Ora, che la signorina Astrid Herrera fosse persona indigesta, spietata e arrivista, nonché –come spesso apostrofata da alcune matrone della frangia benpensante della city– di facili costumi, questo è fuor di dubbio.
E tuttavia vederla lì, afflosciata su sé stessa, con il volto colorato col rossetto a mo’ di scherno e la pancia crivellata dai colpi muti di un revolver, era una scena tutt’altro che piacevole.
MISTERIOSO OMICIDIO ALL’HOTEL MEDITERRANEO
L’ispettore, come suo solito, una volta nei pressi del luogo del delitto cominciò a rimettere i succhi gastrici: la violenza indocile di determinate immagini aveva sul suo stomaco l’effetto di un maremoto.
Lo avevano chiamato dalla centrale solamente un’ora prima “Ispettore, c’è una donna sbudellata all’Hotel Mediterraneo”.
Dopo essersi riavuto dallo shock visivo, l’ispettore accese la paglia ardente della riflessione e se la succhiò gettando via il fumo dal naso.
«A che ora risale il decesso?», chiese agli operatori presenti.
Astrid Herrera era quel tipo di donna che ingoia la vita senza nemmeno masticarla: nelle sue trentatre primavere dissolute aveva, senza remore, dissipato irrimediabilmente quattro patrimoni, e cioè quello del padre, quello della madre Gran Duchessa, e quelli, parimenti consistenti, del primo e del secondo marito.
Odiata e temuta dalle donne, per via dei suoi proverbiali fianchi venusiani nonché per la nomea di gran seduttrice di hombres sposati, di Astrid in molte ne avrebbero voluto vedere il triste epilogo. Restava da capire se qualcuna potesse esserne addirittura l’artefice.
E cosa dire degli uomini?
L’avevano desiderata in tanti e troppe volte, ché si sa che quando l’immagine del pizzo di una donna diviene un’ossessione, allora un uomo può perdere il senno, il cuore ed il discernimento.
Quanti erano stati vittima dell’ipnosi di Astrid Herrera? Quanti manipolati? Quanti s’erano ammalati per gelosia?
In sostanza l’ispettore avrebbe dovuto interrogare ogni uomo e donna della city: chiunque avrebbero potuto avere un buon movente per sbrindellare la nostra femme fatale.
Ora la vedevi lì, nella più totale naturalezza e spontaneità, con gli occhi neri appesi al vuoto, gli slip abbassati fino alle ginocchia. E poi quella sorta di disegno col rossetto sulla faccia.
Nella camera d’albergo, la 303, aleggiava, inequivocabile, il profumo de la muerte.
L’ispettore insistette nel fissare la vittima, cominciò a scricchiolargli il cuore.
Tutto era in perfetto ordine nella stanza, gli abiti poggiati sulla sedia, i quadri affissi ai muri, le lenzuola, gli specchi esagonali.
«Ispettore», fece uno degli operatori mentre inforcava i grossi occhiali da vista «Riteniamo che il delitto abbia matrice sentimentale. Tale conclusione trae origine dalla circostanza che la signorina è stata denudata degli slip ed inoltre…», «Sta muto cretino» lo interruppe l’ispettore. «Chiamate il medico voi imbecilli, bisogna capire se l’hanno prima violentata».
Astrid aveva conservato quasi integralmente la freschezza di quando era una ventenne: le labbra parevano due fiori di carne adolescente, la vita si stringeva e d’incanto nascevano i fianchi, che curvavano e avevano la forma dell’estate, e poi, a seguire, le gambe, lisce ed eloquenti ed in mezzo ad esse il sol dell’avvenire.
Quando, da giovane, lasciò casa per andare a vivere da sola, affinò gradualmente il suo potere persuasivo ed i congegni seduttivi, fino a divenire infallibile, accompagnata per sempre da quella leggerezza che hanno le farfalle e gli altri animali che vivono così poco da non avere programmi né progetti.
