«Se ti sporgi a guardare dentro l’abisso, anche l’abisso guarderà dentro di te» …perché gli abissi dell’uomo sanno essere più profondi di qualsiasi oceano.
Si afferma che di proustiani ce ne siano molti: celati tra le pareti domestiche, forse non escono, si riconoscono per via di una particolare sensibilità. Una propensione a vivisezionare la realtà che gli si configura intorno è una delle caratteristiche più evidenti. Chi legge Proust non può che osservare il mondo con i suoi occhi: quelli di un ‘fanciullo‘ innamorato della vita, del’arte e dei sentimenti.
Sappiamo che Marcel Proust è stato uno scrittore irripetibile, un genio che ha mutato il volto della letteratura e impresso un accelerazione vertiginosa verso il vertice di cui, dopo, solo James Joyce ha saputo completare il percorso. Dopo essere riemerso dalla sua opera capitale, “Alla ricerca del tempo perduto“, credevo davvero che nessuno potesse andare oltre, credevo che con il genio francese e l’ “Ulisse” di Joyce la letteratura non potesse dire altro, nulla di nuovo per chissà quanto tempo, e in effetti è ancora così. Credevo anche che nessun’altro scrittore potesse replicare uno stile assimilabile a quello proustiano. Nemmeno un’eco, una venatura di quella prosa mi sembrava di poter rintracciare. Poi un signore russo di San Pietroburgo, naturalizzato americano e professore di letteratura russa, mi fece in parte cambiare idea.
Vladimir Nabokov viene annoverato tra i più grandi scrittori del XX secolo. Nato nel 1899 studiò a Cambridge, dove si laureò nel 1922 (anno in cui fu pubblicato l’ “Ulisse“). Leggendolo ho ritrovato tutte le sensazioni che provai dinanzi alle tremila pagine della “Recherche“. Lo stile ricercato non si fa mai stucchevole, la sintassi affabulatoria e avvolgente è gradevole, il lessico è sovrabbondante e virtuosistico. Tutte peculiarità di cui Proust fu il precursore. Differenze ve ne sono e attengono all’ambientazione, ai panorami esteriori ed interiori, alla penetrazione psicologica; l’elemento di assimilazione che spicca maggiormente è il flusso narrativo che procede dalle profondità dell’uomo per toccare la realtà esterna. Una interiorità quasi mitica si squaderna dinanzi ai nostri occhi scorrendo le pagine del suo capolavoro, “Lolita“.
Il romanzo uscì nel 1955 e destò subito scalpore, un coro di indignate contumelie e di scandalizzate proteste investì Nabokov, un’aura di “maledettismo” cadde sulla sua reputazione. Prima di “Lolita” era un autore quasi sconosciuto, nonostante avesse pubblicato già molti libri, poi i contenuti perturbanti, ambigui e morbosi lo resero famoso. La protagonista del romanzo eponimo è Dolores, Dolly, Lola o meglio Lolita, una ragazzina dodicenne spregiudicata di cui il quarantenne professor Humbert si innamorerà, provando per lei un’attrazione fatale. Negli anni cinquanta del secolo scorso l’argomento era inavvicinabile e i lettori dell’epoca rabbrividirono dinanzi ad una tematica così sfacciata e contraria a qualsiasi morale. L’attrazione di Humbert, docente di letteratura francese, si manifesta subito fortissima. Ciononostante la sua intelligenza e consapevolezza del male che avrebbe potuto provocare, lo frenano dal compiere atti riprovevoli, anche se il cedimento poi arriverà. Ingaggia una vera e propria battaglia contro se stesso per reprimere l’esecrabile pulsione. Alla fine si farà condurre, per lucida scelta, nelle celle di un penitenziario in attesa di un processo per omicidio. L’opera si presenta come una lunga confessione, il prof. Humbert racconta la storia della sua perversione, i tentativi di soffocarla e infine la consapevole soddisfazione delle sue brame. Cerca costantemente di indagare l’origine della sua aberrante tendenza e la identifica in un episodio della sua vita: la prematura morte per tifo del suo primo amore adolescenziale, Annabel Leigh. Da quest’amore inappagato, interrotto traumaticamente dalla malattia, sarebbe nata la perversione di Humbert.
Nonostante i contenuti pruriginosi il romanzo non scade mai nella volgarità esplicita, nell’intera opera non si trova un solo termine osceno. Balza agli occhi lo stile, già descritto in precedenza, che colloca Nabokov nell’empireo dei maggiori ‘stilisti‘ del novecento. Come tutti gli scrittori dotati di grande tecnica riesce a catturare l’attenzione del lettore, lo porta con sé, lo emoziona, lo commuove. Nella fattispecie fa percepire l’orrore morale e la depravazione di un uomo. Tuttavia le feroci critiche non hanno offuscato l’intento di Nabokov, che ha usato quella vicenda per scavare nelle terrorizzanti e sconosciute profondità dell’animo umano, nei luoghi oscuri che solo la passione -una passione senza limite, senza controllo, senza paura- può arrivare a toccare e a sconvolgere. La lezione universale che “Lolita” ci impartisce è emblematica e dal forte impatto etico: la bambina traviata, la madre egoista e il maniaco ansimante, non sono soltanto i vividi personaggi di una storia unica nel suo genere. Essi ci segnalano tendenze pericolose, ci indicano potenziali catastrofi. Dopo la lettura di quel meraviglioso e perturbante romanzo, ho compreso che gli abissi dell’uomo sanno essere più profondi di qualsiasi oceano.
Giuseppe Cetorelli
LOL
Ho un piacevole ricordo del film di Kubrick
io ormai mi sto facendo una cultura leggendo Uki e i post di G.Cetorelli
🙂
Pure io visto solo kubrick. Gran film! Quindi dev’essere un gran libro, eh eh eh eh… e questo un bel post!
io l’ho lettooooooooo!!! 😀
e non posso che essere concorde con il Cetorelli
da leggere assolutamente
LOL
anch’io ho visto solo il film di Kubrick. ho sempre trovato “distante” un amore/libro del genere….ma devo dire che questo bel post mi ha incuriosito. è un amore, perverso, ma un sentimento…ce n’è di pasta al fuoco.
grazie Uki