Qui (non) succede un quarantotto

Il partito dei ricchi sta eliminando la sovranità popolare, il partito dei poveri dovrà cercare di mantenerla

Mentre la preoccupazione principale di De Michelis era pulirsi il sudore dalla fronte nelle famose feste socialiste tutte Venezia, sfarzo e carnevale, un sacco di coppie e coppiette erano spensieratissime. Un clic del telecomando, ed ecco materializzarsi lavoro, poltrona e futuro. Quale paradiso! Che magnifica situazione! Alle nuove spensieratissime coppiette non restava che percorrere la tappa successiva mettendo al mondo qualche marmocchietto. Bisognava solo lasciare da parte le gesta eroiche sessantottine di qualche anno prima, imparate al cinematografo e scimmiottate nelle manifestazioni di piazza contro poliziotti per lo più terroni.

Ma appena fatto che lo si fece, ecco a voi la nuova generazione dell’era di Fantastico, un esercito di bim-bum-bambini facilmente viziabili e troppo spesso viziati, per la gioia della Nestlé e di Giochi Preziosi. A poco a poco, Cristiano venne sostituito da Christian e l’unico vero dubbio dei moderni genitori era se aggiungere o meno l’acca a Samantha. La nuova stirpe di mamme e di papà o s’era convertita al buddismo o s’era convertita a Trussardi, dimostrandosi ben presto più accorta alla conta dei contributi Inps che a forgiare la prole.

Siamo d’accordo, parliamo sempre di previdenza. Però la crisi dei nostri giorni dimostra che il secondo affare è un po’ più serio. L’avrete capito dal debito pubblico: correvano degli splendidi anni ottanta. Gli anni ottanta furono così eccessivi che i capelli dovevano essere lunghi alla Duran Duran, la musica doveva avere quelle orribili batterie elettroniche e le giacche dovevano essere larghe, ché con tutte quelle magnate la panza non c’entrava. Ma il problema fu che vennero presto gli anni novanta.

Col Governo Ciampi del nuovo decennio, tecnico come il governo di oggi, si capì subito che De Michelis aveva spento le luci, che s’era fatta l’alba e che la festona era finita. Cornetto caldo post discoteca? Maritozzo con la panna? Spiacenti, abbiamo finito tutto. Avanzano solo queste, le banane Perugina: servitevi pure se volete. La nuova strada appariva segnata e irreversibile: era la strada dei tagli. La si prese così alla lettera che la moda dettò nuovi look più adatti al fronte che alla passerella, sostituendo alle parruccone giallissime di Simon Le Bon capoccioni stile Marines dai capelli radenti. E così, un taglio al welfare e un taglio alla crocchia, giunsero puntuali le prime strette di cinghia che iniziarono a smantellare la scenografia del carnevale veneziano. A Max Pezzali che si chiedeva “Come mai“, il primo governo dei tecnici rispose col conto di maschere e bignè. “I tempi stanno cambiando, campavamo al di sopra delle possibilità”. Guarda caso la soluzione era riformare solo il mercato del lavoro, non riformare qualcos’altro o almeno anche qualcos’altro. E così, manco a dirlo, vi provvide pochi anni dopo il signor Tiziano Treu, predisponendo e facendosi approvare l’arcinoto pacchetto che avrebbe preso il suo nome. Sono gli anni in cui, prima e dopo, Silvio da Arcore deluse i liberali italiani, gli unici veri rivoluzionari del bel paese. Li deluse perché non fece nulla di quanto promesso, né allora né l’avrebbe fatto in seguito. Ma a proposito del cavalier seconda Repubblica voglio introdurre i nostri giorni attraverso uno degli strumenti con cui egli intendeva governare: una barzelletta.

