Roma Brucia 2016

Una due giorni che raccoglie i migliori artisti indipendenti della capitale. "Il festival delle band romane che spaccano" sta infatti crescendo anno dopo anno e non si smentisce neanche per quest'edizione..

Appuntamento molto atteso nella programmazione estiva romana è Roma Brucia, una due giorni che raccoglie i migliori artisti indipendenti della capitale (no, non chiamiamola #scenaromana, per favore. Sì, lo so che c’erano anche le magliette nere autocelebrative #scenaromana; fanno quasi tenerezza, un po’ come quando vedi tua sorella piccola ballare davanti allo specchio pensando che nessuno la stia guardando: auto-incoronazione e auto-celebrazione, come se il mondo dell’Internet fosse il mondo reale; autori e discografici attuali che cercano un posto nel mondo musicale e se lo auto-assegnano, ma come ha detto Motta “potete parlare di #scenaromana quanto volete, ma se non citate Riccardo Sinigallia m’incazzo” e -aggiungiamo noi- Niccolò Fabi e Daniele Silvestri e Antonello Venditti e Luca Barbarossa…).

Ne ha fatta di strada dal Piazzale del Verano dove la manifestazione si è svolta la prima volta fino ad approdare sulle sponde del laghetto di Villa Ada lo scorso anno, segno che gli organizzatori ci avevano visto lungo già nel 2012.
Anche quest’anno il Festival prevedeva due palchi: il principale intitolato a Nerone ed il lake stage, più piccolo e vista lago. L’organizzazione era ben strutturata così che le esibizioni sui due palchi si alternassero senza mai sovrapporsi l’uno all’altro.

 

Venerdì alle 18 la giornata era sold-out e i primi agguerritissimi fan avevano già conquistato la transenna; l’apertura è toccata a John Canoe con le sue sonorità surf-garage.

L’atmosfera si è scaldata con Lucio Leoni (che avevamo già conosciuto qui e qui) salito sul palco Nerone con i Lorem Ipsum al completo, Giancane con la sua band e Lucci della crew Brokenspeakers.. primo e unico rapper a calcare il palco di Roma Brucia 2016. Mattatori incontrastati della serata.

I Lorem Ipsum hanno riempito molto bene il palco e tenuto la situazione ottimamente: un Lucio Leoni scatenato sul palco ha infilato una dopo l’altra canzoni vertiginose che raccontano dei gatti di Roma, del primo giorno di scuola, di un viaggio reale o immaginario sulla luna… Canzoni velocissime, piene di parole, a tratti rap, alternate a ballate più lente per riprendere fiato; il live di Lucio diverte e fa pensare grazie ai testi intelligenti che comunicano molto di più di ciò che dicono.

Cappellino, pantaloncini corti e t-shirt con scritto “Gesù solo – solo GesùGiancane sale sul palco accompagnato dalla sua band, da Giampiero Giuli “il danese volante” di Radio Rock ed Alessandro Marinelli (“il fisa” suo compagno di band ne Il Muro del Canto) ed incendia il pubblico con il suo cinismo scanzonato e un attitudine da paraculo che non può non farlo amare. La fine trash anni ‘90 con la cover del mitico Gigi D’Ag (a cui ‘il fisa’ si ispira nel suo vestito da marinaio) le cui sonorità si ritrovano anche nell’ultimo riuscitissimo singolo di Giancane, “L’ultima estate“, fomentano ancora di più il pubblico che canta a squarciagola con le braccia alzate e gioca con i Super Tele lanciati dal palco.

Lucci arriva in punta di piedi accompagnato solo da Dj Ceffo; «Ceffo è la mia band. Gli altri hanno chitarra, basso, batteria, tastiere; la mia band è lui, che crea le basi su cui io rappo». Lucci presenta il suo concerto come un movimento altalenante tra momenti tristi e cose belle “ma soprattutto momenti tristi” e ricorda alla platea come «Il rap che faccio io si basa sulla vita mia e sul fatto che mi alzo alle 6; il rap è vita vera, non è la pubblicità del cornetto che sentite in televisione». Grazie Lucci, amen.

