Stelline

di Fabrizio Rabottino

“Stupida puttana.”

E dondolò via in uno sfavillio di stelline.

Distese il braccio e le labbra per salutare il pubblico naso in su.

La pomeridiana di natale al circo aveva un pubblico facile, gli applausi partirono subito automatici coprendo la musica.

Nonni nel maglione della festa indicavano le due artiste appese al trapezio, i fasci di luce le inseguivano mentre sfioravano il tendone.

L’orchestra aumentò il ritmo. I pagliacci mascherati da babbo natale si davano da fare con la rete sospesa sulla pista di sabbia.

Le due trapeziste strette nella calzamaglia di lustrini oscillavano per aumentare la velocità del loro esercizio.  Sotto il  trucco pesante apparivano identiche ma la diversa corporatura faceva intuire almeno una ventina d’anni di differenza.

“Per poco non mi ammazzavi..” continuò la più giovane incrociando il trapezio della partner.

Il viso da ragazza sotto lo spesso strato di cerone si contrasse in una smorfia mentre leggeva sulle labbra dell’altra “…Stronza…”

Distesero il braccio per salutare il pubblico. Una piroetta, un salto, una scia di stelline e si posizionarono sulla stessa sbarra.

I nonni ebbero un sobbalzo sulle poltroncine.

Senza guardarla seguitò “Puzzi di vino, sei ubriaca..”, sorrisero al pubblico ricevendone l’applauso.

“Hai le mani sudate.. ho rischiato di rompermi i denti sulla sbarra…”

L’altra la fissò sorridendo “Te l’ho sempre pagato io il conto del dentista, tranquilla, giuro che te lo ripago”.

“Vaffanculo..”, la musica accompagnò il volo della ragazza che avvitandosi nell’aria riprese il suo trapezio.

I nonni tremarono per l’emozione.

L’esibizione ormai era arrivata al termine, per aumentare il rischio dell’ultimo passaggio i clowns avevano fatto cadere la rete. L’altoparlante annunciò un triplo salto mortale. Le luci colorate si spensero lasciando in un fascio di luce solo le due artiste.

La donna più giovane iniziò a oscillare dondolandosi sul trapezio, mentre la compagna si aggrappava con le gambe alle corde per prepararsi a riceverla.

Una, due oscillazioni per darsi la spinta, poi il salto.

Raggomitolò il corpo girando una prima, una seconda e una terza volta, infine si distese aprendo le braccia nel volo orizzontale.

Avvicinandosi fissava il volto della madre, in quella luce gli sembrava calmo e dolce.

Come quando arrivava in ritardo dalla scuola e lei l’aspettava sulla porta di casa.

Tranquilla e pacata non la rimbrottava mai, stava lì sorridente con le braccia incrociate.

Come questa volta che gli volava incontro.

Solo stavolta era a testa in giù.

Gli venne spontaneo sussurrare dentro quella scia di stelline “ti voglio bene mammina…”

di Fabrizio Rabottino

 

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