Una maxi rassegna rappresenta come il punk ha cambiato per sempre il nostro modo di essere… e di vestire.
La notizia, premesso interessi unicamente i provvisti di ‘palato fino’, è di quelle far alzare tutti in piedi sul divano. Il palato fino tra virgolette è d’obbligo, perché quando si parla di punk il gusto, la mentalità e lo stile di vita sono principi che davvero hanno poco a che fare con il concetto di pensiero comune. Tornando alla notizia, pur facendo storcere il naso a qualche milione di persone, il Metropolitan Museum of Art di New York ha deciso di dedicare 7 saloni della sua prestigiosa galleria a quel movimento che negli anni ’80 nessuno si augurava potesse finire in un museo. Il pensiero in merito fortunatamente è stato un attimo rivisto, e se la direttrice di Vogue America Anna Wintour e Andrew Bolton del Costume Institute si son prodigati per realizzare una mostra sull’argomento, un motivo ci sarà.
“Punk: Chaos to Couture“, questo il nome dell’esposizione aperta dal 9 maggio al 14 agosto, si propone di guidarci in una ‘controspettiva’ che esplora le connessioni tra il punk e l’alta moda, sottolineando l’influenza che l’estetica di questo movimento musicale ha esercitato e continua a esercitare sulla creazione di stili.
Non è infatti un caso che a distanza di 30 anni la stilista giapponese Rei Kawakuboabbia abbia chiesto la collaborazione di Jamie Reid, il grafico britannico che ha ideato la spilla da balia sulla bocca della regina Elisabetta per la copertina del disco dei Sex Pistols nel 1977 (mica piazza e fichi!) per realizzare una collezione per Comme des Garçons e l’allestimento dello store londinese del Dover Street Market.
Come non è casuale l’intesa nata fra Vivienne Westwood, una delle più visionarie creatrici di moda britanniche, e Joe Rush, fondatore della Mutoid Waste Company -uno dei gruppi di scultori e perfomer creativi più punkabbestia del mondo- nella promozione della campagna di sensibilizzazione ambientalista “Climate Revolution”.
Tutto combacerà alla perfezione nelle 7 sale del Met, dove una rassegna di disegni, abiti, scatti e clip musicali testimonieranno il prolifico rapporto tra l’estetica ‘da due soldi’ della corrente e l’alta moda, evidenziando punti di contatto tra storiche band come Social Distortion, Black Flag, Sex Pistols, The Exploited, Dead Kennedys o The Clash, e alcuni tra i mostri sacri più in voga come Dior, Riccardo Tisci for Givenchy, Versace, Dolce & Gabbana, Chanel, Moschino, Zandra Rhodes, Martin Margiela, John Galliano, Karl Lagerfeld e molti altri ancora.
Certamente non bisogna essere esperti per riconoscere fra quelli sopracitati alcuni tra i migliori stilisti del mondo, ma quanto possono piacere effettivamente questi accostamenti ai veri punk, quelli che a metà degli anni ’70 andavano in giro con vestiti strappati, pantaloni laceri, Dr. Martens e catene al collo?
A distanza di 40 anni sembra di parlare di qualcosa di osceno, ma personalmente provo rispetto per chi nutre la sua esistenza di questi concetti riottosi, o almeno per chi a tempo debito ha avuto il coraggio di farlo. Facile indossare abiti rock, ancora più semplice vestirsi ‘pop’. Chi si veste dark può sentirsi diverso, chi ha amato lo stile grunge sa in cuor suo di aver avuto gusti alquanto discutibili, ma solo di chi ha definito il proprio essere con il punk, può dire di aver partecipato ad un qualcosa che ha davvero cambiato la storia, in modi diametralmente opposti, di due nobili arti come musica prima e moda poi.
La conclusione di questo post si divide sostanzialmente in due pensieri ben distinti:
– da una parte c’è la commercializzazione del punk, aspetto che potrebbe indurre la ri-nascita di una moda rivisitata in maniera del tutto personale, e che potrebbe portare alla creazione di veri e propri mostri (stilisticamente parlando), come già successo in occasione della serata di gala di apertura della mostra, dove buona parte della star viste sfilare sul red carpet (cercare sul web per credere) evidentemente non avevano ben capito il tema della serata.
– Dall’altra parte c’è l’arte, una di quelle cose che a volerla criticare spesso si finisce per avere torto. Davvero ammirevole l’idea del Met: una finestra su un mondo passato, ma non dimenticato, che viene costantemente imitato e che funge da fonte d’ispirazione per molti baldi giovani che da un giorno a un altro credono si sentirsi punk.
In questo momento l’invidia per chi vive oltreoceano è veramente alle stelle, ma nulla di vieta di fare una pazzia e prendere il primo aereo per New York. Cosa da folli appunto, ma provate a chiederlo a chi è convinto di avere il palato fino: non se lo farà ripetere due volte.
Carlo Alberto Pazienza
Met gala…
http://youtu.be/ZzW4YyDFvh4
Il Punk…