Fino a pochi mesi fa l’opinione pubblica era convinta che i mali dell’Italia dipendessero dal numero di donne che il vecchio premier riusciva a sedurre. Una cagata pazzesca, avrebbe detto Fantozzi. La riprova che di cagata trattavasi la fornisce questo dato mediatico inconfutabile: solo dopo le dimissioni di Berlusconi la stessa opinione pubblica si è accorta che esistono i fondi d’investimento americani, che il finanziamento del nostro debito pubblico dipende dalla loro volontà e che, quasi quasi, iniziano a tenerci per le… va be’, diciamo così, che hanno il coltello dalla parte del manico. Questo dato dimostra che la vera questione è altra, sta più su, sta più in alto. Ed è una questione seria, molto seria, terribilmente seria: ci stanno togliendo la sovranità.

 

Ai tecnocrati dell’Europa senza mandato politico, che non mi stancherò mai di chiedere chi li ha messi lì se nessuno li ha votati, Berlusconi non andava bene. Non andava bene perché a loro non va bene chiunque che non esegua alla lettera i loro dettami tutti conti in ordine e piazze piene. Come ti permetti di essere amico di Putin? E a quell’accordo con Gheddafi chi t’ha autorizzato? L’Italia non ha mai contato un cazzo, lo sai? Sul merito degli accordi si può discutere quanto si vuole, ma resta che, visti a poco più d’un anno di distanza, oggi ci appaiono come esercizi di una sovranità sempre più limitata. Ma ve l’immaginate un Giulio Terzi di Santagata che, giusta o sbagliata, prenda un’iniziativa di suo proprio pugno? E quella che piange, lì, come si chiama? Ah, già, la Fornero: ma ve l’immaginate attentare ai sacri equilibri internazionali? Poco dopo questi accordi s’è visto in qual modo Nicolas Sarkozy abbia liberato la Libia risolvendo tutti i problemi di quella terra martoriata. Ovviamente si fa per dire, eppure troppe persone in quei giorni lo hanno preso sul serio. Con quei risultati brillantissimi urgeva un cambiamento, benpensavano i più. Bisognava allinearsi all’Europa bene, bisognava entrare nel circolo giusto, basta con veline e olgettine. È stato per questo che un Giorgio Napolitano più preside che presidente ha colto la palla al balzo facendoci trovare nella cassetta postale la convocazione per l’incontro scuola-famiglia più odioso degli ultimi anni: all’ordine del giorno il governo dei professori.

E così, puntuale come la morte, è salito in cattedra il professor Mario Monti. Il loden in genere è british green, ma lui lo preferisce blu. Preferisce il blu perché sta meglio col colore che usa più di frequente: il grigio non c’è speranza.

 

La prima lezione, che tiene ancora banco, è stata questa: occorrono nuove risorse ed esistono due modi per racimolarle. Uno è la potatura dei privilegi con l’efficacissima forbice marcata Riforme, la grande marca molto più grande dei pennelli Cinghiale. Così però, cari alunni, rischiate di togliere ai ricchi, che sono potenti e che poi si arrabbiano. L’altra strada è molto meno rischiosa, ché non ti creano nessuno scandalo su misura e vai pure in maglioncino da Barack: aumentiamo tasse e benzina, e chi se ne impipa della curva di Laffer, dei suicidi e degli effetti depressivi che non li calma nemmeno la Nutella.

Nonostante un laureato in economia dovrebbe conoscere le potenzialità della parola rischio e della parola coraggio, il professor Monti di rischio e di coraggio non ne ha voluto sapere, dimostrandosi tecnico sì, ma più da ancien regime che da epoca di internet. Il professore varesino ha optato senza indugio per la strada che per definizione è quella sbagliata, la più semplice, guadagnandosi a pieno titolo tetri soprannomi come rigormontis o fallimonti.

Inoltre, prendendosela con i soliti deboli, la strada imboccata dal professore ha acquisito anche un’altra rara, mirabile qualità: è diventata la più vigliacca. E questo sì che provoca a tutti trasversalmente un giramento di marron glace, volendo davvero fare gli europeisti. Le facili previsioni della buona massaia erano che benzina a due euro, tasse sulle case, vessazioni delle imprese ed altre scelte illuminate come queste non avrebbero risolto le cose. E infatti la buona massaia s’è rivelata più brava dei bocconiani, nonostante più esperta di bocconcini. Ma zitti tutti. Ce lo chiede l’Europa, lo vogliono i mercati. Ed è questo il punto, sta qui la questione.

