scompose l’equilibrio, si frantumò in un milione di pezzetti.
«Tu devi lasciarmi in pace, me ne voglio andare via» gli disse.
Lui le strinse la piccola mano, il profitterol di carne morbida di ragazza, ventiquattro anni e mezzo.
«Sei veloce a dimenticare che sei qui adesso, Linda».
Se lei fosse stata solo un altro corpo opaco, allora nessuna rifrazione, loro si sarebbero persi nel becco di un nuovo cono d’ombra, e lo sanno tutti, lì dentro non c’è speranza, non c’è redenzione, né tenerezza.
Invece le cose andarono diversamente e mi piace raccontarlo.
Ci fu la rifrazione, ché la luce penetrò, onde invisibili e vibranti si propagavano e non sapevano più come fermarsi: li vedi, eccoli in trincea adesso, lui e Linda, su un letto giapponese, con le gambe annodate, il deodorante per l’ambiente, nei cunicoli, negli occhi, la luce bianca dell’abatjour, nelle mani e nelle bocche, vapore e dissolvenza.
«T’ho desiderato a lungo» disse lui a lei, per l’occasione vestita solo di lentiggini.
Erano passati sedici mesi e si sentiva sulla nuca il brivido freddo: era il fruscio del tempo che se ne era andato via con la sua eterea strafottenza.
Ma ora le cose erano diverse, ora che la ragione aveva avuto compimento, che tutto aveva assunto una sua forma, nel gioco di luci che condividevano, adesso.
«A che ora vengo a prenderti?».
«Non lo so, amore, credo di far tardi».
C’è un momento tangibile in cui il brio frizza di meno e lo si scambia con il bacio della buonanotte.
Oh sì, lo sapete bene e lo sapete tutti.
«Ma sì, è tutto ok, non c’è nulla che non va» si ripeteva lui.
«Ma sì, sto bene, che domande stupide» si ripeteva Linda.
Il sabato in fila indiana per le vie del centro, con il proposito di fare compere, di aspettare che un altro finesettimana morisse senza lasciare strascichi, ma sì, non è niente, vedrai, è solo un leggero malumore, niente che corroda o dia alla testa.
A cena fuori, scherzando un po’, poi leccarsi le ferite, in casa, Linda nuda, di nuovo, un bacio sulla pancia, le colonne sonore, gli orgasmi di zucchero filato, rischiarati dalla luce delle stelle, buonanotte, buonanotte amore mio, opacità e dissolvenza.
E quando niente irradia più, cosa può accadere?
Non è bello parlarne, di queste frizioni, di queste collisioni, lo so.
«Linda, tesoro, dove stiamo andando a finire?».
«Non lo so, ma ti prego, tu non lasciarmi andare».
A quella festa, lontana anni luce, lui si era lanciato kamikaze, lo ricordate tutti quanti.
Pensava di avere ponderato il rischio, misurato l’incidenza dei fattori.
Ed io vi dico, che in realtà, lui, incosciente, non aveva ponderato proprio un cazzo.
Per carità, è vero che se Linda fosse stata un corpo opaco, nessuna luce, nessun bagliore mai si sarebbe generato.
E invece Linda era un corpo trasparente, la luce l’aveva attraversata, si era diffusa al suo interno.
Ma lo avrete capito qual era il problema.
È l’illusione ottica che discende dalla rifrazione: la matita ti pare spezzata e non ci puoi fare nulla.
Ci sono i coni d’ombra, storie ipotetiche, irrisolte, gli eterni sospesi, gli sguardi inconclusi.
Ci sono le rare rifrazioni, gli incontri delle esistenze, la luce riesce a filtrare, ma l’immagine è distorta, sembra sempre che qualche cosa non quadri e questo fa dannare.
E se vuoi vedere la matita nella sua forma reale, lo sai, prima o poi, devi estrarla dal bicchiere.
«Davvero Linda, è la cosa più giusta per entrambi».
«Sì lo so, però è difficile».
Gli occhi salati e le parole dette piane, nell’universo spettroscopico, nel gioco del prisma, dove non ci sono lieto fine e le carezze pesano come uno schiaffo.
«E allora guardami negli occhi e dimmi che sei sicuro, che sei pronto a non vedermi più» disse Linda in un walzer di singhiozzi.
E lui fermo, addolorato ti dico, sussurrando lentamente «Salutiamoci oggi e non facciamoci più male».
E mentre tornava a casa, avvolto nei pensieri, lui si guardava dentro e se lo ricordava quando disse a Linda di sbrigarsi ché non ci avrebbe avuto i capelli per sempre e lei rideva quando sentiva questo genere di cose, ma rideva con discrezione, teneva la posizione sulla scacchiera, si faceva carina prima di uscire, uno schizzo di profumo, studiava i movimenti delle labbra e gli diceva che voleva essere lasciata in pace, ma in realtà, nel profondo, nutriva desideri più dolci e di altro tipo.
O forse no.
Forse non andò così.
«E allora guardami negli occhi e dimmi che sei sicuro, che sei pronto a non vedermi più» disse Linda in un walzer di singhiozzi.
Mi pare che lui ebbe un sussulto e la schiena rigida, non disse nulla e si lasciò trainare dalla traiettoria degli sguardi, c’era un certo odore di tregua in giro, mi piace pensare che prese a piovere d’improvviso, si alzarono, silenziosamente, lui le mise il braccio dietro al collo e mi pare che Linda si strinse, ché sentiva che per stavolta il peggio era passato, poi lentamente passo dopo passo verso casa, qualche goccia d’acqua, le grandi luci dei lampioni, qualche fuoco fatuo in lontananza, provvidenza e dissolvenza.
di Giuseppe Catanzaro
Accuso l’abbandono ……..
e quando il Catanzaro passa dal vissuto surreale al dramma melanconico ….. la pezza in gola è assicurata! Bellissimo!!!!
Riesce a colpire anche con l’ordinario,sintomo di una scrittura audace.
Catanzaro è un fantastico racconta storie …. Complimenti
“E tu chi saresti?”
…..a saperlo prima.. ^-^
L’inerzia delle relazioni………
Forse non andò così…
Invece andò proprio così…
Dev’essere che il cervello si purifichi defecando l’eccesso quotidiano di pensieri sotto forma di sogni…o di racconti
povera Linda, come spiegarle che dolore e voluttá almeno in un punto combaciano perfettamente?
anche a me piace pensare che non andó così….Stupendo!
https://youtu.be/cPKRsSu8GOw
…sliding doors …bellissimo!
Giuseppe riesci a stupirmi ancora!