Messico 70 –Brasil Tricampeao! (Speciale Mondiali -Part.10)

Dopo la "partita del secolo" Italia-Germania 4 a 3... gli Azzurri si arrendono al Brasile di Pelè in Finale... non senza polemiche

Per assegnare la sede della 9^ edizione della Coppa Rimet, la Fifa si riunì nell’ottobre del 1964, pochi giorni prima l’inizio dei Giochi Olimpici di Tokyo. Per tener fede alla regola non scritta dell’alternanza Europa-Sudamerica, la Fifa accettò le candidature di due paesi americani: Argentina e Messico. Dopo lo smacco di Cile ’62 gli argentini erano sicuri di poter ottenere finalmente l’assegnazione, ma proprio come in occasione di quel Mondiale le pressioni del Brasile e alcune considerazioni di carattere politico (mai si era giocato al di fuori di Europa o Sudamerica) indussero la commissione a preferire il Messico, paese che per altro aveva già ottenuto l’onore di organizzare nella sua capitale le Olimpiadi del 1968.

Non poche le perplessità che accompagnarono la decisione della Fifa da parte delle maggiori federazioni mondiali. Non tanto per il fatto che il Messico, nonostante fosse un paese ricco di argento, piombo e petrolio, rimaneva in gran parte ancora sottosviluppato, quanto per l’altura (non si scendeva sotto i 1500 metri) e l’incognita legata alla fisica tenuta degli atleti. L’elevata altitudine infatti rendeva più problematica l’ossigenazione del sangue, condizione che avrebbe favorito squadre meno atletiche e dinamiche. Un bene da un lato, visto che dopo due mondiali all’insegna della violenza e dell’agonismo, il torneo in Messico avrebbero privilegiato gioco tecnico e ritmi più sostenuti.

 

L’Italia rompe un digiuno di 30 anni

La tragicomica sconfitta contro la Corea del Nord ai Mondiali inglesi del 1966, portò all’inevitabile licenziamento di Fabbri ed al caos in Federazione. Il presidente Pasquale, per zittire gli scettici e non sentir ragioni, chiamò sulla sulla panchina azzurra Helenio Herrera, il mago argentino campione di tutto con l’Inter. Nonostante le buone premesse e l’esordio vincente in amichevole contro l’Urss (primo successo assoluto contro i sovietici), Herrera rimase sulla panchina azzurra solo 4 partite per poi essere sostituito da Ferruccio Valcareggi. Un avvicendamento coinvolse anche la presidenza della Figc, dove Artemio Franchi subentrò a Pasquale. Con il corso del nuovo tecnico l’Italia tornò a farsi rispettare, qualificandosi alla fase finale di Euro ’68 dopo aver vinto agilmente il proprio raggruppamento davanti a Romania, Svizzera e Cipro. Nella fase finale (allora solo le 4 semifinaliste si affrontavano in unico Paese organizzatore), in programma proprio in Italia dal 5 al 10 giugno 1968, la Semifinale ci vede ancora una volta di fronte allo spauracchio Urss. Lo gara si disputò a Napoli il 5 giugno, un’ incontro giocato prevalentemente a centrocampo, in cui solo il palo di Domenghini fece alzare i 70,000 del San Paolo, che si concluse a reti inviolate dopo 120′ interminabili minuti. Non essendo ancora stati inventati i calci di rigore, per decretare la finalista si dovette procedere al sorteggio tramite lancio della monetina: la Dea Bendata indusse capitan Facchetti a scegliere testa. E testa fu, l’Italia era in finale.

