Lucio Leoni: “Lorem Ipsum”

Per un neodadaismo dialettale romano

Lucio Leoni per me è un amico, non di quelli che incontri spesso, ma di quelli che incroci e perdi nel percorso della vita, uno che fa parte di una sfera allargata della propria rete sociale e inerente ad un certo tipo di attività. Mi spiego meglio, anni fa con la mia band avevamo deciso di registrare alcuni dei nostri brani, un po’ perché volevamo mettere dei punti fermi e in più perché (incredibile ma vero) c’era che ce li chiedeva. Con un’altra band mi ero trovato piuttosto bene a registrare allo studio dei Fumisterie e volevo tornare lì, sennonché il mio batterista aveva “un amico che”. Ero già contrariato, abbandonare uno studio già provato per uno ignoto era disdicevole, poi questo studio era sulla Nomentana e per me questo costituiva un problema insormontabile.

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Allora, ci sono un numero indefinito di disturbi della psiche, per ogni cosa c’è una fobia, una devianza o un feticcio, io personalmente ho un problema con Roma Nord, per me Castro Pretorio costituisce una sorta di Colonne d’Ercole, io sono contento a Roma Sud, ai Castelli, so come muovermi, so il bestiario umano da affrontare quotidianamente, ma Roma Nord è un mondo a me sconosciuto, pieno di ignoto e pericoli. Ci sono posti con nomi esotici come Talenti (mi ricorda Tebe non chiedetemi il perché), oppure che danno l’idea dell’opulenza arricchita Collina Fleming, Corso Francia, non come l’Anagnina, con tutte le consonanti che inciampano l’un l’altra. Poi strade con nomi suggestivi come la Cassia, che sembra il nome di una sacerdotessa dei Cavalieri dello Zodiaco, di quelle con la stella gemella che poi c’era anche un altro cavaliere nell’ombra (infatti, mica per niente, c’è la Cassia bis…).

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Quindi dato che ero il fondatore, autore dei testi, proprietario della sala prove, nonché della Multipla che veniva caricata all’inverosimile ad ogni concerto, abbiamo fatto come non dicevo io andando allo studio di “un amico che”, Lucio appunto. Magro, alto, simpatico, decisamente non un fighetto di Roma Nord, cerco di abbattere i miei pregiudizi basati sul nulla e di mettermi al lavoro perché volevamo una buona incisione da far circolare. Il mio approccio con Lucio è stato tecnico e dopo i primi minuti in studio ho capito che di musica ne capiva eccome. Passiamo dei giorni chiusi nel Monkey studio e Lucio non fa solo il lavoro del fonico, ma anche quello del produttore, dispensa consigli, dà idee su eventuali variazioni, trova soluzioni ad incertezze che ci portavamo dietro da mesi. Esce fuori un bell’Ep, a Roma Nord, grazie anche ad “un amico che”. Ho dovuto accettare il tutto e infornare una serie di nuovi argomenti con la mia analista.

Succede quando alcune certezze sono scosse alle fondamenta.

Parlando con Lucio ho scoperto che aveva una band, gli Yugo in Incognito, con un suo seguito piuttosto appassionato e una rispettosa serie di concerti alle spalle (e da affrontare). Li ascolto ma non sono nelle mie corde, troppo sullo ska, troppo sui centri sociali, potevo immaginarmeli con una platea di persone davanti a ballare e saltellare, proprio mentre attraversavo un periodo troppo serioso della mia vita per una serie di motivi che non sto qui a dire.

Succede che poi Lucio inizio ad incontrarlo per locali e per serate varie, seguo comunque i suoi lavori, lui segue i nostri, ci incrociamo con una certa frequenza, ancora di più quando apre un locale a San Lorenzo con il mio batterista.

