Paletti: torna con “Super” e ha tanto da dire [Recensione]

Canzoni dal sapore inaspettato che parlano della condizione umana e delle sue contraddizioni. Un album ben oltre il cantautorato e il synth pop che mette le basi per un electro pop raffinato, che affonda le sue radici nella musica d’autore

Dicono che l’Italia non sforni musicisti, talenti, nuove idee.
E forse è vero.
Quando mi è stato chiesto di ascoltare il lavoro che oggi propongo ho storto il naso. “Un italiano?” mi sono detto. Io che tratto solo musica inglese. Eppure sarei stato costretto a ricredermi, anche perché l’artista che oggi propongo è italiano, ma cresciuto musicalmente a Soho, Londra, al fianco di personalità come Ridley Scott, Paolo Sorrentino, Gary Oldman, Goran Bregovic, Iggy Pop e Groove Armada, nella Post Production House “Zound“ e, a Roma, con la Fox International in qualità di compositore.

Paletti, questo è il nome dell’artista oggi recensito, è qualcosa di diverso. Inteso nel senso buono del termine.
Autore della canzone “Ma che ci faccio qui”, cantata da Mina e Celentano, e contenuta nell’album “Le migliori” del 2016, Paletti ha un background musicale decisamente ampio e vario. Si sente che ha un retaggio italiano, legato ai mostri sacri del nostro territorio, ma va oltre.

L’artista si muove tra un cantautorato che ricorda gli anni ’80 del panorama italiano, uno su tutti Battiato, artisti più recenti, come Max Gazzè e altri artisti a lui contemporanei, ed un electro pop d’oltremanica che rende il tutto nuovo.
Super”, titolo del suo ultimo disco, racchiude undici brani, dove con disincantata ironia racconta di temi comuni, ma non banali. A differenza di molti suoi contemporanei non ha testi volutamente scarni, indie. Non parla di quanto buona è la pizza a taglio, di come si è svegliato male, di una donna a caso.
Il disco è multicolore, racchiude alcuni pezzi più pop, altri più dance, alcune più accattivanti, altre più riflessive. Questo consente di avere un ascolto godibile e non ripetitivo. E di questi tempi non è facile.

«Amori fatti di parentesi» ad esempio è una frase che mi ha colpito profondamente, in quanto riassume con una parola una problematica particolarmente attuale. L’amore come attimo, indefinito e non analizzabile, come lo stesso Paletti suggerisce, ma che va vissuto fino in fondo.

In “Pazzo” si sente molto l’influenza degli anni ’70, come Battisti, Dalla, ma si distacca da quegli anni tramite un arrangiamento più moderno e meno pomposo. Anche in “Nonostante tutto” si continua ad avvertire un legame per quel tipo di musica. Con i synth piuttosto basici e destinati a creare la base per un cantato in continuo movimento.

In “Eneide” si torna agli anni 2000, un pezzo molto Tiromancino volendo. «Restare in equilibrio e chiamarlo vita» è stata la frase che mi ha colpito in questo pezzo, perché richiama un altro concetto a me caro, l’equilibrio di rimane sospesi su un filo, la vita appunto.
Dopo il trittico di questi pezzi, si ritorna a dei ritmi più veloci, ma si rimane in quegli anni. Stavolta il pensiero va ai Delta V e Max Gazzè. Ed è un complimento.
Poi arriva la chicca. “Jimbo”. Il brano è pop, ma il mix non lo è. Quindi l’effetto che si ha diverso. Si va su una sorta di brano strumentale dove la voce è un accessorio di stile.
In “Chat ti amo” invece Paletti analizza, con suoni arabi davvero geniali, il mondo moderno. Il vegano, internet, le chat, il social. Forse il pezzo più attuale come contenuti.
Il disco poi si chiude con “Accidenti a te” e si ritorna indietro con i ricordi. Il messaggio è semplice, «l’amore può essere un guaio» è il leitmotiv del brano. E come dargli torto.
«Non importa che tu sia un calciatore, un insegnante o un musicista, qualunque cosa tu faccia fai del tuo meglio e un giorno rimarrai sorpreso da te stesso Il Socrates della copertina, per esempio, non era soltanto un calciatore raffinato, ma anche un medico, un attivista politico , un padre, un bohemien, un cantante, un filosofo e un leader carismatico, ma anche una persona con le sue debolezze, che ha però saputo accettare nonostante la loro complessità». Questo è quello che dice il nostro Paletti in merito al nome del disco. “Super” infatti è proprio questo: un disco che cerca di parlare di varie sfaccettature della realtà, tramite diversi linguaggi musicali.
È un disco pop, interessante e con dei testi di ottima qualità. Le melodie anche assolvono alla loro funzione.
Forse una critica può essere mossa ad alcune scelte sonore, come ad esempio l’uso di synth troppo legati agli anni ’80, ma alla fine questa è una scelta stilistica dell’artista che va contro il gusto personale di alcune persone, ma che può risultare azzeccata per altre.

Eppure, al di là del percorso musicale, è un disco che ha molto da dire. Lo dice con semplicità, ma le parole scelte, per quanto di comune uso, racchiudono concetti che aprono a spunti e riflessioni. Le frasi non si fermano lì, ma creano un input per scavare più in fondo nei rapporti interpersonali e nelle vite riflesse nello specchio dello smartphone.
Ad ogni modo è un prodotto musicale che ben si piazza all’interno del panorama musicale italiano. Attingendo ad alcuni spunti sonori d’oltremanica, Paletti riesce a concretizzare il background che ogni musicista nato nella nostra penisola sintetizza alla nascita.

Ma a differenza dei luoghi comuni proposti, l’artista riesce a fare un salto oltre l’ostacolo della banalità, ed offrire un disco che non vuole stupire con gli effetti speciali, ma che offre una qualità musicale ed argomentativa che ad oggi è difficile trovare in artisti anche più famosi.

 

Matteo Madafferi

Share Button
More from Matteo Madafferi

‘cidio. Analisi di genere

La violenza non ha sesso (sono pronto a farmi crocifiggere)
Read More

5 Comments

  • Bella recensione di Madafferi. Non lo conoscevo neanche io, sembra un eccellente autore ….. però con questo revival anni 80 non ce la fo più… ho l’impressio che si perda veramente troppo una certa verve istintiva , tipica dell ‘indie di una volta, ma magari sono solo io che sono un nostalgico

  • Rispondo a Tiziano Duranti: come direbbero in una celebre presa in giro su youtube “l’indie è morto”. E forse non è mai esistito. Nel senso che ormai tutto è un ripetersi. Poi i contenuti variano e la ripetizione assume dei contorni più interessanti o meno.
    Paletti ha realizzato un disco ordinato, e con degli ottimi testi. Personalmente non è un disco che ascolterei in auto, non è il mio genere, ma da recensore devo pormi al di fuori del mio contesto musicale e dare un parere oggettivo.
    Se penso al panorama italiano odierno, fatto dei recenti partecipanti a Sanremo, Paletti è al di sopra e di parecchio. Come moltissimi altri sconosciuti artisti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.