Allo stato attuale è ipotizzabile un sistema di produzione e vendita-scambio di beni che non sia quello capitalistico? Per quanto la cosa mi dispiaccia assai, credo proprio di no.
I vari esperimenti che sono stati contrabbandati per alternativi al capitalismo non sono stati altro che “Capitalismo di stato” dove la logica produttiva era la stessa, la sola differenza che si poteva riscontrare era che a detenere la maggioranza delle azioni delle imprese e a goderne i frutti era lo Stato e non singole famiglie o società private e che i proventi, ipoteticamente, sarebbero dovuti andare a beneficio di tutta la collettività.
In verità, la storia lo ha dimostrato, in tale situazione spesso si sono verificati non solo fenomeni di accaparramento, corruzione e clientelismo nascosto da parte dei leader (vedi p.e. Arafat), ma anche, la dove ciò non è avvenuto in disorganizzazione nella distribuzione dei beni, disinteresse della popolazione e calo nella crescita economica.
Questo giudizio negativo del cosiddetto socialismo reale non è teorico ma fondato su esperienza diretta. Tanti anni fa, quando ancora la Jugoslavia non era divisa in diverse entità statali, sono stato in un campeggio ..devo dire che era veramente “fetente”. Quando ho fatto notare al gestore le cose che non andavano e, in amicizia, gli ho suggerito alcune migliorie, mi sono sentito rispondere: «E perché dovrei faticare? Lo stato mi paga in modo fisso a prescindere se qui c’é un solo campeggiatore o mille ..a me sta bene così». Sullo stesso tenore fu un altro commento alcuni anni prima, mi era stato dato da un giovane cubano che avevo incontrato nel corso di un summit tra una delegazione “politica” cubana e il gruppo politico di cui facevo parte: «Il problema più grosso di Cuba è l’assenteismo nelle fabbriche ..e sai qual è la causa? Che bene o male lo stato assicura a tutti la casa, l’assistenza sanitaria e il mangiare ..e allora la gente si chiede “perché dovrei andare a faticare se tanto non ottengo nessun vantaggio economico? Del famoso e tanto da voi decantato incentivo morale non frega niente a nessuno». Da quanto detto fin qui non posso dedurre altro che il problema di fondo per il superamento del capitalismo risieda nell’azzeramento della “bassezza” dell’essere umano e del suo cieco ed innato egoismo e non nell’ipotizzare la presa del potere da parte del proletariato (ma esiste ancora o si è allineato ai valori borghesi?).
Partendo dal presupposto che la teoria secondo la quale il libero mercato, se lasciato agire, è in grado di correggere le disfunzioni e di allocare le risorse in un modo tendente all’equità è falsa, basta guardarsi attorno per rendersi conto che la realtà che ci circonda non fa altro che, purtroppo, confermare la fondatezza della tesi malthusiana (i poveri e i reietti non possono far altro che restare in attesa di essere spazzati via dalla fame, da una malattia inguaribile, o da una “salvifica” catastrofe naturale), perciò occorre correre ai ripari ed apportare modifiche a questo scassatissimo sistema ormai agli sgoccioli.
A nulla serve che i nostri politici di destra o sinistra ci ripetano, a scadenze quasi fisse, che il momento è si difficile, ma che presto, dopo un poco di sofferenza e qualche inevitabile vittima, ci sarà la ripresa e staremo tutti bene, è una pietosa bugia che tace su di una questione fondamentale: trascorsi alcuni anni ci sarà un’altra crisi ancora più grave e devastante di questa, e fare questa affermazione non vuol dire essere dei menagramo ma realisti, le crisi cicliche sono nella logica stessa del sistema di produzione capitalistico.
Tuttavia fantasticare su di una società priva di denaro dove tutti si viva in beata armonia è fiato perso e credo che, visti i modelli di vita che ci vengono proposti dai media, neppure il più acceso bolscevico no-global sia disposto a rinunciarvi realmente. Un mio ex amico (abbiamo litigato recentemente in modo irreparabile) per lungo tempo mi ha subissato di mail in cui, entrando nei minimi particolari, declinava la futura ed imminente società ideale da lui ipotizzata. In sostanza affermava che tutto l’occidente avrebbe dovuto coalizzarsi in un unico organismo politico ed economico sganciato dalla dipendenza dal petrolio e dare origine ad una società non consumistica senza denaro, dove il lavoro manuale ed alienante non esiste più perché sostituito dalle macchine. Quando, dopo aver espresso apprezzamento per il suo progetto, gli ho chiesto come ci saremmo potuti arrivare, mi ha risposto che la cosa non lo interessava minimamente, lui aveva individuato il punto d’arrivo, non la strada ..e nel frattempo avrebbe seguitato a condurre la vita di sempre, adattandosi.
Mettendo da parte la mia visione catastrofica al limite di un millenarismo senza Messia, dove un vero mutamento all’interno della situazione attuale potrà avvenire non ad opera del proletariato o di un ipotetico “grande Timoniere”, ma solamente dopo che tutto sarà crollato per implosione a causa della sovrapproduzione delle merci e di una crisi energetica globale che sfoceranno in una inevitabile guerra autodistruttiva, non essendo io ancora propenso a fare per depressione Seppuku (cfr Bushido), non mi resta altro da fare che rivestire le spiacevoli sembianze del riformista (cosa che, tra l’altro, caratterialmente, mi si addice assai poco, e ben consapevole che il riformismo può essere tacciato di essere un’ambigua strada che non fa altro che consentire al capitalismo di sopravvivere e che non si eviterà le crisi ..la si posticipa un poco e, forse, si potranno evitare un poco di vittime).
Da anarchico individualista convinto sono, paradossalmente, favorevole ad uno Stato che intervenga pesantemente nella vita reale sia con normative che mettano paletti al liberismo sfrenato che con investimenti (anche a fondo perduto) al fine di erogare redditi diffusi che possano essere spesi in beni di consumo e rilancino l’economia e il benessere.
Per porre un limite alla crisi attuale occorre avviare una politica economica coerente e unitaria che rimetta al centro il lavoro incentivando e sostenendo la creazione della piccola e piccolissima impresa dove la qualità e unicità del prodotto potrà essere la vera strategia per contrastare l’invasione di prodotti seriali a basso costo e infima qualità.
Occorre prevedere l’adeguamento dei salari al tasso reale di inflazione; il taglio degli stipendi e pensioni d’oro (soprattutto quelli statali); l’abbassamento dell’imposizione fiscale; la nazionalizzazione dei servizi con l’introduzione di premi di produzione e dividendo degli utili per tutti i livelli; l’introduzione obbligatoria per le aziende private della divisione degli utili con i salariati.
Queste ipotesi hanno attirato su di me l’accusa di stalinismo ..niente male per una persona che è stata espulsa da più organizzazioni politiche in quanto dichiarata “ingestibile”.
Melog