La solitudine

La solitudine è esistenziale... in quella sospensione che è la paura della morte

.«La solitudine è indipendenza: l’avevo desiderata e me l’ero conquistata in tanti anni. Era fredda, questo sì, ma era anche silenziosa, meravigliosamente silenziosa e grande come lo spazio freddo e silente nel quale girano gli astri». Hermann Hesse

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In filosofia la solitudine è quella del sapiente, colui che conosce la differenza tra il bene e il male.

L’isolamento volto alla ricerca delle nostre profondità e della dimensione più intima. Un mezzo attraverso il quale riusciamo a comprendere le nostre sofferenze e le gioie, che assieme accompagnano la vita di ciascuno.

Fuori da questo ideale, l’isolamento è un fatto patologico: è l’impossibilità della comunicazione connessa a tutte le forme della pazzia.

In senso proprio, tuttavia, la solitudine non è isolamento ma piuttosto la ricerca di forme diverse e superiori di comunicazione. Basti pensare alle persone che abbracciano una vita monacale, da anacoreti o stiliti, per fuggire il fragore del mondo e dedicarsi all’ascesi spirituale.

La solitudine è anche l’abisso dell’uomo, in senso cristiano è la morte intesa come gorgo postmortem immerso nel profondo nulla. La vera paura dell’uomo, che non è paura di qualcosa, bensì paura in sé.

 

L’uomo quando finisce nella solitudine definitiva, non ha paura di qualcosa di determinato, egli prova piuttosto la paura della solitudine, dell’inquietudine e della sospensione della propria essenza che non può essere superata razionalmente. Non è lo stare soli, bensì l’essere soli ad incutere timore. La solitudine esistenziale. Quando si vegliano le spoglie di una persona estinta si prova inquietudine, suscitata non dal corpo esanime, che resterà immobile, bensì dall’assenza di vita, la sospensione dell’esistenza come noi la intendiamo: la solitudine in sé. Il timore di non scorgere nulla oltre la morte, che si esplica nell’essere in comunione. Tuttavia se a vegliare il corpo senza vita ci fossero altre persone, la paura si attenuerebbe per condivisione e reciproco sostegno.

Se esistesse una solitudine nella quale nessuna parola di un altro potesse più arrivare e, avere effetto trasformante; se sopraggiungesse una sospensione dell’esistenza tanto grave, allora sarebbe data quella vera e totale solitudine, quella terribilità che il teologo chiamerà Inferno. L’inferno indica una solitudine nella quale non penetra più la parola dell’amore e significa quindi la vera sospensione dell’esistenza.

Per i poeti e i filosofi nessun uomo avrebbe accesso alla vera profondità dell’altro. Nessuno perciò può giungere alla vera profondità dell’altro. Nell’intimo più profondo di noi tutti abiterebbe quindi l’inferno, la disperazione, la solitudine, che è tanto più indefinibile quanto terribile. J.P. Sartre, filosofo ateo esistenzialista, ha costruito la sua antropologia su quest’idea.

 

C’è una notte nel cui abbandono non arriva alcuna voce, vi è una porta attraverso la quale passiamo in solitudine: la porta della morte.

Tutta la paura del mondo si identifica in questa solitudine, poiché la morte è la solitudine per antonomasia. Ma quella solitudine nella quale l’amore non può più penetrare, è l’inferno. I cristiani affermano che il “Cristo” ha attraversato la porta della nostra ultima solitudine. Dove nessuna voce può più raggiungerci, Egli è lì. In questo modo l’inferno è superato e la solitudine dissipata. Nel cuore della morte c’è la vita e l’amore abita nel cuore di essa.

Giuseppe Cetorelli

 

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