Il palco Nerone è un palco enorme per Lucci e Ceffo, come è enorme il pezzo di storia che entrambi hanno creato nel rap underground di questa città e dell’Italia intera; e il pezzo di storia che si portano dietro cresce ancora di più quando sul palco salgono Danno dei Colle der Fomento e Nicco della crew Brokenspeakers per “Spaccaossa“, “Cingolati“, “Cattive notizie“.
È un live pieno di ospiti quello di Lucci: Giulia Anania (“La collina“, “Resta con me“) ma anche Roma Underground su “Roma chiama sangue“. Doveroso il ricordo di Primo Brown, scomparso quest’anno.
Lucci e tutti i suoi fratelli si rivolgono ad una folla che attendeva scalpitando Calcutta ma che si è lasciata fomentare dalle rime dei rapper; è proprio alle parole che Raffaele chiede attenzione «Sentite le parole, sono importanti: ci abbiamo messo la vita» ed è proprio di vita vera, sudata, graffiata, magari sfigata ma onesta che rappa Lucci in un live che ricorda da quale parte della barricata stare.

Calcutta-coper E poi arriva lui, l’artista del momento, l’idolo delle folle, accolto con urli e strepiti che fanno invidia a Justin Beiber: Calcutta. Accompagnato dalla sua band, Edoardo presenta davanti a una folla immensa accalcata in ogni angolo di prato di Villa Ada i brani di “Mainstream” alternandoli con i brani più datati tra cui “Dinosauri” e la mia preferita in assoluto “Pomezia“.
Calcutta è stato l’autore più amato, più odiato e più chiacchierato dell’anno: da cantautore punk a idolo delle folle, si vocifera stia lavorando ad un pezzo con J-Ax e si sentono forti gli echi delle voci “Venduto!!!!!!”, “Non cambiare!!!” che lottano contro “Che bello i miei due miti insieme!”, “Vai Calcutta insegna a J-Ax a scrivere un pezzo indie!”; per quanto mi riguarda a me Calcutta piace, ma mi piaceva già e molto anni fa quando suonava al Fanfulla sdraiato per terra con la chitarra scordata. Al concerto di Villa Ada, per la prima volta dall’uscita di “Mainstream“, ho visto un cantante credibile, un po’ troppo “a là Vasco Rossi” per i miei gusti personali, ma assolutamente credibile.

Quello che mi ha lasciata sorpresa ed anche un po’ basita è stata l’età eterogenea del pubblico: dagli adolescenti ai quarantenni, uomini e donne; tutti che cantavano a squarciagola le canzoni e che alzavano in aria i propri smartphone (vera piaga della modernità ai concerti) per registrare video e catturare foto ma anche mandare messaggi vocali a persone lontane. A quest’ultima categoria appartiene un trentacinquenne che era accanto a me e che ha passato tutto il concerto al telefono con la fidanzata/moglie/compagna facendole sentire tutto il live e ripetendole tutte le parole di Edoardo.

Piaccia o meno la musica di Calcutta, la nota assolutamente positiva in tutta questa psicosi collettiva (che comunque anche meno, eh!) è che la popolarità di un artistaindieporta fortuna a tutta la categoria: anche solo seguendo gli ascolti consigliati su Spotify o su YouTube è possibile conoscere, scoprire ed appassionarsi a nuovi artisti che hanno l’opportunità di allargare il proprio pubblico e arrivare a più persone grazie al successo di un loro collega.
(Io stessa, dopo aver scoperto Lo Stato Sociale sono stata fagocitata dal vortice della musica indipendente in cui già ero senza riuscire ad uscirne).
D’altro canto, però, questo grande successo di Calcutta non fa che ribadire quanto, nel nostro Paese, siano ancora i Modà, Alessandra Amoroso e Tiziano Ferro a riempire gli stadi mentre Niccolò Fabi ha impiegato 20 anni per finire primo in classifica e collezionare un sold-out dopo l’altro.

Sul lake stage venerdì si è distinto particolarmente Ainè con le sue atmosfere ambient a tratti jazz; sembrava di ascoltare un disco per quanto era perfetto!

 

La giornata di sabato è stata decisamente più rilassata, più vivibile: sembrava “il giorno dopo il primo lunedì dopo la fine delle vacanze estive” come ha osservato Filippo Dr. Panico; Villa Ada dopo il pienone di Calcutta appariva svuotata.

Se l’atmosfera generale era rilassata non si può dire lo stesso delle band sul palco Nerone: ad aprire le danze sono stati gli Omini Gommini con i loro suoni funk-rock, ed è poi toccato ai LAGS, direttamente dalle sonorità più dure del punk e post-hardcore.