Dopo un’ora abbondante, il medico legale mandò a chiamare l’Ispettore per comunicargli gli esiti del test di Ullrich–Serbes, ossia l’esame utero-vaginale.
«Ispettore, sulla base del test non risulta che la vittima sia stata violentata».
«Non avete trovato tracce di seme?».
«A dire il vero sì, tuttavia non vi sono lesioni né lacerazioni».
«Che significa?».
«Che il rapporto sessuale c’è stato, Ispettore, ma che la vittima era consenziente».
L’Ispettore rivolse gli occhi al sole acido delle tre di pomeriggio che avvelena nembi e vento, poi morse la lingua e accese una paglia calda, come un tizzone ardente sulla bocca.
Gli operatori scattavano foto al corpo della vittima; se solo avesse potuto, Astrid Herrera, si sarebbe messa in posa, raccogliendo i capelli con le mani e ammiccando all’obiettivo.
Oh sì, quella donna se avesse voluto, si sarebbe presa tutto.
Se la ricordavano bene, le moltitudini di ometti con le mogli ormai sfatte e viola e i bambini rompi cazzo al seguito, à la vecchia Astrid Herrera, quando ogni tre giorni sbucava in prima pagina sui rotocalchi della city, a fianco di un nuovo armatore, di un nuovo industriale, cui aveva inesorabilmente sottratto il tempo, il denaro, l’amor proprio.
Oh sì, se la ricordavano bene, à la nostra Astrid, le moltitudini anonime di anime vacue, mentre lei sedeva a ristorante, accavallava le gambe di sequoia e il tempo si arrestava e diveniva fuliggine.
«Fate qualche ricerca e portatemi il suo ultimo amante» disse l’Ispettore.
Eccoli, seduti di fronte, divisi dal tavolo in plastica, avvolti dal fumo di una nuova paglia scura.
L’Ispettore e tale Simon D.V., professione banchiere.
«Da quanto tempo frequentava la signorina Herrera?».
«Da un paio di settimane, Ispettore».
«Eravate insieme ieri notte?».
«Abbiamo cenato insieme, poi l’ho accompagnata in albergo, mi ha detto che non stava bene».
«Dove si trovava alle ore tre e trenta della notte passata?».
«Ero in casa mia».
«C’è qualcuno in grado di provarlo?».
«No Ispettore, ero solo in casa a dire il vero».
Poco dopo, al commissariato arrivò il Sovrintendente.
«Ispettore, che ne pensa di questo tizio?» chiese, riferendosi al sospettato.
«Potrebbe essere stato lui» rispose senza troppa convinzione, stanco e appassito.
Poi l’Ispettore si chiuse in bagno, allentò il nodo alla cravatta e si bagnò il viso.
Mentre fissava sé stesso nello specchio, giunse una nebbia granulosa, densa di pensieri, rimpianti e rimembranze.
«Ragazzo, non sarò mai soltanto tua» soleva dirgli Astrid, «Io abito i letti, i cuori e le menti, vado e vengo quando voglio e così sarà per sempre».
Lui s’incupiva e si chiudeva in sé, «Per sempre è un sacco di tempo, Astrid, ed anche mai più ed anche prima o poi».
«Questa sono io e questa è la mia sete che non si placa con una notte di piacere, per spegnerla, ragazzo, dovrai sottrarmi l’anima».
L’Ispettore colse la sfida, perchè si sa che quando l’immagine del pizzo di una donna diviene un’ossessione, allora un uomo può perdere il senno, il cuore ed il discernimento.
di Giuseppe Catanzaro
si fa tutti una finaccia!
Un noir alla Polanski…. che bello!!!
Chi vive succhiando il sangue degli altri,muore senza sangue! Mentre altri periscono di quel sortilegio
Bellissimo racconto. Il Catanzaro è favoloso
Si si …. i racconti di Giuseppe Catanzaro sono tra i miei preferiti. Assolutamente fantastici!!!
Bellissimo. Mi accendo una paglia…
LOL
sempre affascinante Catanzaro! bellissimo!