Nel frattempo si lancia in un progetto di musica moderna popolare romanesca col nome di Bucho, decide anche di far partire una propria etichetta. Proprio nel momento in cui le etichette chiudono e a Roma tal Mannarino si prende le luci della ribalta incensato un po’ da tutti. Per la cronaca, Mannarino per me continua a rimanere un mistero (ma anche no), è un po’ quel banale che diventa originale, quell’arroganza spocchiosa e strafottente che attrae le masse perché in qualche modo fa fico. In fin dei conti gli Ardecore sono difficili da ascoltare, poi hanno al massimo Geoff Farina (!!!) che prende e parte da Boston per registrargli le chitarre elettriche nel disco, mica hanno Capossela che gli fa promozione tra un bicchiere e l’altro. Comunque Mannarino assorbe e calamita l’attenzione del già esiguo mercato indipendente (quello vero), Lucio-Bucho si esprime ed espone ma il progetto passa un po’ sottotraccia.

Incontro di nuovo Lucio per caso ad un concerto di Fink (recensito qui dal buon Matteo), lo vedo un po’ stanco ma per quel che lo conosco so che è solo questione di tempo prima che se ne esca con qualcosa di nuovo.

E quel qualcosa di nuovo porta il suo nome di battesimo: Lucio Leoni, ascolto il primo estratto “A me mi”.

Poi lo riascolto.

Poi lo riascolto.

Poi scrivo a Lucio di mandarmi il disco perché lo voglio recensire.

Ora, io non faccio favori, non sono uno che scrive in base all’emotività, se una persona che conosco fa un bel disco/film/opera letteraria, io scrivo quello che la mia onestà intellettuale mi permette di scrivere, al massimo non scrivo, ma non scrivo falsità.

Perché se si è falsi con l’arte si è falsi con l’anima e niente ha più senso, davvero.
ATTENZIONE: per chi di solito legge le mie recensioni, adesso potrebbero esserci degli elementi di serietà, tipo quelli di una recensione plausibile, perlopiù.

Lorem Ipsum” è uno dei dischi che va dritto tra i migliori del 2015. Il titolo si rifà al testo che viene inserito dai grafici come riempitivo nelle bozze impaginate, spesso in latino, di solito è cicerone, ma capitano delle varianti. Comunque qualcosa che nessuno legge, a cui nessuno dà realmente peso, è un po’ il gusto situazionista di Lucio Leoni che invece proprio nei testi ha uno dei suoi punti di forza, testi che andrebbero letti con attenzione perché scritti da qualcuno che finalmente ha qualcosa da dire in un oceano di musica accompagnata dal nulla fatto fonemi. C’è la scelta del romanesco (idealmente più vicino a quello di Remo Remotti o per alcuni versi di Zerocalcare che a quello degli Ardecore) che va ad enfatizzare l’amore per Roma, sempre sullo sfondo delle narrazioni di Leoni; ma attenzione, la Roma descritta da Lucio non è quella patinata e ammiccante ma una Roma fatta di borgate e periferie, di piccoli ritratti fatti di ricordi e percezioni (“Na Bucia” su tutte le tracce). Questo mi porta a dover necessariamente parlare di un’altra caratteristica del disco, per nulla trascurabile, ossia della sua libertà, che poi potrebbe essere vista anche come onestà intellettuale, poiché il disco non è fatto per vendere a tutti i costi, non ci sono sforzi pop, non ci sono angoli smussati, eppure rimane fruibile e godibile dall’inizio alla fine e il bellissimo singolo (e video) “A me mi” ne è la dimostrazione, una vera perla che riesce a parlare dei tempi moderni e di una generazione svantaggiata, presa in mezzo da tutte le riforme e i cambiamenti possibili col tocco leggero, brillante e in qualche modo crudele dell’ironia. Poi ci sono tracce degli Yugo in Incognito, come in “Il Tavolino” o, a mio modesto parere, del miglior Silvestri, come in “Domenica” e in “Fuori da qui“, o addirittura a Bowie come in “La Luna” (con una chitarra che ricorda così tanto “Heroes”).

Il disco di Lucio Leoni è una piccola opera da ascoltare e da capire per cui bisogna fare un piccolo sforzo di ricalibrazione, necessario e bellissimo.

 

Nicholas Ciuferri

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