Quasi come un Golem

Racconto breve di Melog

“Ora debbo andare, mi scusi se l’ho importunata con inutili chiacchiere di cui, forse, avrà capito poco più che nulla, ma avevo poco tempo a disposizione e sono stato conciso, ..comunque, vedrà, che, prima o poi, ne verrà a capo da solo. Ne sappia fare buon uso”. -Dette queste parole Davide mi abbracciò con affetto, come se fossimo stati due vecchi compagni di scuola e, veloce, percorse il tratto di porto che lo separava dal traghetto. Mentre lo osservavo scomparire all’interno del pontone ripensai al nostro fortuito incontro. Era un pomeriggio di fine estate e io me ne stavo pigramente seduto al bar del porto a prendere gli ultimi tepori, quando, con passo deciso, lo avevo visto arrivare verso di me, come se si stesse dirigendo incontro a qualcuno che conosceva da tempo. Appena giunto, gentilmente mi chiese il permesso di sedersi al tavolino.  Con un cenno della mano glielo concessi. Come si fu accomodato, quasi che temesse una sequela di importune domande, disse che aveva bisogno solo di riposare un poco per raccogliere le idee prima di partire per il Mar Rosso, quindi sprofondò in un silenzio di tomba. Attorno a noi comitive di turisti si muovevano freneticamente per sbrigare le pratiche prima dell’imbarco. Incuriosito, osservai di trafilo il mio “muto ospite”: aveva lo sguardo lontano, tipico di chi è immerso in chissà quali profondi riflessioni.

– ..Evidentemente  -pensai- lui, previdente, ha già fatto tutti i giri tra dogana e diritti d’imbarco ed ora vuole “scroccarsi” un po’ di pace e godere della nevrosi altrui.

Improvvisamente, come se fosse uscito da una lunga tormentata indecisione, si voltò verso di me di scatto:

– Scommetto che a lei non è mai capitato di ripensare alla vita trascorsa – disse e, senza attendere una mia risposta, seguitò – …ed è un male, creda a me, spesse volte il passato nasconde insegnamenti che ci possono apparire chiari solo dopo molti anni. Lei è una persona fortunata: ha davanti a sè un esempio vivente” e, dopo aver girato la sedia e senza attendere da parte mia il minimo cenno di consenso che dimostrasse che io fossi disposto a intrecciare un dialogo, iniziò a raccontare della sua vita.

Erano trascorsi pochi giorni da quando gli era capitato, per la prima volta, di tornare con la memoria a una di quelle sere di fine settembre primi di ottobre, quando, con tutta la famiglia, si recava a casa dei nonni.  Ricordava perfettamente di come si disponevano tutti a piramide, in ordine per età, sotto il telo da preghiera del vegliardo e là sotto, in silenzio, attendevano il suono prolungato del corno d’ariete.

– Un suono che fa male al cuore – …ci tenne a precisare.

Lui, intimorito e affascinato, si stringeva alle gambe dei grandi cercando protezione, la notte, poi, prendeva sonno con difficoltà. Aveva ripensato anche a quel caldo giorno d’estate, quando il maestro della piccola scuola del paese, sfidando il solleone e il polverone della strada, era salito sino alla villa per parlare con lui.  Era un grande onore che una persona come il “Maestro” si scomodasse per parlare proprio con lui, visto che normalmente erano i giovani ad andare presso di lui per cercare saggezza. Il nonno lo aveva ammonito a non fare domande sciocche,

“Hai quasi tredici anni – gli aveva detto – presto sarai un uomo ed avrai il diritto di sederti al Consiglio”.

Lui aveva promesso e, vestito a festa, si era messo di vedetta alla finestra della sua stanza. L’attesa non durò a lungo: in fondo al viale apparve il “Maestro”. Contrariamente alle sue aspettative non era vecchio nè aveva la barba lunga e bianca, era giovane e completamente rasato. Davide rimase deluso quando vide che l’ospite non era venuto subito a cercare di lui, ma si era seduto sotto il berceau del giardino per sorseggiare, con evidente compiacimento, la granita di limone, grande vanto di “nonna Miriam”.

– Dunque è questo il vero motivo della visita, non io! – pensò Davide. – Quali alti insegnamenti potrò trarre da una persona che si fa chiamare “Maestro” e “Fonte di saggezza” e che, invece, mostra di non aver alcuna intenzione di rinunciare alle gioie materiali della vita! –

Completamente sfiduciato attese di essere convocato, anzi, fece di più, per dispetto sgualcì gli abiti e li sporcò con un poco di marmellata, avrebbe così mostrato che, nell’attesa, anche lui “aveva goduto”.  Il “Maestro” non si offese affatto del suo stato di abbandono e neppure lo prese come un monito, anzi, osò chiedergli se la marmellata era buona e per un attimo Davide fu colto anche dal terrore che il “Maestro” osasse perfino intingere il dito nella “medaglia dolciastra” per gustarne il sapore, …ma non accadde. Di tutto il lungo dialogo che si svolse tra lui e il Maestro, allora, nulla lo colpì particolarmente, se non una strana storia di luci e vasi rotti.

 

Dopo quel giorno la sua vita non registrò grandi mutamenti e trascorse pigra e piatta.  Giunse la maggiore età e, come tutti i ragazzi di quel piccolo paese, si trasferì in una grande città per terminare gli studi.  Lì la vita era completamente diversa: le persone e le cose avevano un aspetto più rilassato e invitante. Davide vi si adattò subito. Senza troppa fatica trovò un lavoro che, pur assicurandogli il necessario per vivere, non lo teneva troppo occupato e gli permetteva di divertirsi. Non si fece alcun problema all’idea che, sicuramente, il Maestro e il nonno non avrebbero mai condiviso il tipo di lavoro che aveva rimediato: era infatti diventato uno stimato rappresentante di una industria di prodotti alimentari derivati dalla carne suina. -…Devo pur vivere! – …pensava e tirava avanti.

