Massimo Lanzaro – medico, psichiatra, psicoterapeuta e neuroscientista – è stato Primario e Lecturer al Royal Free Hospital di Londra, Direttore Sanitario in Italia e in Inghilterra, didatta con il Centro per la prevenzione delle psicosi UNIMORE/AUSL RE. Attualmente è Dirigente Medico e scrive sulle riviste B-liminal (UK), sulla C.G. Jung Page (US), su Ibridamenti/2 e collabora regolarmente con Psychiatry Online Italia. Complessivamente è autore di più di 20 articoli pubblicati su riviste scientifiche nazionali ed internazionali, di oltre 100 scritti che analizzano il cinema, l’arte, la letteratura e la poesia con approccio psico-sociologico, degli ebook “Nel punto atomico dove scompare il tempo. Saggi di psicologia” (2013), “L’effetto Casimir
–
- Chi è Massimo Lanzaro oltre la medicina?
Una persona molto curiosa, appassionata di fotografia e cinema. In particolare fotografo per il bisogno di mettermi alla ricerca di un punto di silenzio, che abbia potenzialità riflessive, terapeutiche e di senso. La curiosità e la ricerca di senso mi hanno spinto ad esempio a trascorrere sei mesi sabbatici girovagando per l’India, per motivi di ricerca personale.
- Quali sono i libri che ha pubblicato che le hanno dato maggior soddisfazione?
Ci sono capitoli di volumi specialistici di cui sono molto soddisfatto, ma “Lo schermo e la diagnosi”, edito da Mimesis è il volume che mi ha consentito di “stare sullo stesso scaffale” di Slavoj Žižek (sto provocatoriamente citando Carmelo Bene, quando disse “mi basta che la mia Opera sia posta accanto a quella di Eliot”).
- “Il medico dell’anima – Critica alla psichiatria dell’era pandemica” di cosa parla?
Nel suo piccolo è un volume rivoluzionario e coraggioso, che mette in discussione il rapporto medico-paziente (per come si è evoluto ai giorni nostri). Letteralmente la nostra disciplina si dovrebbe occupare proprio della “cura dell’anima”, termini completamente scomparsi dai manuali attualmente in uso, come anche, viene ricordato, dai manuali di psichiatria è scomparsa la parola “amore”. Il libro, scritto in maniera divulgativa e quindi ampiamente accessibile ai ‘non addetti ai lavori’, è ulteriormente interessante perché pur volendo essere una critica al sistema sanitario, è ricco di gustosi aneddoti che spaziano dalla letteratura (imperdibile ad esempio quello del “furbo Hans”, il cavallo che sapeva far di conto) al cinema (vecchia passione dell’autore) fino alla vita vissuta (altrettanto sorprendenti quelli che raccontano vicende apparentemente assurde capitate in una corsia di ospedale). Nessuno di questi è riportato ovviamente per il gusto della citazione, ma, credo, ha qualcosa su cui farci riflettere, a volte molto palese, a volte recondito. Infine “questo è un input preliminare per una anti-compartimentalizzazione delle branche del sapere in ambito neuroscientifico, in cui le varie scuole del sapere (cognitivisti, comportamentisti, neuro-biologi, psico-neuro-immunologi, neuropsicanalisti, umanisti, filosofi, psicofarmacologi, fenomenologi, clinici, managers, psicoanalisti freudiani, ortodossi e non – e la lista sarebbe molto più lunga) sono “racchiuse” nella propria nicchia e dovrebbero invece forse essere a questo punto integrate, per il bene dei pazienti e del progresso della scienza.
- Ci parli della sofferenza psichica in tempo di covid?
Il modello vulnerabilità-stress è una teoria esplicativa dell’origine dei disturbi mentali, ed è molto utile in questo caso. Secondo questa teoria i fattori in gioco sono tre: l’effetto combinato della vulnerabilità (genetica, biologica etc.) e di fattori stressanti supera la soglia di adattamento bio-psico-sociale e favorisce la comparsa dei sintomi del disturbo mentale. Bisogna immaginare che la pandemia abbia alzato per tutti il livello basale di stress, rendendoci molto più vulnerabili.
- La medicina si evolve sempre di più e tra dieci anni quello che viviamo adesso forse sarà solo un brutto ricordo, cosa ha da dire in merito?
Guardiamo il lato positivo di questa faccenda: la medicina ha fatto e continua a fare passi da gigante. Un esempio: negli anni trenta per il trattamento della schizofrenia si usava la terapia dello shock insulinico o shock ipoglicemico; consisteva nell’induzione di una serie di comi, ognuno con durata massima di cinque o sei minuti. Terribile ed inutile. Quello si che è un bruttissimo ricordo.
- Lei ha sviluppato nuovi approcci per lavorare su stati di sofferenza a livello psicologico cosa può dirci in merito?
Da un lato la mia decennale esperienza all’estero è stata molto utile in questo senso (favorendo una integrazione di culture diverse), dall’altro ha contribuito ad approfondire e sviluppare nuovi approcci l’aver frequentato diverse scuole di psicoterapia (ad esempio la Tavistock a Londra, il Laboratorio di psicodramma a Milano, il gruppo di Socioterapia e Anlalisi Transazionale a Roma, alcuni workshop intensivi di terapia cognitivo comportamentale). Probabilmente il filo conduttore che ha integrato questo ecclettismo è stato il costante interesse per la psicologia analitica, che in fondo è rimasto il mio principale punto di riferimento.
- Qual è la citazione letteraria che più la rappresenta, la può citare?
Il poeta britannico John Keats, in una lettera indirizzata a suo fratello nel 1819, scriveva: “Supponiamo che una rosa provi sensazioni. Un bel mattino, essa fiorisce e gode di se stessa; poi, però, sopraggiunge un vento freddo e il sole si fa ardente. La rosa non ha scampo, non può eliminare i suoi travagli nati con il mondo: allo stesso modo, l’uomo non può essere felice ignorando che quei travagli esistono, e gli elementi materiali prenderanno il sopravvento sulla sua natura. I corrotti e i superstiziosi chiamano comunemente il nostro mondo: “valle di lacrime”. Da questa valle dovremmo essere liberati grazie a un certo arbitrario intervento di Dio e condotti in cielo: che pensiero limitato e mediocre”. La citazione, sempre di Keats è: “Chiamate il mondo, vi prego, “la valle del fare anima” (e non una valle di lacrime) e così allora scoprirete a cosa serve il mondo”.
Cosmo Barbuto