Quando mi accusarono di uxoricidio

Opera di scrittura creativa ed elaborazione fotografica di Edoardo Vitale

Ho bisogno di vedere un film. Voglio un orologio  al polso. Tutto l’accaduto: affatto al corrente, io. Sembrava sollevare il mio spirito, lasciarmi in pace da tutto l’accaduto. Ma di quante non ero affatto al corrente. Scheggia che cresce come un matto, si rinnova la stagione politica. Mucchi di pagine che non potrò mai leggere. Eppure: io amo Scheggia. Mi interessa ciò che chiamiamo politica.

E non sapevo mica questo e non sapevo mica quello.

Dove sono stato: presupponi di guardare te stesso attraverso la pelle.

Sarà difficile.

L’essenziale, neppure.

Sarebbe bello.

Come sarebbe bello alcune volte senza sforzi quantomeno il necessario, riceverlo.

Nessun eccesso.

 

C’è questo incipit: Roma, 1978. Un uomo viene coinvolto accidentalmente in una sparatoria. Stordito e sovreccitato è costretto in ospedale, non riesce a dormire, ha delle crisi in piena notte e grida: “Devo tornare a casa da mia moglie, non posso non tornare a casa da mia moglie”. Rimbomba tra i corridoi grigi ed i lettini grigi dell’edificio grigio.

C’è questo incipit e poi ci sono degli stralci di giornata.

 

Le persone che parlano nel cortile interno di uno stabile quadrato di palazzine con non più di tre piani.

“Non calpestare le aiuole”. Un tempo l’aria era più fresca.

Sono due uomini in camicia. Quello più basso ha dei risvolti distratti alle maniche. Non sentiamo le loro voci. Dialogano fitto. Poi entrano in macchina –  la macchina di lui, dalle maniche con i risvolti – per discutere dell’affare.

 

Presupponi le automobili degli altri. Come ci si sente nelle automobili degli sconosciuti.

Così come è pericolosa la tendenza che si prospetta, l’abbigliamento in voga per l’inverno venturo. Così come sono pericolose le discussioni seduti sulle sedie metalliche dei bar e su tutto il circo di citazioni e di attrazioni sessuali o presunte tali. Ed il bisogno di sfogare una qual certa necessità di istaurare rapporti e legami. Così come sono pericolose le persone fuori dagli uffici all’ora di pranzo, sono pericoloso io.

Presupponi tutte le persone, cosa pensano. Vogliono davvero scopare tra di loro.

 

È evidente che ho bisogno di vedere un film.

Le migliorie da apportare alle tecniche.

Presupponi una lettera di congedo.

Presupponi tutte le volte che deludo Adele.

 

Mi sono svegliato all’alba oggi. Ho bevuto un sorso d’acqua mentre guardavo dritto allo specchio la mia sagoma. Ho lasciato di proposito che l’acqua colasse pian piano dalla bocca, giù per il mento,  sul mio petto fino ai piedi. Poi ho staccato la bottiglia di plastica dalle mie labbra, tirandola su in modo da versare il più violentemente possibile un litro e mezzo d’acqua sul mio volto per almeno otto secondi. Non è facile tenere gli occhi aperti in questo caso.

Meglio mangiare qualcosa.

Così mi siedo a tavola. Sarebbe divertente poter avere di quelle vecchie enciclopedie, quindici tomi ingialliti su un vecchio mobile di legno. Preparare la moka rimandando tutte le mattine la promessa di leggere ogni voce dalla A alla Z. Da domani..

Da domani..

Da domani. Da domani.

Da domani. Da domani. Da domani. Da domani. Da domani. Da domani. Da domani. Da domani. Da domani. Da domani. Da domani. Da domani. Da domani. Da domani. Da domani. Da domani. Da domani.

 

Presupponi domani.

 di Edoardo Vitale

 

foto: “Miniature l’Aide #10” -di Edoardo Vitale

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