Nel tempo libero frequentava allegre brigate di amici che dividevano il tempo tra lo studio e il divertimento. Tutto sembrava filare liscio, ma dentro il suo cervello qualche cosa stava ribollendo. Il primo sentore che stesse per accadere l’irreparabile iniziò ad avvertirlo nella sensazione di disagio che provava la mattina al risveglio.  Inizialmente non gli dette troppo peso e, la sera, al momento di decidere dove andare a divertirsi, sentenziava con ostentata sicurezza:

– Il vino di ieri sera era cattivo! Errare humanum est, perseverare diabolicum, ..è necessario cambiare locale! – e rideva divertito.

 

Una mattina, non che fosse accaduto nulla di straordinario, non riuscì a radersi, o, per essere più esatti, non riuscì a sopportare la propria immagine riflessa nello specchio. Ancora una volta non dette troppa importanza all’avvenimento.

– Sinceramente il mio aspetto, dopo una nottata di baldoria, non è dei più belli a vedersi di primo mattino – pensò e, ridendo e con la barba sfatta, uscì di casa. Poco alla volta, la fobia per la sua immagine andò aumentando a tal punto che presto, pur non riducendo il suo viso ad un campo di battaglia, imparò a radersi senza fare uso dello specchio e per strada camminava a testa bassa per evitare di vedere la sua sagoma riflessa nei vetri delle vetrine. Il suo carattere registrò un lento e inesorabile mutamento. Diventò permaloso e litigioso. Ogni controversia, anche la più banale, era buona per dare avvio a interminabili discussioni. Nel giro di pochi giorni gli amici si allontanarono e lui imparò a girovagare da solo di notte. La distanza tra lui e il mondo si tramutò da fastidio in insofferenza. Si chiuse a doppia mandata dentro casa, il che, naturalmente, gli costò anche la perdita dell’impiego. Le sue sortite nella vita collettiva si limitavano a sporadiche spedizioni notturne presso i distributori automatici di generi alimentari, era sicuro che almeno lì non avrebbe incontrato anima viva. La notte ed il giorno, poco alla volta, persero il senso logico di divisione temporale. Trascorreva innumerevoli ore a leggere, non importava cosa, ciò che lo affascinava era solo il suono delle parole e l’immagine che quella musica evocava in lui… poteva trattarsi anche di una lingua sconosciuta. Presto anche il senso di spazio perse ogni significato e iniziò a trovare inutili persino gli spostamenti dentro casa. Nel giro di poco tempo si ritrovò seduto sul letto a digiunare ed emettere vocalizzi apparentemente insignificanti.

Non ha saputo dirmi quanto tempo abbia trascorso in quello stato, ma ricordava che man mano che il tempo trascorreva, sentiva dentro di sè crescere una forza smisurata e senza nome. Un pomeriggio, senza che ne avesse formulato prima il pensiero, un suono si formò meccanicamente nella sua bocca e, improvvisamente, si ritrovò in piedi, pronto per uscire. Era come se dai cocci del suo spirito fosse scaturita improvvisa una luce.

– Dentro di noi – seguitò Davide fissandomi negli occhi, mentre da lontano ci giungeva la sirena del traghetto, – vive una luce incatenata.. solamente quando tutti l’avranno tratta fuori dal buio si potrà dire con la massima tranquillità che tutto è tornato nella luce. ..Sino ad allora ciò che regna sarà solo Oscurità. Probabilmente quando verrà quel giorno per tutti nessuno se ne accorgerà perché quella sarà la normalità.- Lo guardai perplesso, incapace di esprimere il benché minimo commento. – Ecco! – seguitò lui, – è la consapevolezza che dentro di noi esista un lato nascosto da dover tirare fuori a turbarmi più di tutto. Ho scoperto che perdonare a se stessi è cosa molto difficile.-

Ero ancora in attesa di sapere quale fosse stata la parola che aveva provocato in lui tale terremoto, quando un secondo suono della sirena del traghetto ruppe l’incanto. Davide si voltò ad osservare gli ultimi passeggeri che si stavano affrettando per salire a bordo e, prima ancora che mi fossi reso conto di quanto era accaduto, mi ero ritrovato da solo.

I marinai stavano già ritirando le gomene dall’acqua. –

 

No, non ha nessun diritto a lasciarmi così – dissi a me stesso e corsi a perdifiato lungo il molo per giungere sino al piccolo faro dell’uscita dal porto. Il traghetto, in quel preciso momento, stava passando davanti a me.  Con lo sguardo cercai Davide tra i visi che erano sul ponte, finalmente lo vidi, stava agitando verso di me un braccio in segno di saluto. Agitai le due braccia anche io, il mio non era un saluto, ma un sollecito a risolvere l’enigma. Lo vidi perplesso, poi comprese e gridò qualcosa, ma, nello stesso istante, la sirena del traghetto copriva la sua voce e a me non rimase altro da fare che stare a guardare la poppa del traghetto che si allontanava verso il tramonto.

Tornando a casa attraversai il piccolo ponte del fiume che corre verso il mare. Già spuntavano le prime stelle e, alzando lo sguardo mi parve di vedere che alcune di esse disegnassero nel cielo la lettera “aleph”.

Melog

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