Premessa: dopo l’ultimo concerto visto a luglio, durante il quale ho sudato così tanto che mi è servito tutto il mese successivo per riprendere i kg persi in liquidi, mi ero ripromessa di assistere a un live solo se accompagnata da un pinguino.
Una congiunzione astrale, invece, ha fatto in modo che, prima di potermi avvolgere in maglioni stratificati, venga a Roma un gruppo impossibile da perdere: gli irlandesi God Is An Astronaut. Già qui una certa tremarella al pensiero che la band suonerà nella mia città, nello stesso luogo dove ho visto i My Bloody Valentine, alla faccia di quelli che a Ciampino abbiamo solo gli aerei.
Non basta. Destino vuole che special guest della serata siano gli Snow In Mexico.
Ora, vedere insieme i due gruppi, per me, è come affondare un pezzo di baguette croccante dentro la Nutella, una goduria che aspetto il prossimo 4 ottobre per commentare adeguatamente.
A pochi giorni dal concerto, approfitto per intervistare una delle band italiane più interessanti degli ultimi anni –gli Snow In Mexico– che portano avanti due generi, a mio avviso, non facilmente sdoganabili dalle nostri parti, come lo shoegaze e il dream pop.
Il gruppo (formato da Massimiliano Cruciani –chitarra e voce– e Andrea Novelli –synths, drum machine e daw) si forma a Roma più o meno nel 2009 e da allora produce due Ep a pochi anni di distanza l’uno dall’altro, dando un assaggio della loro capacità di creare atmosfere eteree e sognanti, che nulla hanno da invidiare a certi nomi più blasonati della scena indie.
La prima cosa che colpisce è la scelta (voluta?) di mantenersi defilati rispetto ad altre band. A parte i due Ep –l’omonimo “Snow In Mexico” e il successivo “Prodigal Summer” uscito nel 2012– il loro primo live si è tenuto solo nell’estate del 2013 al Circolo degli Artisti e prossimamente suoneranno con i God Is An Astronaut.
Proprio da questa loro caratteristica partiamo con la chiacchierata.
Allora ragazzi, comincio subito con una domanda che mi preme da quando ho iniziato a seguirvi. Girando un po’ sul web ho trovato alcune recensioni sui vostri Ep, ma niente interviste, nessuna notizia che possa far capire meglio chi siete. Il vostro sito ufficiale è un monumento al minimalismo. Il primo concerto a tre anni di distanza dal primo Ep. Una scelta voluta o solo la nobile arte della pigrizia?
Diciamo la seconda che hai detto….per il primo concerto abbiamo aspettato di arrivare a 30 minuti di repertorio.
Voi siete attivi da diversi anni con altri progetti noti della scena capitolina, tra cui ricordiamo Blueprint e Zo.e. Come è nata l’esigenza di formare gli Snow In Mexico?
Alla fine ci siamo rotti delle salette prove e dei batteristi umani e ci siamo chiusi in una stanzetta.
Tra l’altro, il nome del gruppo è un omaggio a Mark Gardener, cantante e chitarrista dei Ride? Non solo Snow In Mexico è una canzone della band inglese, ma una traccia del vostro primo Ep si intitola proprio Ride. Più chiaro di così…
Infatti…anche se non abbiamo mai ascoltato la canzone di Mark Gardener, ci piaceva il nome e l’immaginario che evoca, e poi grazie a questo nome è stato facile raggiungere il primo posto nei motori di ricerca su internet visto che la neve in Messico è abbastanza rara.
A proposito dei due Ep, quattro tracce ognuno e la possibilità di scaricarli dal vostro sito ufficiale. Qual è la filosofia alla base di questa scelta? E se questi due Ep sono solo la punta dell’iceberg, è in programma qualcosa di più corposo, un album intero magari?
La filosofia è il non prendersi troppo sul serio. Non siamo noi a dover dare un valore alla nostra musica ma lo fanno gli altri con le eventuali donazioni o semplicemente scrivendoci cosa ne pensano, solo questo ci gratifica e ci fa venire voglia di continuare a fare altri pezzi. Un album intero ci sembra un’utopia; iniziamo sempre con molte idee ma poi strada facendo ne scartiamo circa la metà. Anzi è possibile che i prossimi pezzi in cantiere usciranno direttamente come singoli.
Nel 2009 il vostro Ep omonimo è stato prodotto dalla Raise Records, mentre per “Prodigal Summer” avete optato per un’autoproduzione. C’è un motivo particolare?
