Come ti pare. Segnala i libri, i film, le canzoni a chi di dovere, ma saranno loro a farsi trovare al momento giusto. Sono passati un paio d’anni da quando un utente firmatosi Alessio Santini (e presumo sia abbastanza il suo nome) lasciò sotto le mie righe una canzone dei Sick Tamburo. La ascoltai e lì rimase.
Qualche giorno fa ero in cerca di qualcosa per cogliere d’anticipo la primavera e mi è tornato in mente, un po’ per caso, il commento, il gruppo, la canzone. Mi sono rimesso sulle tracce della traccia e proprio in quei giorni i Sick Tamburo avevano rilasciato il nuovo singolo. Questa è più o meno la troppo lunga storia di come è per me iniziato “Un giorno nuovo“
L’ho ascoltata a ripetizione. Ore, poi giorni. Fuori era nuvoloso e io continuavo a tenerla nelle orecchie fino ad addormentarmi, dentro era nuvoloso e io continuavo a cercare il tintinnio del metallofono: «pensa a quello che siamo / pensa a quello che saremo».
Non avevo la minima voglia di pensare a quello che ero, tantomeno idea di cosa sarei stato. Eppure ero instancabilmente lì.
La semplicità ai limiti del banale di un «ci stringeremo sempre, sai, niente ci fermerà» continuava a suonarmi vera, un’eco di speranza mista a «una sorta di amara malinconia».
E poi c’era un’altra frase che insisteva a carezzarmi e mi chiedevo come avesse fatto a uscire e a infilarsi lì: «scienziati studiano cose, tra queste cose ci siamo anche noi / Sconfiggeranno quei mali, quelli più brutti quelli più neri». La mia sensazione era solo un presagio?
Non direi, perché quando ho finalmente potuto ascoltare il disco per intero quel presagio ha trovato conferma. Sì, perché sono convinto che le nove tracce di “Un giorno nuovo” (La Tempesta Dischi/distr.Master Music) siano il mosaico di un’unica storia, frammenti legati da un tema unico e insidioso: la malattia.
Sia chiaro che quanto sto per dire potrebbe frutto di teorie strampalate, che domani potrebbe telefonarmi Gian Maria Accusani che ha scritto i brani o l’altra metà del duo Elisabetta Imelio per mandarmi amabilmente a quel paese. Forse sto per prendere una sonora cantonata, ma ne ho fatte di peggio nella vita e quindi va bene così.
«Un giorno nuovo è il giorno in cui riusciamo a vedere il mondo per quello che veramente è, senza tutti i filtri dell’educazione che ci accompagnano da sempre. È il giorno in cui lasciamo andare la maggior parte delle cose a cui davamo vitale importanza, rendendoci finalmente conto che di importanza non ne avevano alcuna. È il giorno in cui lasciamo andare tutte quelle cose che sono solo estensioni del nostro ego e ci rendiamo conto di quanto sia importante vedere il sole che si alza al mattino. Il giorno nuovo è il giorno del grande cambiamento. Del cambiamento dentro di noi».
Queste le parole con cui i Sick Tamburo (“tamburo malato”, sic!) presentano il loro album. Si parla di uno sguardo nuovo sulle cose, insomma, nessun accenno a malattie e affini. Però “Un giorno nuovo” è un disco nel vero senso della parola. La sua forma è circolare in tutto e per tutto, va ascoltato per intero e poi rimesso da capo, si devono raccogliere indizi a ogni passaggio e poi aggiungere pezzi al mosaico. Il primo sguardo nuovo, infatti, si acquista non appena si arriva alla traccia finale: “La fine della chemio“, brano che diventa l’album di figurine su cui attaccare le altre otto canzoni.
Sono fotografie sparse da rimettere in ordine, istantanee che raccontano la vita di una coppia fratturata all’improvviso, quando Lei scopre che le sue cellule sono impazzite, che ha un animale dentro. E la sta mangiando.
«Voglio le tue labbra qui,
i piedi e poi i tuoi denti.
Sei sempre malinconica
cos’è che pensi?».
