Da quando era in pensione passava molte ore nel parco cittadino: leggeva giornali, libri, osservava il cielo e pensava “come è alto e puro, non me ne sono mai accorto”.
Già, non se ne era mai accorto e intanto la vita passava come un fiume impetuoso che anela alla foce. Superando il cancello lo si intravvedeva nascosto tra le fronde di un possente olmo; si sedeva e sistemava il bastone senza troppa cura infilandolo tra le stecche della panchina, lo stesso faceva con la coppola che ribaltava senza complimenti tenendola stretta accanto a sé.
Si chiamava Franco e tra le mani stringeva un collare, solo un collare senza cane.
Il ragazzo che da lontano lo vide pensò «Triste quel collare penzoloni, chissà perché se lo è portato dietro». Per raggiungere quella panchina bisognava attraversare tutto il parco e fiotti di luce fendevano le alberate strade sterrate, mentre i bambini giocavano sotto lo sguardo attento delle madri. Il ragazzo si avvicinò, conosceva solo di vista quello strano signore al cui polso era attaccato un collare senza cane. Una figura grottesca che interpellò «Salve potrei sedermi?»; il vecchio impiegò più di qualche istante per dare un volto alla voce che gli parlava «Certo che puoi sederti, mi farebbe piacere». Franco sembrava essere lì da sempre, sotto quell’enorme olmo che lo proteggeva dai mali sotterranei della vita. «Queste sono splendide giornate e passarle in un parco è una buona idea» disse il ragazzo, «Preferirei non parlare di belle giornate, per me sono solo un tenero ricordo», il velo oscuro che coprì il volto di Franco spaventò il ragazzo. «Io non la conosco ma la vedo ogni giorno qui al parco… e quel collare, legato al suo polso, mi colpisce ogni volta come fosse la prima».
Franco si voltò verso il ragazzo e spiegò un sorriso dolcissimo, come avviene quando una parola o un suono disegnano immagini amene nella nostra mente. «A questo collare era attaccato un cane una volta, la sua vecchiaia me lo ha portato via». «Come si chiamava?» disse il ragazzo, «Si chiamava Napoleone II» rispose lentamente Franco.
Il sole era alto ma non scaldava quella giornata spaziosa e fresca, di tanto in tanto il maestrale avvicinava i loro corpi collocandoli in una posizione confidente. «I cani non sono i migliori amici dell’uomo, sono i soli amici dell’uomo» disse il vecchio. «Un cane, se lo accudisci e gli dai da mangiare non ti morderà, un uomo invece…» continuò a voce bassa.
Franco volle raccontare la storia dei suoi cani a quel giovane e cominciò : «Io posseggo, e sono posseduto da quattro cani morti e meravigliosi, forse non più belli degli altri cani defunti nell’eternità del passato, che onorarono questa valle di lacrime, comunque meravigliosi. Il primo è un piccolo barbone si chiama Tobi. Morì di nefrite alla clinica veterinaria, coperto da una piccola gualdrappa di lana; e i medici benché scienziati, furono molto pietosi. Il secondo è un boxer di razza dubbia e si chiama Napoleone. Era giovinezza e primavera. Morì sotto un’automobile. Il terzo è un magnifico barbone e si chiama Tobi come il precedente. Era un cane di immense capacità spirituali, capace di prendere da solo il tram e andarsene dove più gli piaceva. Il tutto senza pagare il biglietto. Il quarto è Napoleone II, a cui ho voluto e voglio ancora più bene. Non era un genio, ma non saprei dire il perché, era un cane immenso. Era il Moloc, era il dio degli aztechi, era Sua maestà, era la vita. Anche lui è morto e questo è il suo collare. Di lui non resta più nulla se non una breve macchia sul muro bianco, sotto il tavolino, là dove si accucciava quando era arrabbiato o malinconico. In questi giorni ho fatto imbiancare la casa ma quella macchia ho voluto che non la togliessero. E’ l’ultima cosa al mondo che rimane di lui, oltre a questo collare, povero Napoleone. Però io la guardo, questa macchia. Di giorno in giorno misteriosamente impallidisce. Il tempo si porta via anche quella maledetto». Il ragazzo restò ad ascoltare il racconto del vecchio Franco e non riuscì a trattenere le lacrime. Franco si alzò, vide il giovane commosso, non disse nulla e, con una affettuosa carezza asciugò le sue lacrime.
Giuseppe Cetorelli
adoro…
LOL
tristess… però…
un po’ melenso