Robert Capa in Italia 1943-1944

78 foto scattate in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale dal padre del fotogiornalismo... in mostra fino al 6 gennaio

Diciamoci la verità, sono vecchia. Quel processo degenerativo, che comincia già dalla nascita (allegria!), si rende evidente quando all’improvviso, durante una cena, il tuo ragazzo ti guarda e pone LA domanda: “Ma dopo andiamo al Circolo/Blackout/ qualsiasi posto dove stanno per fare un concerto o una serata danzante?”. Al che prendi un respiro e tutto d’un fiato rispondi: “Machesseimatto?!”.

Ecco, forse saranno i primi freddi, ma io non je la posso fa’. Probabilmente alcuni non arriveranno a capire come si possa rinunciare ai Giuda (tanto per fare il nome di uno dei gruppi che nel frattempo ho –volutamente– perso) in nome della carne alla brace e un secchio di vino rosso, ma ognuno ha i suoi tempi. E io ho bisogno di realizzare che non andrò in letargo neanche quest’anno.

Tutto questo per dire che:

a) dovrebbero fare i concerti prima, verso le sei del pomeriggio per esempio e..

b) si riapre la stagione dei musei per una che come me va in stand-by al calar del sole.

 

Domenica scorsa, quindi, dopo quindici ore di sonno, sono andata a vedere la mostra di Robert Capa, che raccoglie le fotografie scattate in Italia, durante la seconda guerra mondiale.

L’esposizione è ospitata all’interno del Museo di Roma Palazzo Braschi e presenta 78 foto in bianco e nero del periodo compreso tra il 1943 e il 1944, in occasione del settantesimo anniversario dello sbarco degli alleati.

Seppure breve, a mio avviso, la mostra riesce a trasmettere una carica emotiva che va oltre il momento storico, concentrandosi sull’umanità delle situazioni immortalate. Non essendo una fotografa né una critica d’arte, posso solo esprimere ciò che hanno scaturito in me gli scatti del reporter ungherese.

Le immagini non sono mai scioccanti e tantomeno cercano di impressionare lo spettatore attraverso il sensazionalismo, anzi l’utilizzo del bianco e nero restituisce la drammaticità di alcuni eventi (come i funerali dei bambini uccisi durante le Quattro giornate di Napoli) senza cadere nel voyeurismo.

L’aspetto più interessante ed emozionante della galleria fotografica è la capacità di rendere concrete delle sensazioni, sia che si tratti della stanchezza di un soldato, l’esultanza della folla o lo scoraggiamento di un medico. Robert Capa racconta non solo la guerra, ma soprattutto quello che c’è in mezzo –gli uomini, le donne, la calma e la morte- e chi si trova a guardare i suoi scatti, rimane sopraffatto da qualcosa che non si riesce a dire.

Sei lì con lui mentre impugna la macchina, sei allo stesso tempo vittima, eroe e sconfitto e tutto questo con un’empatia che solo un uomo appassionato del suo lavoro può suscitare. Va ricordato, infatti, che Robert Capa ha preso parte –come reporter– a importanti eventi storici, come la guerra civile spagnola, quella sino-giapponese, la seconda guerra mondiale, il conflitto arabo-israeliano del 1948 e la prima guerra d’Indocina, durante la quale perse la vita mettendo il piede su una mina anti-uomo.

 

La mostra, nello specifico, ripercorre il viaggio del fotografo al seguito delle truppe americane, suddividendo le immagini in base alla città che in quel momento l’esercito si trovava ad attraversare, da Palermo ad Anzio.

Il risultato è un’esposizione breve ma in grado di dare una quantità di emozioni. Quindi fino al sei gennaio, se fare le due di notte per poi cercare la macchina e intanto s’è alzata pure una certa “giannetta” non sempre vi alletta, io la consiglio caldamente.

E visto che Palazzo Braschi si trova tra Piazza Navona e Corso Vittorio Emanuele II, suggerisco una passeggiata di salute con sosta allo Scholars Lounge, un irish pub in Via del Plebiscito dove poter prendere una (o due o tre) Guinness e un ottimo bagel brie bacon e gelatina di mirtilli, pronti per godersi la mostra come si deve.

Se siete fortunati brinderete ai vostri parenti e a quelli di Thomas, un tizio probabilmente pagato dal locale per intrattenere qualsiasi avventore, di qualsiasi nazionalità, in un anglo-italiano degno di Don Lurio, con affascinanti storie sul suo gruppo (i C.F.A., ho controllato, esistono!) e pinte di birra che continuano ad apparire tra le sue mani.

Alle otto di sera sarete simpaticamente alticci, ancora commossi dagli scatti di Robert Capa e pronti per andare a letto. Fino al prossimo concerto per cui, giuro, stavolta mi organizzerò per tempo, magari dormendo direttamente al BlackOut.

Agnese Iannone

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