 

Ce lo chiede l’Europa? Bene. Ce lo chiedono persone non elette da nessuno: perché parlano, perché hanno tanto peso? Ce lo chiedono i mercati? Bene. A queste richieste potremmo tranquillamente rispondere facendo valere la sovranità popolare, che se non ricordo male sta pure nell’Articolo 1 della nostra Costituzione. Nell’articolo uno, non nell’articolo ventisei o duemilacentoventi: nell’articolo uno. Quell’articolo dice che qui, in Italia, decidiamo noi, e che sempre qui, in Europa, decidiamo noi e tutti gli altri popoli europei. Io insisto, mi perdonerete, ma nella costituzione non c’è mica scritto che comandano i pensionati americani e gli investitori di borsa. Quindi questo debito glielo possiamo pagare come diciamo noi, non come dicono loro. Resta solo da spostare l’asse della questione sul come del pagamento. A questo riguardo, c’è chi sostiene che per restituire il porcellino pieno di soldi con tanti saluti si potrebbe battere un po’ di moneta in più. E’ una proposta sbagliata? Ottimo. Qualche altra strada la potete suggerire voi, ne sono certo. Ma così decideremmo tutti insieme dopo un fottutissimo dibattito politico europeo!

E invece no. Dalla Cina, dall’India e dal Brasile sono pronti a sbranarci perché producono la stessa cosa che produciamo noi a costi ridottissimi. Nei paesi emergenti le due paroline magiche chiamate diritti sindacali sono facilmente sostituibili dalle tre paroline schiavistiche chiamate ciotola di riso. E mentre accade tutto questo noi che facciamo? Annulliamo il dibattito politico e facciamo decidere ad organismi svincolati dal controllo dei cittadini come le banche centrali. Poi badiamo solo ai conti in ordine e ci dimentichiamo della politica.

Forse qualcuno ha qualcosa da dire? Bene, lo commissariamo subito. L’Italia, per esempio, è commissariata da uno che se perde coi tassisti figuriamoci coi massoni. E la Grecia non facesse perder tempo se vuol rifare le elezioni. In questo modo il futuro ai giovani nati negli anni ottanta è completamente negato, in questo modo tra dieci anni avremo le piazze piene di disperati. È forse un caso che nella prima settimana lavorativa dell’anno ci siano già stati scontri violenti tra polizia e gli operai sardi dell’Alcoa?

 

Io, nato negli anni ottanta, non sono europeista per vocazione, il che non nego mi faccia pensare. Io sono europeista perché non voglio soccombere, perché non mi piacciono le banane Perugina, perché è intollerabile che il partito dei pensionati conti più del partito dei giovani. Nel mondo diviso a spicchi come una palla di basket non ha senso tornare all’italietta. Non ha senso perché non ce la faremmo. Potremmo al massimo ambire a resistere, a sopravvivere, ma prima o poi verremmo mangiati. Io voglio decidere, voglio contare, voglio pesare, e per fare tutto questo occorre un’Europa politica.

Voglio prima poter eleggere dei rappresentanti europei che legiferino davvero e solo dopo voglio poter eleggere quelli del parlamento nazionale che legiferino sul resto. Lo voglio perché sulla carta il parlamento nazionale dovrebbe contare meno finanche dei parlamenti regionali, ma nonostante questo Le “Iene” e “Ballarò” continuano a stare soltanto a Montecitorio. Sono ancora in pochi ad essersi accorti che la partita si gioca altrove, in quei palazzi centroeuropei senz’anima, nati da architetti senz’anima e destinati a tecnici senz’anima. Comprendo bene che questa analisi da nato negli anni ottanta non sia sufficiente, ma comprendo pure quanta facilità ci sia nel raccattare altri argomenti che mi diano ragione. Quale significato dare alla sospensione d’ogni diritto nelle manifestazioni di protesta svoltesi nei pressi di questi palazzi? E del contesto di segretezza senza precedenti col quale si svolgono queste riunioni ne vogliamo parlare?