La Raise era un progetto dei nostri amici Alessio e Fabio allo studio di registrazione Wax che ci hanno aiutato col primo Ep in fase di missaggio e mastering; l’autoproduzione è un modo di fare di necessità virtù.
Torniamo al vostro genere musicale, che potremmo definire tra lo shoegaze o il dream pop. Finalmente qualcuno che percorre questa strada, ma parlare in Italia di shoegaze, non è un po’ come intavolare una discussione sugli unicorni? Intanto ditemi se vi riconoscete nella definizione che ho dato e cosa ne pensate della situazione attuale al riguardo.
I nostri ascolti variano molto, però effettivamente quando componiamo andiamo a finire verso quelle sonorità. Non lo facciamo apposta. Il genere musicale di riferimento non ha importanza, quello che conta è esprimersi ed essere sinceri.
Quali sono le influenze maggiori, in quali gruppi vi riconoscete o semplicemente quale musica gira nel vostro lettore?
Andrea: Attualmente ascolto più roba elettronica. Un disco chitarre/batteria che mi è piaciuto molto ultimamente è stato quello di Lotus Plaza, “Spooky Action At A Distance”.
Massimiliano: Le mie influenze sicuramente sono The Byrds, Syd Barret, Jesus and Mary Chain, MBV, The Radio Dept. Nel mio lettore girano Anoraak, College, Gypsy & the Cat, Lo-Fi-Fnk, Palpitation, Flume, Azure Blue, The Sound of Arrows, Tesla boy.
Quello che mi ha colpito maggiormente delle vostre creazioni, è la grande cura che dedicate alla ricerca delle sonorità e all’uso degli effetti. Nulla sembra lasciato al caso e la qualità sonora è incredibilmente sopra la media delle produzioni al momento in circolazione. Quanto è importante, per una band come la vostra, il “wall of sound”, ottenere quell’onda sonora perfetta?
Grazie per l’immeritato complimento.
Per la composizione e i suoni siamo maniacali; per le voci e gli arrangiamenti di chitarra improvvisiamo e registriamo direttamente buona la prima. Ci piace pensare che l’interpretazione migliore è sempre quella più spontanea e immediata. Non siamo grandi esperti nella registrazione e nel missaggio, facciamo tutto da soli e tutto un po’ a cazzo. Probabilmente siamo fortunati e comunque chi poi deve fare il mastering piange.
Nella composizione delle tracce, pensate prima al riff o all’atmosfera da creare? Come nasce una canzone degli Snow In Mexico e chi si occupa di cosa?
Andrea: Io faccio tutto e Massimiliano beve vino.
Per quanto riguarda le parole? C’è la cura anche per il songwriting o vengono scelte delle frasi evocative che contribuiscano a delineare i paesaggi musicali che così bene riuscite a produrre?
I testi non ci sono, sono suoni a caso. Ci piace la voce come strumento e non ci interessa dire nulla. La musica e il linguaggio azionano parti diverse dellapercezione e a noi piace che rimangano distinte.
Per anni nel silenzio, poi la prima esibizione live al Circolo degli Artisti in una serata di punta come il sabato durante Screamadelica. Tra pochi giorni il concerto con i God Is An Astronaut, come vi sentite? Perché uscire ora e così in pompa magna?
Andrea: Siamo vecchietti e di concerti in giro ne abbiamo fatti abbastanza in passato, accettiamo solo serate interessanti. Oltretutto il live è una dimensione che non ci appassiona. Essendo in due abbiamo ovviamente molte backing track. È tutto molto difficile da organizzare, anche le luci le programmiamo noi e le controlliamo via midi. Oltretutto devi fare affidamento sul pc che si può inchiodare. Sembra un po’ come pilotare un aereo con mille bottoni mentre devi cantare e suonare. Ho nostalgia de miei live post punk con gli Zo.e: mi ubriacavo, attaccavo il basso all’ampli e iniziavo a scapocciare.
Questi live sono l’inizio di una serie, magari in giro per l’Italia e con un occhio all’estero?
Sarà improbabile.
Ragazzi, io vi ringrazio per aver risposto alle mie domande, per avermi/ci dato l’occasione di conoscere meglio gli Snow In Mexico e chiudo dicendo che non seguire questo gruppo andrebbe punito con almeno una ceretta integrale a settimana e che se non sarete all’Orion per gustarveli dal vivo, sbrigatevi a recuperare le loro canzoni ché poi vi interrogo.
Agnese Iannone
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