Il rapporto tra i due si intravede in filigrana, spesso appena tratteggiato. Sbalzi d’umore sonori delineano momenti di alti e bassi, di speranza, sconforto, carnalità. Tutte cose che si trovano lungo la strada dissestata che passa in mezzo alla malattia e dalla quale non si ha la certezza di uscire. Un motivo in più per avvinghiarsi alla vita.
Si passa allora dalla distanza tra i due in “Sei il mio demone“, dove un Lui inconsapevole cerca un contatto con una Lei quasi assente, a quella che sembra una stanza d’ospedale di “Con prepotenza“, i cui macchinari vengono evocati dalle stridule note di chitarra. È qui che si ribaltano i ruoli, qui che Lei decide di prendersi tutto quello che può, invitando il suo uomo a lasciare in corridoio lacrime e angoscia e a concentrarsi su quello che hanno, ché tanto «è così, non ci
si può far niente»:
“Entra piano ed usa bene le ore, farmi star bene fa star bene anche te
[…]
Entra piano prima che sia tardi, domani non è detto che io sia qui
Entra e lascia i tuoi pensieri di fuori, qualche minuto di serenità
[…]
Entra dentro, entra fino a toccare la pace di chi si illumina
Entra piano e dimmi quelle parole che mi fanno sentire libera
con prepotenza”.
«Non ci si può far niente», bisogna accettarlo. Perché accettare la malattia significa, in fondo, accettare la vita stessa per quello che è, con le sue regole e le sue presunte ingiustizie. “Si nasce, si muore, si prova dolore / si odia, si ama, c’è gioia e rancore / si arriva, si parte per posti lontani / si è luce, si è buio, si cambia ogni istante / si arriva e si parte”. Ma accettare non è sinonimo di rinunciare, e la speranza accompagna tutto il disco, dall’inizio alla fine, dagli scienziati che vedrai troveranno nuovi rimedi fino a quando la chemio sarà comunque finalmente finita.
Ma (spoiler alert!, come dite ‘noi’ giovani) l’ultima canzone, “La fine della chemio“, non è il lieto fine, non racconta di come lei sia uscita indenne, sana e salva, e non mette nemmeno un punto sulla vicenda. Ma è la coperta che avvolge due persone che, in ruoli diversi, stanno affrontando lo stesso ostacolo, stringendosi.
«Festeggeremo la fine della chemio fianco a fianco su quel palco
e starai bene, sai, e finirà anche il buio, tante cose cambieranno.
I tuoi capelli lunghi, quelli cresceranno di un colore che è un incanto
e se non cresceranno allora, sai, ti dico allora starai meglio senza
[…]
e rimarranno i segni ma sembrerai più bella, il tuo sorriso ha vinto
e le paure, quelle, quelle qualche volta quelle ancora torneranno».
Vedrai, la scienza fa miracoli, andrà tutto bene, ce la faremo. Sono frasi di circostanza forse, ma sono indispensabili per ripararsi dall’incertezza che ti piove addosso e che rischia di impantanarti le gambe. Bisogna sforzarsi di puntare verso il sole che, in un modo o nell’altro, deve esserci in fondo alla strada. Una strada che non facciamo da soli: “Meno male che ci sei tu“, la settima traccia del disco (in cui troviamo ospite Motta, reduce del successo del suo primo album) è un mantra per ricordarsi la fortuna di avere qualcuno che affianca i nostri passi, perché in qualche modo la malattia contagia anche le loro vite. Chi ci è passato può “capire perché”, ed è proprio questo, alla fine di tutti i conti, il punto nodale: capire.
La cosa più ricorrente all’interno dei nove brani non è la malattia, la morte, l’amore, la speranza, oh no.
Inizia tutto dalla prima canzone «Nessuno capirà, nessuno capirà perché», si passa per la terza «…e poi correremo e qualcuno capirà», per la settima «meno male che ci sei tu che puoi capire perché», per arrivare infine alla fine:
«e si potrà capire quello che è importante quel che vale veramente
[…]
e si potrà capire
finché il sole si alza si potrà capire perché
finché il sole si alza non si muore, non si muore
finché il sole si alza si potrà capire perché
finché il sole si alza non si muore, non si muore».