Ma non voglio scadere nel solito bloggerismo antagonista. Questo aggettivo non mi appartiene per niente, come confermerebbe chiunque mi conosca personalmente. Piuttosto, io voglio solo concludere questa fotografia dell’ultimo trentennio osservando il bicchiere mezzo pieno. Ma per farlo davvero o si parla con franchezza o ci si prende in giro: continuando con questa inerzia da tecnocrazia si muore. Giambattista Vico, quello dei corsi e ricorsi storici, valuterebbe la situazione senza soluzioni. L’Europa comanda il mondo da secoli, ora sfruttando qui, ora sfruttando lì, ora di sua propria mano, ora per mano degli Stati Uniti. Ma adesso la ruota sta iniziando a girare a nostro sfavore ed il motore che ne fa da trazione è un elemento determinante in ogni tipo di conflitto, economico o non economico: la pancia vuota. Noi ce l’abbiamo piena da troppo tempo, come da troppo tempo la pancia di chi ci sta alle calcagna è vuota. Non è un caso che al resto del mondo il vecchio continente appaia affaticato come chi si mette a correre con un panettone sullo stomaco. L’Europa appare stanca, vecchia, lenta, costosa e immobile. Appare inconsapevole del suo stato attuale. Appare piena di privilegi che non può più permettersi. Con l’avanzamento di nuovi eserciti di pance vuote tutti pronti a svuotarle le dispense, i privilegi gridano vendetta. Se non vogliamo rassegnarci ai corsi e ricorsi storici vichiani, che dimostrano con spietatezza che il nostro turno si sta esaurendo, dobbiamo correre ai ripari immediatamente. Lo strumento per salvarci è la ragione per cui poche righe più sopra v’ho chiesto quali sono le vostre proposte. La soluzione è la ripresa del dibattito politico. Dobbiamo costringere i tecnocrati alle urne. Dobbiamo costringere i partiti alla parola giovani. Dobbiamo svegliarci, e dobbiamo farlo in tutta Europa, non più solo in tutta Italia. Ma i politici non vogliono, ed ecco il mio perché.

 

Con la terza Repubblica ci stiamo avviando ad un nuovo medioevo in cui il divario tra i pochissimi ricchi e i tantissimi poveri aumenterà.

I vari Pd, Pdl e compagnìa bella sono fatti della stessa pasta sin dai tempi della caduta del muro di Berlino. Nella seconda repubblica sono stati divisi soltanto dallo spartitraffico “Silvio”: chi lo odiava passava alla sua sinistra, chi l’amava passava alla sua destra. Ora, finito o quasi lo spartitraffico, stanno tutti confluendo con naturalezza al centro, manifestando apertamente la loro vera natura di conservatori, nella stessa esatta misura di tutti i tecnocrati europei che costoro intendono servire.

Sta nascendo in tutta Europa un grosso blocco formato da questo sovraffollamento al centro, in cui il rosso e gli altri colori risultano noiosissimi ed anacronistici segni del passato. Questa finta contrapposizione è un’enorme presa in giro di persone che dicono d’essere diverse ma che in realtà non lo sono. Questo blocco unico europeo è composto dai professionisti di una politica di ieri che appartengono senza distinzioni sia alla destra che alla sinistra. Al di là delle etichette che si danno, questo monolite ultraconservatore ha un unico vero nome che ne catturi la sua sostanza: è il partito dei ricchi.

Questo partito è ultraconservatore fin nel midollo non foss’altro perché proteso a mantenere la poltrona senza la quale non saprebbe di che campare. Dal momento che per mantenere la poltrona bisogna servire chi detiene il potere economico, garantendo in cambio un assoluto mantenimento dell’equilibrio attuale, le uniche riforme che si son fatte e che si faranno sono ad esclusivo detrimento della povera gente. È forse un caso che s’è cancellata la classe media? E chi vi dovrebbe porre rimedio, l’Udc di Casini, che ha appena finito di rilanciare Monti? La sinistra di Nichi Vendola? La sinistra francese di Hollande? Ma per piacere, non prendiamoci per i fondelli. Se queste persone non s’oppongono senza mezzi termini a questa Europa, allora fanno parte a pieno titolo del partito dei ricchi, con tante risate per le etichette, per gli slogan e per i colori che ancora si danno.