L’ultimo atto di Euro ’68 si giocò a Roma, ma anche in questa occasione 90′ non furono sufficienti. La Jugoslavia si rivelò avversario assai tosto, e gli azzurri non furono capaci di andare oltre l’1-1 dei tempi supplementari. Questa volta però nessun sorteggio, bensì la ripetizione della gara in programma due giorni dopo, ancora a Roma. Bastò poco più di mezzora all’Italia per archiviare la pratica e scrivere la storia: Anastasi prima e Riva poi, inflissero alla Jugoslavia il 2-0 che ci permetteva di tornare ad alzare un trofeo a distanza di 30 anni dall’ultima volta, lo sbiadito ricordo della finale Mondiale vinta a Colombes nel 1938.

Sulle ali dell’entusiasmo di una sicurezza ritrovata, l’Italia intraprese in Galles nell’ottobre ’68 il cammino di avvicinamento verso Messico ’70. Trascinati da un bomber come Gigi Riva, autore di 7 reti in 4 partite, gli azzurri chiusero il girone imbattuti davanti a Germania Est e gallesi. Nel frattempo il Milan nel 1969 aveva alzato a Madrid la sua seconda Coppa dei Campioni battendo l’Ajax per 4-1. Le quotazioni del calcio italiano in vista della Coppa del Mondo stavano salendo vertiginosamente.

 

Cartellini e sostituzioni: il gioco si evolve

Furono ben 75 le federazioni che si iscrissero alle qualificazioni della Coppa del Mondo 1970. Detto dell’Italia, e considerati i posti già presi di Messico come paese organizzatore e Inghilterra come campione in carica, dei 13 posti rimasti 7 spettarono all’Europa, 3 al Sudamerica, 1 ad Asia ed Oceania, 1 all’Africa e uno al Centro America. E proprio da uno dei gironi dell’America del sud arrivò una delle esclusioni eccellenti di questo mondiale. Se il Brasile si ‘limitò’ a fare 6 su 6 nel proprio gruppo, e l’Uruguay ad uscire imbattuto dal proprio, lo stesso non riuscì all’Argentina, clamorosamente eliminata da un grande Perù. La squadra andina vantava effettivamente grandi talenti: Teofilo Cubillas, eclettico centrocampista offensivo dal gol facile, oppure Hugo Sotil, attaccante dal dribbling ubriacante; e infine il capitano Hector Chumpitaz, difensore centrale considerato, assieme a Elias Figueroa, Daniel Passarella e José Nasazzi, il miglior interprete del ruolo nel calcio dell’America Latina. Tra le europee le escluse di lusso furono la Francia, eliminata dalla Svezia, la Spagna e la Jugoslavia vicecampione d’Europa, buttate fuori dal Belgio, e l’Olanda, paese in cui stava per prendere forma il calcio totale, superata nel girone dalla Bulgaria. Marocco per l’Africa, Honduras per il Centro America e Israele per l’Asia completavano il quadro delle partecipanti assieme a Germania Ovest, Cecoslovacchia, Romania e Urss.

Quel mondiale segnò anche l’introduzione di alcuni aspetti innovativi che avvicinarono il gioco a come lo conosciamo oggi. Ad esempio i cartellini colorati (giallo ammonizione, rosso espulsione) voluti dall’arbitro inglese Aston (proprio quello della ‘Battaglia di Santiago‘ del ’62), che dopo Argentina-Inghilterra del ’66 pensò che fosse necessario un linguaggio universale con cui il direttore di gare potesse dire ai giocatori cosa potessero e non potessero fare, e le sostituzioni (fino a un massimo di 2) per i giocatori di movimento, visto che fino ad allora ne era concessa una sola per il portiere in caso di infortunio. In Messico arrivarono anche gli sponsor: per la prima volta infatti Adidas si era assicurata l’esclusiva di firmare il pallone, il famoso Telstar con poligoni bianchi e neri.