Non si tratta di accettare la malattia, si tratta di dargli un senso, un valore, di trasformare la disgrazia in benedizione. Scriveva Italo Calvino ne “Il visconte dimezzato“:
«Se mai tu diventerai metà di te stesso‚ e te l’auguro‚ ragazzo‚ capirai cose al di là della comune intelligenza dei cervelli interi. Avrai perso metà di te e del mondo‚ ma la metà rimasta sarà mille volte più profonda e preziosa. E tu pure vorrai che tutto sia dimezzato e straziato a tua immagine‚ perché bellezza e sapienza e giustizia ci sono solo in ciò che è fatto a brani».
La certezza dell’incertezza ti trasforma, passarci dentro è il mezzo per capire, davvero. Possiamo far ripartire il disco da capo e rileggere tutto con occhi nuovi, e all’improvviso eccolo il giorno nuovo che arriva, quello che in cui hai aperto lo sguardo, che ti cambia dentro. La prospettiva è completamente diversa, ciò che sembrava irrinunciabile non lo è più ora che sai dare un valore nuovo a ciò che ti circonda. Perché adesso sì che possiamo capire quello che c’è intorno, quanta forza si può trovare in un abbraccio, quanto è caldo svegliarsi ancora al mattino. Rimarranno i segni, certo, ma proprio per quello sembreremo ancora più belli.
Questo è per me Un giorno nuovo, e sa di primavera.
Come la primavera di alcuni anni fa, quando gli scienziati mi dissero che dovevano aprirmi la testa ed estirpare uno dei mali più brutti, quelli più neri. Eppure eccomi a scrivere, ancora, con uno sguardo tutto nuovo.
Il sole è alto, le rondini ritornano. Non ho voglia di pensare a quello che sono, tantomeno idea di cosa sarò. Eppure sono instancabilmente qui.
Matteo Mammucari
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Bellissimo articolo per un ottimo disco…
Bravissimo Mammucari!
Wo!!! A questo punto non vedo l’ora di ascoltare tutto l ‘album
Grazie Matteo una recensione dettagliatissima in ogni senso !
<3
un viaggio dentro al disco……..da ascoltare con questa recensione vicina al cuore
bell’articolo di Matteo. complimenti sempre
Intanto i Sick mi sa che hanno sfornato un altro bellissimo lavoro,curiosissima! il singolo lo ho adorato fin da subito anche io :)))
FORZA COL TAMBURO! SEMPRE AL TOP!
il singolo e’ molto bello,e da questa recensione l’intero album sembra molto interessante. loro sono comunque una realta’ fantastica,sempre belle cose. dall’articolo il disco sembra essere molto profondo, dai rimandi ciclici ed esistenziali……speriamo funga davvero da catarsi per poter CAPIRE
bravo davvero Mammucari, grazie!
Non sempre l’arrivo della primavera può sembrare un giorno nuovo.
Si può pensarlo ogni anno e può non esserlo mai.
IL DISCO MI STA PIACENDO TANTISSIMO. LEGGERNE QUI POI MI HA APERTO NUOVE INTERPRETAZIONI. GRAN BELL’ARTICOLO DI MAMMUCARI
I SICK SONO FANTASTICI
riascoltero’ il disco attraverso questa lettura. grazie Matteo, davvero una splendida recensione
…sento che si puo’ cogliere qualcosa della lettura nel personale /ascolto di ognuno di noi
dietro quello stile scanzonato c’e’ la sofferenza della speranza . interessante lettura del disco . i sick tamburo sono sempre stati duali nel loro stile, e li adoro !!!
complimenti oltre la collina ! :))
capire perché ci accadono certe cose …. capire perché si soffre … perché le paure tanto torneranno ,spezzate dalla vita per profonde illuminazioni come dice il Calvino citato da Matteo M.
….tutto per un giorno nuovo? speriamo ….
mamma mia…Mammucari aveva capito tutto. riascoltare oggi quel disco,e aver letto questa recensione… brividi,brividi
una grande perdita.
grazie matteo per questo tuo meraviglioso contributo