Sallustio ovvero dell’eredità (2^ Puntata)

di Andrea Tozzini

Sallustio sperticò lungo la scaletta dell’elicottero, seguito da Olimpida, sua moglie. Raggiunta che ebbe la cabina, diede un calcio al pilota e nervoso si pose alla guida dell’apparecchio. Gli frullavano in testa mirtilli, banane e aspartame a forma di pensieri, e tutto intorno a questi formiche fameliche se li divoravano, senza lasciarlo ragionare. In men che non si dica raggiunse villa De Pupponi, l’abitazione estiva dei suoi zii e atterrò senza farsi troppo sentire. La selva di domestici, camerieri e badanti accorse, per lo più in mutande e costume, vista la prolungata assenza dei padroni di casa.

 

– Sallustio! – gridò Manfredi, il domestico anziano – ma come cazzo guidi! un altro po’ e mi porti via le mutande! –

– Manfredi sarebbe stato terribile, ma perdonami ugualmente, sono dell’umore dei tuoi peli pubici! – si scusò Sallustio.

– E che sarà successo mai? – chiese il domestico, che intanto gli porgeva un long island.

– Niente niente. Senti, mi ritiro a far quattro sconvenienze con mia moglie, la camera degli zii è aperta, no? –

– Come sempre Sallustio. Ah – disse Manfredi mentre quello si allontanava – è passato quel coglione di tuo fratello ma è già andato via. Non so forse cercava tuo zio, io stavo ammollo in piscina quando è arrivato quindi non l’ho considerato più di tanto –

– Come mio fratello? Ma gli hai detto che è morta la vecchia? – chiese Sallustio

– Te l’ho detto Sallù, manco ci ho parlato! –

Sallustio e Olimpida per mano entrarono nell’angusto villone. Raggiunta la camera dei suoi zii cominciò a rovistare ovunque buttando tutto all’aria. Cercò in cassetti, armadi, s’infilò sotto il letto, dietro le tende, addirittura ribaltò il secretaire dello zio, per vedere se magari sotto stava appiccicato il famoso testamento. Ma tutto si concluse con un nulla di fatto. Passò allora nella stanza dei cugini Morlacchio e Bebone, che sebbene entrambi ammogliati dormivano ancora insieme, su un terribile letto a castello. Bebone che era il più robusto dormiva di sopra, Morlacchio s’era lasciato convincere a dormire nel letto di sotto. Anche qui Sallustio scaraventò tutto per l’aria e anche qui non trovò nulla.

– Stronzi! – gridò, poi si mise a pensare – quelli che soffrono e quelli che soffrono troppo. E una porzione può essere grande quanto? Se la fame avesse denti veri ed etimologie chiare. Lo smalto sulle unghie dei miei desideri così alla deriva così soli così inciampati. Olimpida non dubitar che t’amo e non dubitar del mio fallimento e ti prego distruggimi. Il biglietto da visita dei miei colori è l’argine imperfetto di una fibonacci già finita. Complementare al nulla è questo mio occhio e vaga ogni falsità in quanto vera. C’è luogo più solo della mia camicia? Benvenuto ti presento il mostro. Com’è che l’hai chiamato? In fondo al filo dei labirintici intrugli della menzogna, piacere! E sventolare condizioni è il compito della miseria e della vita, sotto il mio naso consumato sotto la neve annegata sotto i vostri sentimenti. Gonzo chi crede e chi si crede gonzo non crede –

Olimpida lo scosse perché da tanto ormai Sallustio giaceva in questi pensieri.

– Oh vita d’agosto! – disse quello – andiamo – e se ne tornarono sull’elicottero.

Venne il giorno appresso corrispondente a quello esatto del funerale della vecchia nonna. In gran pompa tutta la famiglia era riunita dietro al carro mortuario, e tutti nel paesello stavano affacciati alla finestra, chi a segnarsi chi a togliersi il cappello. Sallustio veniva per ultimo, da solo perché così aveva chiesto a Olimpida, e stretto nel panciotto rosicchiava di tanto in tanto un gemello d’oro bianco. Tutti si disposero sulle panche della chiesa, dalla prima fila in giù, e Sallustio si sedé all’ultima, in disparte per poter fumare in pace. Gli passò accanto fra Baldone, che avrebbe officiato la cerimonia e gli si fece vicino.