 

La ‘staffetta’ e il Brasile dei 5 numeri 10

L’Italia venne inserita nel girone di Toluca, a 2,600 metri sul livello del mare, assieme a Uruguay, Svezia ed Israele, ma nonostante la vittoria agli europei e il buon momento che stava attraversando il nostro calcio, la solita ventata di polemiche non risparmiò neanche la nazionale in partenza per Massico 70. Per esempio Valcareggi era convinto che Gianni Rivera, il talento più cristallino del nostro calcio, campione d’Europa e del Mondo col Milan e Pallone d’Oro 1969, non potesse coesistere in campo con l’interista Sandro Mazzola. In effetti i due erano doppioni, col nerazzurro che non aveva il lancio geniale del rossonero, ma che gli era superiore continuità e atletismo. Una situazione che avvelenò l’atmosfera e scatenò le critiche della stampa. Ma non è finita qui.

Dopo l’ultima amichevole premondiale, vinta contro il Portogallo a Lisbona per 2-1, il centravanti titolare Piero Anastasi si infortunò. Per sostituirlo Valcareggi ne chiamò due: Roberto Boninsegna e dell’Inter e Pierino Prati del Milan, il che stava a significare che uno dei 21 giocatori in ritiro era di troppo (all’epoca infatti si andava in 22). A saltare alla fine fu il milanista Giovanni Lodetti, al quale la Federazione propose di rimanere in Messico ed invitare la famiglia per una vacanza ad Acapulco. Lodetti, senza tanti giri di parole, li mandò a quel paese, fece le valige e se tornò a Milano. Rivera, di cui Lodetti era fedele scudiero in rossonero, prese il siluro del compagno come un affronto personale, e sparò a zero sui dirigenti federali minacciando di andarsene. Ci volle l’intervento di Roccò, salito sul primo aero per Città del Messico, per mediare col ‘Golden Boy‘ e convincerlo a rimanere trovando un compresso con Valcareggi: Mazzola il primo tempo, Rivera il secondo.

 

L’Italia esordì battendo la Svezia per 1-0 grazie ad un tiraccio di Domenghini bucato dal portiere svedese. Nella seconda gara contro l’Uruguay, che nel frattempo aveva vinto la prima contro Israele, le due squadre strinsero un tacito patto di non belligeranza e chiusero le ostilità senza farsi male. Nonostante gli sforzi e le due reti annullate a Riva, l’Italia non riuscì nemmeno a battere Israele. Con 4 punti e 1 gol segnato in 3 partite, gli azzurri si qualificarono ai quarti davanti alla Celeste.

 

Il girone più interessante era però quello con il Brasile e campioni in carica dell’Inghilterra. La nazionale verdeoro, guidata da Zagalo in panchina e da Pelè in campo, era una squadra formidabile.  In difesa Carlos Alberto, Brito, Piazza ed Everaldo; subito avanti Clodoaldo, compagno di Pelè al Santos, le cui gli avrebbero permesso di fare il trequartista in tutte le altre squadre brasiliane. Era un  fuoriclasse, ma di fatti faceva il frangiflutti. E poi davanti, il Brasile schierava il cosiddetto calix (calice), 5 giocatori che nei rispettivi club vestivano la maglia numero 10: a destra Jairzinho, trequartista nel Botafogo ma ala in Nazionale, esterno potente, veloce e di grande opportunismo; di fianco a lui Gerson del San Paolo, il costruttore del gioco verdeoro a centrocampo; Tosato, centravanti del Cruzeiro, dotato di una tecnica superiore e di grande visione, un 9 e 10 insieme; a sinistra Rivelino, che giocava nel Corinthians. A lui il Dio del calcio aveva dato tutto tranne tranne la velocità, ma aveva esagerato sul sinistro, uno dei tre più grandi della storia. E poi c’è il numero 10 vero, che alla soglia dei 30 anni e in dubbio fino alla fine di partecipare a questo mondiale, brillava ancora di luce propria: Pelè. I verdeoro infatti non ebbero nessun problema a chiudere il girone senza sconfitte, rifilando 4 reti alla Cecoslovacchia all’esordio, battendo 1-0 l’Inghilterra e superando anche la Romania di misura per 3-2

 

Negli altri gironi riuscirono ad ottenere un posto ai quarti il Messico padrone di casa, che chiuse il suo girone secondo con 5 punti, 5 gol segnati e 0 subiti, alle spalle dell’Urss che si qualificò prima per aver segnato una rete in più dei messicani, il grande Perù di cui abbiamo parlato prima e la Germania Ovest,un’infallibile macchina da gol, guidata da un centravanti straordinario come Gerd Muller, capace di vincere il girone segnando 10 reti in 3 partite.

