Parlare di comunità ferita, di Europa colpita al cuore, dopo quel che è successo alla Cattedrale di Notre-Dame, forse, è semplicistico e un filino ipocrita: siamo dinnanzi ad una disgrazia, ma scomodare l’europeismo becero porta semplicemente alla propaganda. Che, tutto sommato, è quel che cerca chiunque sia al potere ad un mese dalle Europee.
Instaurare di nuovo quel tifo da stadio, in cui si schierano i benaltristi e i complottisti, pronti con teorie bizzarre sull’accaduto: non ci sono vittime, solo qualche ferito (due poliziotti e un vigile del fuoco). Ha preso fuoco un simbolo, caro a tutti coloro che credono nell’amore e nei sentimenti piuttosto che nelle affermazioni delle singolarità.
Non si tratta di esser solidali con una comunità, in tal caso. Anche perché l’Italia e gli italiani – che secondo qualcuno dovrebbero venir prima, senza rendersi conto che tutto il mondo è paese – non sono in grado d’esserlo appieno: mentre vien giù una lacrima per la guglia in fiamme, si pensa già a chi dare la colpa per l’arrivo del prossimo barcone. E chi si oppone a questo bipolarismo della scelleratezza passa per buonista.
Se va a fuoco Notre-Dame, bruciano anche le nostre speranze di credere in qualche emozione: chiunque, persino quelli con un sampietrino al posto del cuore, hanno sognato (magari per sbaglio) di sposarsi. Hanno amato qualcuno – uomo o donna – al punto da immaginarselo in quella Cattedrale, perché non esistono altri luoghi. Ognuno di noi non sogna il matrimonio a Cinisello Balsamo o a Lambrate, lo sogna a Parigi: ben vestito, ben curato, pronto ad iniziare un nuovo cammino al fianco della persona amata con quel flashback lungo la navata di Notre-Dame. L’ultima meraviglia. Un rifugio.
Proprio questo erano le cattedrali non meno di qualche secolo fa, luoghi accoglienti per chi scappava o non sapeva dove andare. Ne era ben conscio Manzoni che, sul lago di Como, fa nascondere Lucia in chiesa nei momenti più difficili del suo amore disperato. Combattuta tra il suo volere e la morale collettiva. Oggi, noi, ultimi romantici e inguaribili sognatori, ci sentiamo un po’ Lucia Mondella. Soltanto che non abbiamo un Fra Cristoforo ad indicarci la via.
Cerchiamo qualcosa a cui aggrapparci per credere che una realtà diversa sia possibile, ma ha preso fuoco il centro nevralgico del sentimento e siamo smarriti: proprio come la struttura di un’architettura fragile che si tiene su a malapena, sospinta dal coraggio e le doti di pochi eroi che hanno divampato un incendio in tempi relativamente brevi.
Notre-Dame era l’ultimo baluardo contro quel cinismo becero che ci fa applaudire ai funerali, emozionare per la scelta dei tronisti di “Uomini e Donne” e non per una vita sottratta alle insidie del mare, sognare il “Trono di Spade” per poi ritrovarci sul cesso di casa a leggere le proprietà biochimiche del detersivo. Era la speranza contro quei pranzi a Fregene con gente che non conosci, ma ci vai lo stesso perché ti ha invitato tuo cognato; era il diversivo contro il logorio della vita moderna, nel caso avessi finito il Cinar. Invece, senza Notre-Dame, che brucia intorno a noi, abbiamo la conferma che, nonostante le illusioni, finiremo con una casalinga di Voghera qualunque, conosciuta su Tinder, a blaterare intolleranza verso l’ambiente, la politica e la gente. Il giorno del matrimonio usciremo da un autogrill e, invece della Marsigliese, partirà “Tutto il resto è noia”. Suonata da “Mariano e i Belli Dentro”, perché Califano – il tuo idolo – è morto tempo fa.
Andrea Desideri
profondamente e tristemente d accordo !
se prima ero triste di fronte il crollo della navata ora sono a dir poco angosciato. pero’ grazie Desideri, e’ una riflessione coraggiosa e sincera oltre che verissima !!!
Andrea,mi hai fatto commuovere di nuovo anche a me. sono una sognatrice romantica anche io, evidentemente troppo se a questo mondo possono accadere tali non curanze…
sempre più beceri e sempre meno virtuosi…non a caso ci perdiamo pezzi del passato così sacro…