– Ah! Condoglianze Sallustio! Sa Dio quanto tua nonna mancherà a questa parrocchia! – disse il prete quasi piangendo.

– Via Baldone, via… non piangere e sta’ su. So bene quanto te la spassavi con la vecchia Procida mia nonna. Mancherai anche a lei, posso assicurartelo, posso assicurartelo – disse Sallustio posando una mano sulla spalla di quello.

– Ma, Sallustio! – si sorprese fra Baldone – come? … –

– Via via… c’è un funerale che ti aspetta, e tutti aspettano te per andarsene in pace e tornare alle loro ore fantasma! – si cimentò Sallustio, e il frate, con la faccia sconcertata, si diresse all’altare.

Fra Baldone iniziò la messa funebre, ma non appena ebbe pronunciato il ‘nel nome del padre’, il grosso portale della chiesa cigolò in tutta la sua maestà. Era Bontone, il fratello minore di Sallustio, avvocato presso la corte di Buckingam Palace, tornato a casa solo per il funerale.

– Bontone! – gridò la marchesa Asmatici andando in lacrime verso suo figlio – finalmente! Finalmente un animo sensibile cui confidare il proprio dolore! – e sgorgò in pianti caustici.

– Figliolo, che nobiltà d’animo la tua – aggiunse suo padre il marchese De Stanco.

Sallustio si limitò solo ad alzare gli occhi al cielo, come a rivendicare almeno un sacrosanto diritto alla rottura di coglioni.

– Mamma, papà! Sono partito appena ho saputo. Sono così triste, addolorato, non ho smesso di piangere per tutto il viaggio ed ora… – quasi ricominciò a piangere. – Sallustio! – chiamò – vieni qui ed abbracciami, tu che più di tutti amavi nostra nonna! – e allargò le braccia perché il fratello venisse.

– Amare nostra nonna? – rispose immobile Sallustio – Io l’odiavo tua nonna, ed ora che è morta l’odio ancora di più –

– Ma Sallustio! Che dici? Sei impazzito? – disse Bontone

– Dico che in funzione dell’amore che vedo qui rigurgitato, da questa parabola di vomito allo zucchero io mi tuffo giù dal trampolino nell’area sottesa dall’odio, ch’è così ch’ho intenzione di chiamar l’amore da prima in avanti – rispose Sallustio.

– Bontone, la morte della nonna ha sconvolto Sallustio! Non è più in sé! Straparla, dice cose strane, alla camera mortuaria hanno dovuto tenerlo come si fa coi pazzi… era convinto di parlare con la nonna per dio! Ma ora ci sei tu, ora tu… – disse la contessa.

– Ora tu, ora io Bontone, è vero. L’identità è un duello tra due fratelli con la stessa testa. Ma qui abbiamo invece anche due corpi, che si precedono e si seguono. Come tu a casa degli zii ed io appresso a te, ed ora io qui e tu dopo di me –

– Sallustio basta con queste farneticazioni! – sbottò il marchese padre.

– Sallustio è vero, sono passato dallo zio Parnaso e v’ho trovato solo quella servitù debosciata, e anche a casa dei nostri genitori ero passato senza trovar traccia di voi. Così ho intuito che tutti aveste osservato la veglia funebre per la povera defunta –

– Che c’è di povero nella morte, se pone giustizia tra un miserabile fallito e un principino biondo – disse Sallustio accarezzando i capelli del fratello.

– Sallustio! C’è bisogno che tu ti faccia vedere! – rispose allarmato Bontone.

– Non mi vedi tu, fratello? E tu mamma, non mi vedi? E papà! – gridò – sono finalmente invisibile così da poter piangere in pace? –

– Povero Sallustio! Ti sei ridotto proprio male! – disse la marchesa Asmatici

Intanto dall’altare fra Baldone cercava di capire cosa stesse accadendo laggiù in fondo e chiese al conte Parnaso di ragguagliarlo.

– E’ Sallustio, padre. La morte della marchesa Procida l’ha sconvolto, e da due giorni straparla e sragiona – gli disse quello.

– In effetti – si disse fra sé Baldone – poco fa se n’è uscito anche con me con una di queste manifestazioni. Conosco da molto Sallustio,  conosco pure il suo temperamento, ma m’è sembrato troppo pure per lui l’aver detto quello che m’ha detto… che gli sia piombata addosso la pazzia? –

di Andrea Tozzini

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