 

Nei quarti di finale gli Azzurri dovettero vedersela col Messico. Spinti dal gran tifo sugli spalti e dalle condizioni atmosferiche a loro favorevoli, i centroamericani partirono fortissimo e si potarono in vantaggio dopo appena 13′ con Gonzalez. L’Italia riuscì a pareggiare grazie all’autogol di Pena una dozzina di minuti più tardi, ma per scacciare i fantasmi coreani di Sunderland ci volle l’ingresso di Gianni Rivera ad inizio ripresa. La staffetta con Mazzola dette infatti agli azzurri maggiore vivacità e imprevedibilità offensiva, così che Riva, Rivera e ancora Riva firmarono il definitivo 4-1 che ci mandava in Semifinale.

Nel suo quarto di finale la Germania Ovest aveva occasione di rifarsi per la sconfitta subita nella finale mondiale di 4 anni prima. Fu però l’Inghilterra, composta in gran parte dagli 11 ‘Wembely Boys‘, a segnare per prima con Mullery al 31′ e addirittura portarsi sul 2-0 ad inizio ripresa con Peters. Poi però la Germania, orchestrata da uno splendido Beckenbauer, imbastì la rimonta: Seeler accorciò le distanze, Kaiser Franz pareggiò i conti e Gerd Muller, giunto a quota 8 in 4 gare, completò l’opera ai supplementari.

Molto spettacolare anche il terzo quarto di finale, quello tra Brasile e Perù. I peruviani si batterono con onore, riuscendo ad accorciare il vantaggio verdeoro sul 2-1 e sul 3-2, ma alla lunga le qualità dei brasiliani vennero fuori e Jairzinho chiuse i conti con la rete del definitivo 4-1.

Nell’ultimo quarto di finale all’Uruguay ci vollero 116′ per avere la meglio dell’Urss, rete di Esparrago, e volare in semifinale.

 

Al Brasile la Coppa Rimet, ma ‘El partido del siglo’ lo vinciamo noi

Il campionato di Messico 1970, torneo giocato ad altissimo livello tecnico ed agonistico, propose due semifinali da sogno: Brasile-Uruguay e Italia-Germania Ovest, 7 Coppe Rimet in campo, rappresentavano infatti il meglio del calcio mondiale di allora.

A Guadalajara il gol di Cubilla dopo 19′ fece tornare in mente ai brasiliani il Maracanazo di 20 anni prima. Quello però fu l’ultimo sussulto degli uruguagi, che finirono per essere travolti da Clodoaldo, Jairzinho e Rivelino. 3-1 e Brasile in Finale.

