[…] È l’ora dell’attualità, delle immagini, delle dive in fotografia. Il nostro nuovo Plutarco è l’obbiettivo Kodak, che uccide la realtà con un processo ottico e la fissa come una farfalla sul cartoncino. Oggetti e persone, fuori del tempo, dello spazio e delle leggi di casualità diventano una visione: ecco il film. La gente va al cinema. Diamole dunque le gambe delle attrici e tante immagini accanto a testi ben fatti: ecco un nuovo tipo di giornale. [Tratto dalla lettera di Longanesi all’amico Ansaldo]
Sono ormai passati più di cento anni dalla nascita di Leopoldo Longanesi, detto Leo, in quel di Lugo di Romagna nel 1905. E dopo cento anni, il suo lavoro di giornalista, scrittore, editore, regista, disegnatore… (e chi più ne ha più ne metta), continua ad essere un esempio di originalità e indipendenza come pochi se ne videro in quel clima di stagnante calcificazione culturale.
Tra le sue ‘creature’ “Omnibus“ rappresenta quel guizzo innovativo e cosmopolita che mancava all’Italia degli anni Trenta. La sua storia fu breve, appena due anni. Ma in quei brevi anni Longanesi fu capace di tratteggiare sulle pagine del suo settimanale un catalogo del mondo, e attraverso le armi della satira e del grottesco riuscì a mettere a nudo i vizi e le contraddizioni sia del nostro paese che del clima internazionale.
Omnibus fu lo strumento che Longanesi utilizzò per esprimere il suo dissenso, un’operazione acuta e intelligente che ne fa un giornale a due pelli: fascista di fuori, sprezzantemente iconoclasta nel fondo. Mediante il ricorso all’elemento parodistico, ad un linguaggio spesso allusivo e ad una magnificazione all’assurdo degli eventi, Omnibus riesce ad assumere una posizione ambigua che rende labile il confine tra celebrazione e derisione.
Una delle carte vincenti del settimanale longanesiano fu la presenza massiccia delle immagini.
L’immagine fotografica, utilizzata secondo la tecnica dell’objet trouvè, è investita del compito di costruire un catalogo del mondo; come una lente di ingrandimento Omnibus mette a fuoco e ingigantisce i vizi casalinghi e, varcando i confini nazionali, coglie al bersaglio i difetti di Francia, Gran Bretagna, Spagna e Stati Uniti. Lavorando d’intuito critico e giocando sui forti contrasti, Longanesi ricercò quegli aspetti della realtà sociale e politica del suo tempo maggiormente esposti all’ironia e al ridicolo, per poterne erigere un quadro graffiante e impietoso.
La poetica fotografica di Longanesi ha le sue radici nell’osservazione, in quel “sorprendere la realtà”, come egli stesso scriveva. Secondo Longanesi era necessario scendere nelle vie, nelle piazze, nelle stazioni, perché così accadeva di scoprire brevi attimi di una realtà diversa dall’ordinario, più profonda e netta che, altrimenti, non sapremo più rievocare.
Tuttavia, non tutto ciò che passa casualmente davanti ad un obiettivo costituisce per Longanesi materia prima; il testo fotografico non può limitarsi ad essere una mera trasposizione della realtà sulla carta fotografica, bisogna “cogliere in fallo” l’anonima vita di ogni giorno.
Diventa chiaro, così, come in Omnibus il ricorso all’immagine fotografica è volto a stimolare nel pubblico l’abitudine alla lettura critica del messaggio visivo. L’uso che Longanesi fa della fotografia è sempre un uso provocatorio, mai asettico, oggettivo o puramente documentario. A chiudere o a movimentare l’articolo, a quattro o a sei colonne, o tagliata a sequenza ed organizzata secondo i criteri del “montaggio fotografico”, l’immagine in Omnibus non favorisce mai un’informazione neutra.
Talvolta apparentemente arbitraria, non attinente al testo (ad un’occhiata superficiale), essa è in grado di esercitare forte suggestione sul lettore.
In Omnibus la fotografia è l’ “occhio di vetro”, un’ ”obiettivo all’arsenico”, il mezzo col quale egli ritraeva un mondo fuori controllo, lo scenario internazionale, gli aspetti contrastanti delle società straniere, e un Italia “ciarliera” e soddisfatta di sé. Un mezzo, la fotografia, che gli serve per “pizzicare” l’Italia nei suoi “atavici” difetti; l’Italia sempre uguale a se stessa e fiera dei suoi difetti.
Katia Valentini