Nick Cave: “Push the Sky Away” – Recensione!

Non starò qui a riproporre la classica “discografia di”, la “biografia essenziale” o il “chi, come, dove, quando”. Se nel 2013 vi avvicinate a Nick Cave è perché lo avete già annusato, assaporato, amato, odiato, detestato, accusato, perdonato, digerito e/o vomitato.

E se ancora non lo avete fatto, è il momento di farlo.


Nick Cave è tornato, dopo cinque anni di silenzio, con cura e indifferenza, a sfiorare e ignorare il mainstream con il suo “Push the sky away”, quindicesimo album uscito il 19 febbraio 2013.

Netto di contrasti assoluti, il signore in nero non si smentisce mai: ritorna e, senza mezzi termini, spinge il cielo lontano, come se fosse la cosa più semplice del mondo. Lontano dai primordi punk-anarchici, lontano da “From Her To Eternity”, lontano dal capolavoro maledetto “Murder Ballads”, più vicino, forse, a “Let love in”, “The Boatman’s call” o, per certi versi, a “No More Shall We Part”… ma cosa importa? Di sicuro, in questo album si ritrova il Cave più melodico, intimista e melanconico, ma il sottofondo rabbioso e violento è comunque sempre presente.


Parlare della qualità artistica è poco possibile e probabilmente stupido: Nick Cave è un marchio ormai, una garanzia di qualità, anche se, ogni volta, di differenti fattezze, di umori diversi e colori cangianti. Colori che hanno decisi alti e bassi, non lo nego. Se questo sia un bene o un male, decidetelo voi.

Come nei suoi migliori lavori, anche in questo album, sacro e profano si incontrano, uniscono e confondono. Fluido, denso, inquieto e melodico, a partire dalla copertina: elegantissima, in rigoroso bianco e nero, in essenziale nudo e luce. Ha un sapore “vittoriano minimalista”, se mi si concede l’ossimoro. Completo nero, as usual, e il suo stare stretto in un angolo, tra polvere e palco, mostrando la porta della redenzione a una figura femminile nuda, sfornando parole e note che non trovi in mano e in testa a nessun altro… a meno che questo “nessun altro” si chiami Blixa Bargeld… ma questa è un’altra storia.


Registrato in Francia per la Bad Seed Ltd, “Push the sky away” dura poco più di 40 minuti, con le sue 9 tracce: breve, schietto e pulito. Senza troppi fronzoli o preamboli decadenti, arriva dritto a fegato, bile e viscere. Non ha mezzi termini, è un taglio netto senza passaggi intermedi, un pasto nudo e crudo. Straordinariamente raffinato, questo disco ha modi da gentiluomo d’altri tempi, ma nasconde un’inquietudine aggressiva dietro i suoi modi pacati: un potenziale assassino in abito scuro che non si palesa mai totalmente.


Il pasto del Re Inchiostro si apre con “We No Who U R”, una splendida ballata ipnotica, evanescente e incantata, che si divide ritmicamente tra un gelido organo mistico e un basso caldo e avvolgente, sporcato, rallentato e ovattato da un riverbero lontano e dalla voce baritonale di Cave accompagnata da cori lontani.

Segue la disperata, romantica redenzione di “Wide Lovely Eyes”, ballata minimale e delicata che ripropone i suoi abbandoni emotivi e gli accenni lirico-barocchi nella più completa, commovente e matura “Mermaids”.

Ma è nella bellissima “Water’s Edge” che si respira davvero e che ritroviamo, finalmente il Nick Cave più cupo, inquietante, ossessivo, religiosamente satanico: “Their legs wide to the world like bibles open / To be speared and taking their bodies apart like toys / They dismantle themselves by the water’s edge / And reach for the speech and the wide wide world”. Basso e violino a sottolineare una voce narrante impassibile e distaccata che descrive timidi corteggiamenti e amori dannati.

E poi ci sono i quasi sette minuti di “Jubilee Street”: parole gettate là, con sordida e magnetica freddezza, archi decadenti e un crescendo sonoro ricco di sinistri presagi e speranze orchestrate egregiamente.

Un capolavoro che viene concluso un paio di pezzi dopo, nella rarefazione sonora di “Finishing Jubilee Street”: brano in cui bisogna lasciarsi andare, cupo e femminile, diviso tra perdizione e redenzione, sublimazione poetica e maledetta.

Basso profondo, ossessivo e sequenziale dall’inizio alla fine in “We Real Cool”, pezzo post-punk d’eccezione che precede il vuoto cromatico di “Higgs Boson Blues”, “IL” momento alla Nick Cave, la perla che ti aspetti e che attendi con ansia, vero masterpiece dell’album, un brano oscuro, depresso, maledetto, intenso, con cori di voci umorali e imprecazioni declamate a voce alta dal signore in nero.

E poi c’è l’ultima, la title track, la tenebrosa “Push the sky away” che, nella sua veste minimale, conclude il viaggio sonoro e… fa male. Difficilmente riuscirete a descriverla con altri termini. “Push the sky away” fa male, credetemi. Lacera la carne lentamente, con ferite da arma bianca a lama lunga. E non c’è niente di complesso o strutturalmente alto nelle sonorità: è pura e semplice atmosfera sospesa, languida, dolorosa e struggente al limite del banale… ma il “banale” di Nick Cave è, neanche a dirlo, a un livello superiore…


And some people / Say it’s just rock’n roll / Oh, but it gets you / Right down to your soul / You’ve got to just / Keep on pushing / Keep on pushing / Push the sky away”.

Romina Bicicchi

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We No Who U R (singolo 2013)

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