Il 17 giugno a Città del Messico andò in scena invece l’altra Semifinale, quella tra Italia e Germania Ovest. Appena 8′ e l’Italia passò a condurre le operazioni con Boninsegna, fortunato nel vincere un rimpallo al limite dell’area e bravo a fulminare Maier con un preciso mancino. Nei restanti minuti la Germania costruì un vero e proprio assalto all’arma bianca: i miracoli di Albertosi e alcuni salvataggi sulla riga impedirono però ai tedeschi di passare. Fino al 90′, quando su una rimessa laterale Grabowski mise in mezzo un pallone che il terzino milanista Schenllinger deviò in rete con una spaccata degna di un vero bomber. Ai supplementari la gara salì di intensità. Dopo 4′ Muller sfruttò un incertezza della difesa azzurra trasformando una palla apparentemente innocua nel gol del 2-1. La gioia dei tedeschi durò solamente 4′, il tempo di battere una punizione in area sul cui rimpallo si fiondò Burnich, 2-2. Al 14′ Riva ricevette palla al limite, si accomodò il sinistro e con un preciso diagonale batté Maier per la terza volta. Il secondo tempo supplementare si aprì ancora con il gol dei tedeschi, sempre con  Muller, il più lesto ad anticipare tutti su un calcio d’angolo. Ma gli dei del calcio avevano già scelto la loro preferita: battuto il calcio d’avvio, Boninsegna riuscì a scappare a Schlulz sulla sinistra, mise in mezzo dove Rivera di gran carriera colpì di piatto siglando il 4-3. Fu l’ultima emozione di una partita meravigliosa, consegnata alla storia come la partita del secolo.

 

La Germania ebbe modo di consolarsi con la medaglia di bronzo, ottenuta dopo la vittoria per 1-0 sull’Uruguay nella finale per il 3° e 4° posto.

 

Il 21 giugno 1970 Brasile e Italia si dettero appuntamento allo Stadio Azteca di Città del Messico per la finale della 9^ ed ultima edizione della Coppa Rimet. Già perché avendone vinte due ciascuno, chi l’avesse spuntata in questa finale se la sarebbe portata a casa per sempre.

Gli Azzurri, per nulla intimoriti dai rivali, partirono fortissimo, e al primo minuto di gioco Riva impegnò Felix con una sassata da fuori. Nonostante il buon inizio, il gol lo trovò per primo il Brasile con Pelè, autore di un maestoso stacco aereo su suggerimento di Rivelino dalla sinistra. L’Italia però reagì, e al 37′ Boninsegna penetrò nella leziosa difesa verdeoro, evitò l’ultimo difensore, vinse un rimpallo con Felix e depositò nella rete sguarnita il pallone del pareggio.

Chiuso il primo tempo sull’1-1, tutta l’Italia sognava con l’ingresso di Rivera. Stavolta però, il cambio non ci fu. Gli Azzurri nella ripresa non riuscirono ad imprimere al loro gioco la stessa efficacia dei primi 45′. I vari Mazzola, Riva, De Sisti ciondolavano in campo, ed alla lunga lo strapotere tecnico dei brasiliani prese il sopravvento. Dopo diverse occasioni fallite, Gerson trovò l’angolo giusto con un gran sinistro dalla distanza. Dopo 5′ Jairzinho sfruttò una sponda di Pelè e realizzò il 3-1. Con la rete in finale l’ala del Botafogo aveva messo a segno il suo 7° sigillo consecutivo: segnando in tutte e 6 le partite del Mondiale firmava un record imbattuto ancora oggi. A 6′ dalla fine entrò Rivera, ma con un’azione corale da manuale Carlos Alberto firmò il poker del Brasile Tricampeao.

 

Nonostante un ottimo mondiale, gli Azzurri al loro ritorno ricevettero critiche ed ingiurie. Il dito fu puntato sopratutto contro Valcareggi, reo di non aver dato abbastanza spazio a Rivera in finale. Proprio come era iniziata, l’avventura italiana ai Mondiali del 1970 si era chiusa tra le polemiche. Per l’ennesima volta.

Carlo Alberto Pazienza

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http://youtu.be/X-BtuVGY4rg

 

 

 

SPECIALE MONDIALI:

> “World Cup Story -Il gioco più bello del mondo” (Part. 1)
> Uruguay 1930 (Part. 2)
> Italia 1934 (Part. 3)
> Francia 1938 (Part. 4)
> Brasile 1950 (Part. 5)
> Svizzera 1954 (Part. 6)
> Svezia 1958 (Part. 7)
> Cile 1962 (Part. 8)
> Inghilterra 1966 (Part. 9)

 

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