 

Quindi, non resta altro che trovare le contromisure. A (non ancora) contrapporsi a questo blocco antico e conservatore che porterà l’Europa ad un nuovo medioevo, sta nascendo e nascerà tutto un universo di partiti locali che il partito dei ricchi bollerà come sovversivi, populisti e antipolitici: è il partito dei poveri.

Qualche filiale è nata già, mentre sarà la disperazione a provvedere a farne aprirne altre. Io, che sostengo il partito dei poveri, spero che nella sua agenda politica si svolti in senso federale ed europeista. Vorrei che nella sua agenda politica fossero messi questi punti: Europa politica, esercito comune, lingua comune, campionato di calcio comune. Se esistono lettori più curiosi, mi riservo d’approfondire questi punti in qualche altro pezzo. Ma mi rivolgo ai lettori che non condividono: bene, vivaddio, viva le diversità di vedute. Ma vi chiedo anche qui la stessa cosa già chiesta sopra: voi che proponete?

 

Perché la questione è sempre la stessa: quand’è che sentiremo una proposta politica europea? Quand’è che le piazze affollate di Atene e delle tante altre Atene che ci saranno potranno minacciare la tecnocrazia non già a suon di molotov, bensì con lo strumento democratico e non sovversivo del voto? Ci rendiamo conto di quanto sia paradossale che nel sessantotto si lottava con metodi sbagliati per garantirsi altri diritti, e che oggi si reagisce alla scomparsa della sovranità girandosi da un lato all’altro del letto? Finché la nostra generazione non si ribellerà ad un ristagno politico in cui i vecchi contano più dei giovani ed in cui ci scippano la sovranità mentre noi dormiamo, scordiamoci pensione, vacanze a New York, passeggini Inglesina, ma pure cinema, pizza e birra e rutto libero.

La nostra generazione, che è molto più matura di chi l’ha messa al mondo, non avrebbe mille motivi per un nuovo sessantotto, avrebbe mille motivi per un nuovo quarantotto. Ma il problema sta tutto nel titolo: qui non succede un quarantotto. E il duemilaquarantotto sarà già troppo tardi.

Giuseppe Pastore

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17 Comments

  • no, non voglio essere così pessimista. si ho letto l'articolo, ma sono anche d'accordo con giuseppe pastore, sebbene non credo molto in un Europa Unita semplicemente perché sarebbe sempre troppo complicata da gestire ma soprattutto controllare.
    io propongo di andare a votare ma di annullare tutte le schede e dunque chiedere un ricambio generale della casta politica. in seguito creare delle riforme in modo da staccarsi dalla morsa delle politiche finanziarie delle banche, è ovvio!

  • così come fu per il comunismo, la forza dell'identità locale sarà sempre difficile da contenere. questi governi centristi o addirittura mondialisti sono impossibili

  • certamente una maggiore partecipazione politica sarebbe l'ideale, così come sfruttare i mezzi della democrazia diretta che possiamo prendere dalla rete.
    ma finchè il partito dei poveri non interesserà della sua sovranità quello dei ricchi continuerà a "sapere" che l'italiano non vuole responsabilità, preferisce farsi comandare.
    le proposte ce ne sono centinaia,ma prima dobbiamo divulgare e far aprire gli occhi alla maggior parte della gente.
    grazie per il vostro contributo uki… e bellissimo articolo, complimenti all’autore!

  • mentre leggevo questo articolo mi è venuto un groppo in gola.
    cosa proporre, in effetti sono più o meno d'accordo con i commenti precedenti, ma soprattutto dovremmo riprenderci la sovranità monetaria, in modo che anche la politica nazionale non rimanga più sotto le spire della finanza internazionale. da quel momento almeno potremmo tornare a trattare con i nostri politici per migliorare davvero le cose

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