Precipitazioni nostrane e mondi sommersi

Un fattore archetipico nella storia dell’uomo è la paura di esseri travolti e sommersi dalle acque... storicamente parlando, è una paura più che legittima

Dopo le grandi nevi che, nel febbraio scorso, misero Roma alle corde con implacabile aggressività, da queste parti si è diventati tutti più sensibili alle intemperie invernali.

Tutti, soprattutto il nostro Sindaco, che, con premura paternalistica, non si fa scrupoli nel dichiarare in anticipo lo stato d’allerta delle strutture locali della Protezione Civile, onde evitare di impantanarsi ancora nelle “severe perturbazioni” che ci minacciano (è successo un paio di settimane addietro… e tutti, c’è da scommetterci, avranno avuto negli occhi le immagini apocalittiche di un anno fa circa, con Roma pronta a far concorrenza a Venezia).

Del resto, ognuno ha i suoi problemi legati all’acqua di questi tempi, e i nostri son roba da poco se confrontati con quanto succede nel Pacifico: a seguito di un terremoto di magnitudo 7.7, scala Richter, registrato in Canada, per qualche giorno alle Hawaii s’è rimasti col fiato sospeso temendo uno tsunami di quelli catastrofici.

 

La paura di finire sott’acqua, di sparire sotto il velo dell’oceano che nella sua uniformità tutto cancella, è un fattore costante nella storia dell’uomo, quasi archetipico, e, stando alle scoperte dell’archeologia subacquea, anche motivato.

Città sommerse giacciono sul fondo dei mari di tutto il mondo, e lo studio di alcune di esse ha contribuito non poco a mettere in difficoltà le certezze della scienza tradizionale, soprattutto riguardo il fondamentale problema cronologico.

Le zone dei fondali marini sulle quali sorgono alcune di queste incredibili costruzioni, erano terraferma circa diecimila anni fa! A meno di non prendere in considerazione l’ipotesi, decisamente disneyana, che siano state costruite direttamente sotto il mare, tutto ciò sposta l’asticella cronologica delle prime civiltà urbane molto indietro rispetto agli assunti tradizionali.

 

Quando nel ‘68 l’archeologo James Valentine, al largo delle Bahamas, presso l’isole di Bimini, scoprì strutture artificiali monolitiche sotto il mare, credette di aver trovato un pezzo di Atlantide.

Del resto di Atlantide, che rappresenta un po’ il mito per eccellenza dei mondi sommersi, ce ne parla già Platone nel 360 a.C. nel “Timeo” e nel “Crizia“; descrivendo nel dettaglio una civiltà stanziata in un’isola oltre le colonne d’Ercole che, a suo dire, risalirebbe almeno a novemila anni prima, e sarebbe stata spazzata via dal mare nell’arco di un sol giorno, proprio come per un potentissimo tsunami.

La più sorprendente di queste costruzioni sommerse è, a mio avviso, quella di Yonaguni, nei mari a sud del Giappone, scoperta dal sub Kikachiro Aratake. Piramidi, templi, scalinate, corridoi: il complesso sottomarino di Yonaguni è uno spettacolo da mozzare il fiato.

Secondo le prove geologiche, le strutture sarebbero finite sott’acqua verso la fine dell’ultima glaciazione, circa diecimila anni fa. Al tempo, stando all’archeologia tradizionale, l’uomo -esclusivamente nomade e cacciatore- non aveva certo le conoscenze urbanistiche per edificare complessi come quello giapponese.

Notazione da appuntare: sia il complesso di Bimini che Yonaguni si trovano sullo stesso parallelo, il venticinquesimo nord, in zone conosciute rispettivamente come “triangolo delle Bermuda” e “triangolo del Drago” (l’equivalente orientale di quello più famigerato nel mare di Cuba, comprensivo anch’esso di tutto l’armamentario di deviazioni dell’ago magnetico, interruzioni delle comunicazioni radio, aerei che cadono in mare, eccetera eccetera).

L’ultimo sito di cui voglio parlare è di scoperta più fresca, rilevato nel 2001 dai ricercatori dell’Istituto Oceanografico Indiano, e trovato per caso come da tradizione.

Nei pressi di Cambay, sulla costa nord-occidentale indiana, sono stati rinvenuti i resti di una città sommersa da tempi paradossalmente lunghi. Tra utensili, ossa e denti umani e sculture di vario genere, in alcuni casi le analisi al carbonio hanno datato i reperti a, grosso modo, novemilacinquecento anni fa (secondo gli studi tradizionali la civiltà indiana risalirebbe al massimo a quattro o cinquemila anni fa).

Interessante è notare come negli antichi testi sanscriti, soprattutto nel Mahabharata, si descriva la leggenda di una città sacra, Dwarka, residenza del Dio Krishna, finita sotto l’oceano a seguito di una guerra (una sorta di Atlantide indiana insomma).

 

Per concludere sento di dover precisare una cosa, se non altro per tranquillizzare chi (qualcuno a caso) potrebbe guardare alle grandi piogge che si abbatteranno su di noi da qui all’inverno inoltrato con un po’ di timore: tutte questi popoli finiti sott’acqua nel corso dei millenni, si sono rivelati portatori di un grado di civilizzazione incomparabilmente più evoluto rispetto ai tempi, almeno per quanto ne sappiamo. Stando così le cose, direi che il nostro buon Sindaco possa dormire sogni asciutti e tranquilli.

Dario Marcucci

Yonaguni: la piramide sommersa

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