“Non bussare alla mia porta – Don’t Come Knocking” è un film di Wim Wenders del 2005.
È tratto da un soggetto del regista e di Sam Shepard che ha scritto anche la sceneggiatura oltre ad interpretare il protagonista, Howard Spence, un attore di film western.
Wenders riesce ad ipnotizzarci con gli smisurati paesaggi dell’Ovest riconducendoci dopo vent’anni nelle atmosfere del suo Paris, Texas (1984, sempre scritto con Shepard).
Il viaggio è sempre al centro della narrazione, si parte per arrivare a una presa di coscienza che passa attraverso l’indagine introspettiva e supera la malinconia conducendo Howard ad un incontro con il suo passato.
È una dimensione fatta di spazi e tempi dilatati dove si masticano i tormenti interiori, ma si ritrova l’empatia di uno sguardo che si era perduto nel disincanto.
Luoghi sospesi in dettagli dopo i quali nessuno sarà mai come prima della partenza.
Howard pianta in asso il set, svestendo i panni di un cowboy patinato, e in un impeto irresistibile decide di ritrovare il suo passato e pagare i conti che da anni lo aspettano silenti.
Ritrova la sua vecchia fiamma (Jessica Lange) e da un colloquio con sua madre (la mitica Eva Marie Saint) scopre di avere un figlio Earl (Gabriel Mann) risultato di una vita sconclusionata, colma di troppo ma piena di amori perduti.
Il protagonista si muove, in un’America ormai diversa e indolente, con la consapevolezza del fallimento e avvolto in un’affollata solitudine cercando un motivo per continuare e lo trova, lo trova respirando tra le strade solitarie e le distese polverose, perso sotto cieli irresistibili mossi da nuvole gonfie come sorelle di vento.
Sam Shepard interpreta un uomo romantico che vive la percezione del dolore ricercando la sua identità ormai sbiadita. Wenders si lascia andare forse ad un sincero manierismo ma può farlo perché non esiste forzatura ma solo equilibrio all’interno della narrazione e tra le struggenti e calde tonalità desertiche, riprese grazie alla strepitosa fotografia in Scope di Franz Lustig.
Il film è l’occasione per riflettere sugli affetti, sul concetto di famiglia, sulla dissoluzione della condizione ipocrita di un dogma sociale e su una nuova idea di bene condiviso come comunità allargata. È il rapporto padre/figlio affrontato in una realtà sospesa e irrisolta, ma anche un dialogo figlia/padre con una limpida e salvifica Sarah Polley che interpreta Sky, una ragazza (forse anche lei figlia di Howard) che si porta dietro un‘urna con le ceneri della madre.
È un film aperto sulla mancanza di qualcosa e sulla possibilità di riconciliarsi con sé stessi per capire come andare avanti e con chi parlare dei nostri sogni e soprattutto dei nostri tormenti.
Un plauso al sempre ottimo maestro T Bone-Burnett per una colonna sonora che impreziosisce ogni inquadratura con suoni analogici vintage.
Molto emozionante le scene nelle quali Earl intona una canzone sulla morte metaforica di suo padre e quella dove Howard è seduto sul divano in mezzo alla strada come a voler superare il limite delle convenzioni sociali abitando il mondo dentro e fuori, proiettandosi verso l’infinito e il diverso noncurante dei canoni prestabiliti.
“Don’t Come Knocking” è un film in cui si respira forte l’emozione dell’opera cinematografica, Wenders continua a sussurrarci quanto sia importante aprire alla vita, vedere senza accontentarsi di guardare e farlo ognuno a modo suo, liberi di sentire il pulsare della propria inquietudine.
“Non bussare alla mia porta” ha ricevuto 3 nomination European Film Awards 2005 e ha vinto 1 premio.
Premio migliore fotografia a Franz Lustig
NOMINATION
Candidatura miglior film
Candidatura miglior regista a Wim Wenders
Candidatura migliore montaggio a Peter Przygodda, Oli Weiss
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Stefano Pavan
Io adoro Wim Wenders. grazie Pavan… sempre recensioni puntualissime
non l ho visto!!! cosa gravissima !
sempre grazie Uki!
altro colpo del maestro a quanto pare! bella recensione ….