L’arte non può più evitare il dialogo con le discipline che hanno una sempre maggiore influenza nelle nostre vite. Questo è forse l’unico modo perché possa parlarci e dirci qualcosa: un’installazione artistica oggi può farci rendere conto di come siamo travolti dalla velocità a cui procedono le nuove invenzioni, che da un giorno all’altro possono modificare la nostra quotidianità. Infine una tale installazione artistica può farci riscoprire la necessità di riscoprire certi valori elementari.
Ah.. quando l’arte diventa interdisciplinare (ne avevamo già parlato qui). Eh già, ormai non si può parlare di arte se non si ammette una sua funzione, come quella di essere un’interpretazione della realtà. E sempre di più sono i casi in cui l’arte non può non fondersi con le nuove tecnologie o le nuove scienze. Sempre di più l’arte sta diventando una prospettiva particolare, che trova poi la sua espressione anche attraverso gli oggetti di uso quotidiano.
Tutto ciò accade in una mostra allestita nella galleria Carrol/Fletcher di Londra. La mostra è divisa in stanze e vuole mostrare le opere di Michael Joaquin Grey, nato a Los Angeles e laureato in genetica, arte e scultura.. già dalla sua preparazione (e non è il primo caso) potete capire come le discipline si comincino ad intersecare e a comunicare liberamente tra loro.
Da subito incontriamo le opere dell’artista e, non senza qualche difficoltà, ci accorgiamo che le opere sono tutte collegate tra loro, grazie anche ad un elenco di termini che spiega ogni opera e il suo significato.
La mostra è dedicata all’artista e quindi ci sono lavori di tutta la sua carriera. Abbiamo innanzitutto quelli che si riferiscono ad un fenomeno o ad un esperimento scientifico, come “Orange between orange and Orange“, del 1989, o “C Drop Experiment” che è più recente, in quanto risale al 2012. Sia nel passato, come nel caso della prima, che nel presente, e questo vale per la seconda, possiamo osservare, e apprezzare, lo sforzo compiuto da Grey per cercare di far comunicare i due principali fili culturali dell’Occidente, cioè arte e studi umanistici da una parte e scienza dall’altra, che l’Occidente stesso vive separatamente, come ben spiega una conferenza tenuta da Charles Percy Snow presso l’Università di Cambridge e pubblicata nel 1959 dal titolo “The Two Cultures“.
Novità della mostra è “Morphologies“, progetto composto da televisori vintage, fotocopiatrici, macchine fotografiche e radio. Tutti questi oggetti sono chiusi in delle vetrine e vogliono mostrare l’evoluzione dell’innovazione tecnologica del XX secolo. Questo è reso possibile anche grazie all’uso del colore, utilizzato per le vetrine, che è un verde-grigio argilla, che ricorda una sorta di antico artefatto.. come se certi oggetti, pur inventati nel secolo scorso, fossero già diventati antichi e leggendari. L’intento è proprio quello di mostrare la velocità dell’innovazione tecnologica, che avanza ad una velocità direi sostenuta.. forse troppo? Non è che in questa folle corsa rischiamo di perderci qualcosa?
A completare il tutto c’è anche un video, “Umwelt Belt“, che mostra questi oggetti, e altri che caratterizzano la nostra vita quotidiana -e che sono abitanti di uno spazio post-umano- a testimoniare il passaggio dell’essere umano in un passato recente.
L’atmosfera è poi resa coinvolgente e carica di significati dal film, composto al computer, “So What 2012“ che viene proiettato su dei grandi schermi. Il film mostra il sistema solare in cui i pianeti girano pian piano più velocemente, il che produce un ritmo ipnotico grazie l’associazione di questo movimento alla musica e alle voci di Steve Jobs, Ella Fitzgerald e Werner Herzog per citarne solo alcuni, che si alternano tra loro come se si stesse facendo zapping alla radio.
Giungiamo così, tra discipline che si incontrano, oggetti abbastanza recenti ma diventati obsoleti e pianeti che girano troppo velocemente, all’ultima stanza della mostra occupata da un’installazione interattiva dal nome “Sandbox 1.1“ che riproduce un kinrgarten, cioè un giardino/parco per bambini.
In un’intervista con Thomas Asmuth lo stesso Grey spiega cosa lo ha spinto ad elaborare quest’opera, in cui trovano spazio pedagogia ed educazione. Primo obiettivo di questa installazione, secondo le dichiarazioni dello stesso artista, è quello di recuperare una certa educazione artistica, cioè capire come l’arte di un paese possa essere influenzata dall’arte proveniente da un altro paese. Le sue parole infatti recitano così: «Un aspetto che è stato sicuramente trascurato nella mia educazione artistica, è stata la storia e la struttura dell’aspetto pedagogico nella scuola d’arte. Se prendiamo in considerazione la storia del Museum of Modern Arte se facciamo riferimento al suo primo direttore, Alfred Barr, che fu uno dei primi a rendere chiaro chi aveva influenzato chi nella storia dell’arte (processo che è ancora oggi la base della moderna Cultura Americana), ci rendiamo chiaramente conto di tutta una serie di riferimenti fatti da questo ed altri precursori, ad esempio, di molti artisti alle stampe Giapponesi o all’arte Africana».
Inoltre l’installazione diventa pedagoga, una pedagogia per adulti, perché mette a disposizione dei visitatori dei mattoncini di legno con i quali sono invitati a giocare, all’interno di un recinto di sabbia, per riscoprire il valore delle esperienze elementari. Quasi ci fosse la volontà di mostrare come sia necessario recuperare questeesperienze fondamentali, data l’eccessiva velocità a cui procedono la scienza e le nuove invenzioni e che rischia di travolgerci..
Roberto Morra
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Michael Joaquin Grey – “Umwelt Belt” 2012 _ (100 object essay)