Il punk si è poi miscelato al metal quando sul palco sono saliti i 666 a presentare a Villa Ada i loro adattamenti dei brani degli 883 in chiave punk-metal-oi! raccogliendo l’eredità sonora dei (furono) Plakkaggio. I 666 appaiono quasi spaesati, increduli di come uno scherzo tra amici stia raccogliendo così tanti consensi tra il pubblico tanto da farli arrivare direttamente sul palco grande di Villa Ada. È proprio grazie alla band da Colleferro che parte il primo (e unico) pogo dell’edizione 2016 di Roma Brucia.
Incredule le facce di qualcuno seduto sotto le betulle di Villa Ada “non capisco perché la scelta di una cover band sul palco più grande e perché, soprattutto, a quest’ora della sera. Il metal andrebbe suonato a fine serata”; la scelta di includere il punk-metal-oi!, invece, a me appare sensata anzi vincente: include (e in qualche modo riconosce) la qualità e la validità della proposta musicale oltre che allargare i generi inclusi in Roma Brucia, innalzandolo a Festival musicale e non relegandolo a Festival di sola musica cantautoriale.

È stata poi la volta de La batteria che ha suonato il loro ultimo album “Tossico amore“, che ripercorre tutta la colonna sonora del film di Claudio Caligari Amore tossico“.
La batteria ha catapultato il pubblico in un’altra dimensione fatta dai loro suoni elettronici e dalle immagini del film che scorrevano sullo schermo dietro la band; alla fine del concerto la band ha chiamato sul palco Detto Mariano il compositore della colonna sonora del film che ha speso -a ragione- parole di lode per il gruppo.

Il pubblico, richiamato sotto palco già da La batteria, si è accalcato ancora di più per l’headliner della serata, Francesco Motta, che noi abbiamo motta4 intervistato qualche tempo fa in occasione dell’uscita dell’album.
Il concerto alterna brani dal disco solista “La fine dei vent’anni” e alcuni brani dei Criminal Jokers.. «Suono da 10 anni, prima di essere Motta ho fatto qualcos’altro»; Francesco è scatenato sul palco, regala un concerto molto più rock ed energico di quanto le sue canzoni siano sul disco e il pubblico lo ringrazia cantando tutte le canzoni e richiamandolo a gran voce sul palco quando va via concedendo ben due bis!

Su “Prima o poi ci passerà“, “Roma stasera” e “La fine del mondo“, Francesco suona le percussioni con una forza veramente inaspettata ma assolutamente in linea con l’umore del concerto. Motta live convince molto più di quanto non faccia dall’ascolto sul disco, ne sentiremo delle belle!

Per quanto riguarda il lake stage si è distinto gaLoni, uno dei migliori cantautori folk in circolazione; gaLoni ha raccolto intorno al palco secondario moltissimo pubblico che cantava tutti i suoi brani ed ha assistito al concerto fino all’ultima nota. Alla prossima edizione lo vogliamo sul palco Nerone!

 

Giorgia Molinari

Foto: Ilaria Bramato 

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11 Comments

  • bè si, come non essere d’accordo con Molinari. la scena romana e tutto cio’ di cui si dice e’ ormai un po triste. la dice lunga la riflessione nell’ articolo. sono d’accordo

  • scusatemi ma io non riesco proprio a trovare nulla di positivo in calcutta, soprattutto per cio’ che riguarda la musica indie
    per il resto bel report, c’ ero ed e’ stato un piacere leggerlo

  • esistono delle belle realtà a roma e dintorni. da lucci a galoni… dicono cose. filippo drpanico anche non e’ per niente male. certo calcutta e’ quello che e’,inutile parlare oltre di lui, che poi a me non dispiace neanche molto. motta certamente ha un qualcosa in piu’ se vogliamo parlare di sostanza. comunque sia,io continuo a vedere cose interessanti di piu’ che vengono dal basso … lo stesso lucio leoni ne e’ un esempio.

  • leoni dal vivo perde, non è come sul disco. aine’ invece mi ha colpito molto. calcutta l’ ho retto una mezzora,poi sono andato a bere. ci ho provato
    peccato che il giorno dopo non c’ero per i 666 , sono fortissimi

  • che se ne dice Calcutta arriva che è una bellezza. con quelle filastrocche pop cantautorali. aria fresca che serviva. lo adoro

  • concordo però con Giorgia riguardo la scena romana e le ripercussioni di un personaggio come Calcutta sulla stessa scena. Recrimino anche io un troppo lento riconoscimento a personaggi come Fabi, o al mancato Sinigallia come dice Motta.

  • la collezione di refrain, seppur con profondi sfondi, non bastano a Calcutta per essere considerato all’altezza di altre scuole cantautorali. certamente è una formula funzionale ai tempi, alle nuove generazioni e così lui vince , raggiunge il famigerato mainstream e i puristi gridano al tradimento , magari pure a ragione. in ogni caso il discorso di Molinari ci sta…….

  • dell’ intransigenza di Uki non si discute nella sua autorevolezza …. percepisco trame critiche e concordo
    non e’ solo la scena romana che andrebbe rivalutata o ripristinata

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