Proust scriveva: «[…] Anche nelle sue creazioni più artificiose, è sulla natura che l’uomo lavora […]» -“Dalla parte di Swann”. In effetti non aveva tutti i torti. Lasciando perdere il fatto che in questo caso specifico parlava letteralmente di costruzioni edificate su un terreno naturale, in via metaforica possiamo leggere quel “sulla natura” come “utilizzando la natura”. E allora cosa c’è di più naturale dei fluidi corporei e delle modalità organiche di degenerazione… ma anche il discordante rapporto tra cultura e natura stessa, così come del rapporto tra visibile ed invisibile nei contenuti artistici.
Polvere sei e polvere tornerai: “We No Longer Speak” -David Douard (Fahrenheit – Los Angeles)
“We No Longer Speak” è una mostra di David Douard. Questo artista conteporaneo, che ha poco più di trent’anni, si interessa dei vari processi naturali, quali decomposizione, mutamenti biologici di varia natura, contaminazione e degenerazione. Processi naturali che sono applicati anche agli oggetti della vita quotidiana: questo è il centro della mostra di Douard.
E i fluidi corporei cosa c’entrano? Bhe, anche quelli, come il latte o la saliva, sono presenti, in quanto fonte d’ispirazione per le sue opere, in quanto protagonisti di processi naturali. Infatti una mostra precedente di Douard mostrava proprio i processi corporei di questi fluidi, attraverso l’istallazione di fontane trasparenti o parti di individui: per la serie “esplorando il corpo umano quante cose che impariamo”. Galeotta è stata una tigre dello Zoo di Los Angeles, sì esatto: Douard aveva la voglia ossessiva di raccoglierne la saliva, versandola poi in dei barattoli. Ma ok i processi naturali applicati agli oggetti, ma i fluidi corporei? Di nuovo mi pongo questa domanda. Il significato fondamentale è, oltre quello di mostrare come funzioniamo, quello di far comprendere come i fluidi corporei siano legati a capacità fondamentali come quella del linguaggio, ad esempio: vi sfido a parlare con la bocca secca! E il latte? Sappiamo che il latte è nutriente e specialmente quello prodotto dalla donna prima dello svezzamento dei figli.
Due ospiti: in questa mostra c’è anche lo spazio per ospitare altri due artisti. Il primo, Liz Craft, narra visivamente, attraverso delle sculture, la subcultura californiana e la sue figure mitiche quali hippy e surfisti per esempio; l’altro è Jesse Stecklow che produce arte concettuale. La pratica concettuale consiste in un’opera d’arte il cui valore artistico ed estetico è meno importante del concetto veicolato.
Il difficile rapporto natura-cultura: “Lois Weinberger Gift” -Lois Weinberger (S.M.A.K. Museum of Contemporary Art – Gent)
Una mostra dell’artista Lois Weinberger è installata allo S.M.A.K. Museo d’Arte Contemporanea di Gand. La riflessione di base da cui nascono tutte le sue opere è questa: pensare che la natura sia la controparte primitiva della cultura è una convinzione errata, tra l’altro una visione alquanto romantica.
Naturale, innaturale e anche artificiale sono fusi assieme per quest’artista. Infatti attraverso interventi aritificiali, crea degli spazi perché possa liberamente intervenire la natura. La sua azione può essere definita come “guerriglia garden” e creatrice di giardini modulari.
Tramite la natura, l’artista crea delle metafore della società: ad esempio mescola piante native con piante non-native. Egli sostiene infatti che attraveso la risposta che daranno le piante, possiamo capire quale risposta potrebbe dare un comunità sottoposta a fenomeni di immigrazione, ovviamente regolata e regolare.
Visibile e invisibile: “Bon Voyage” -Ernie Gehr / “OR OR OR?” -Raphael Hefti / “Project Space; Alfredo Aceto: Refaire le Portrait, Acte #1” -Alfredo Aceto (Centre d’Art Contemporain – Genève)
Secondo Paul Klee «L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è». Sulla base di questa definizione, possiamo dire che anche è arte quella che utilizza strumenti diversi da quelli canonici. A prescindere quindi dal suo contenuto, qualsiasi cosa può divenire arte, sempre che riproduca e ci porti alla comprensione di qualcosa.
Questo è il caso delle tre diverse mostre allestite al Centre d’Art Contemporain di Ginevra.
Primo caso: la mostra del regista sperimentale americano Ernie Gehr (descritto dal ‘New York Times’ come «uno dei più penetranti e influenti cineasti d’avanguardia al giorno d’oggi» non aveva mai esposto in un’istituzione d’arte), che utilizza strumenti nuovi come i video per esprimere ciò che non si vede e gli aspetti principali delle riprese cinematografiche. Il regista ha una forte associazione con il “Structural Film Movement“, sviluppatosi fra gli anni Sessanta e Settanta.
Secondo caso: l’artista Raphael Hefti presenta la mostra “OR OR OR?“. Cosa vuole indagare l’artista? I moderni processi industriali e vuole mostrare la bellezza che si cela nei materiali di uso comune. 300 pali di diversi materiali saranno riscaldati elettricamente donando al luogo una illuminazione del tutto suggestiva; inoltre durante la mostra sarà allestito un laboratorio di produzione.
Terzo caso: un artista italiano, Alfredo Aceto, che per l’occasione mette in mostra una serie di opere che mettono in discussione la nozione del tempo… e cosa c’è di più invisibile del tempo?
Roberto Morra
davvero interessante.. il Morra ci abitua sempre con cose sopraffine..
solo su Uki si poteva parlare di Gehr…. grandissimi!!!!
lol 😉
ormai c’è sempre più integrazione tra arte,tecnologia e sistemi/processi culturali…l’arte contemporanea sembra nutrirsi sempre più di questo!
c’è pure un italiano tra i grandi….non lo conoscevo
peccato solo che sono un po’ fuori mano
Tutte le persone senza problemi di carattere neurologico che intaccano il cervello, e magari anche quelle, hanno una parte razionale (il famoso ego di Freud). Quindi colui qui intelleget, che capisce qualcosa, non è perché ha doti straordinarie per farlo o chissà per quale motivo, è semplicemente perché usa la testa. questo vale per tutti e non solo per l’artista che oltre a una grossa dose di cervello ha la fortuna di avere l’estro dalla sua parte :)