Lo Stato fa bingo

Il gioco d'azzardo si pratica dalla notte dei tempi, in ogni cultura... e lo Stato lo sa bene.

Lo Stato “azzarda” una possibile soluzione alla crisi economica: «giocate, è “facile”, si diventa “milionari” e potrete essere “turisti per sempre”! Ho “concesso” a Mario, quel barista tanto simpatico, di mettere le slot! So quanto vi piacciono!»

 

 

Italia: paese di santi, poeti e navigatori e… di giocatori d’azzardo.

Recenti ricerche hanno messo in luce come il nostro paese sia il più grande mercato del gioco d’azzardo in Europa, e uno dei più grandi al mondo, il terzo per la precisione.

Italia come Las Vegas!

Ma il gioco d’azzardo non è un invenzione del nostro tempo.

Da che mondo è mondo, il gioco d’azzardo, il “tentare la fortuna“, ha sempre affascinato popoli e culture del mondo. Oggetti simili ai nostri dadi fanno la loro comparsa già nelle caverne dei nostri parenti preistorici, inoltre pensando all’uomo della clava e alla sua lotta per la sopravvivenza, possiamo interpretare la sua vita quotidiana come un continuo gioco d’azzardo contro la natura, in cui la posta in gioco è la vita stessa.

In origine il gioco d’azzardo aveva natura religioso-mistica: i dadi venivano lanciati per predire il futuro o per entrare in contatto con il divino. Ai dadi veniva chiesto di svelare la natura mistico-divina del reale.

Il gioco d’azzardo ebbe inizio con un piccolo dato scolpito circa 6mila anni fa in Egitto. Il gioco d’azzardo rivestiva un ruolo importate presso il popolo del Nilo, tanto che al suo protettore, Asmodai, fu innalzato un tempio nel deserto di Ryanneh. Ed ancora, secondo la tradizione egizia l’origine del sistema solare sarebbe da ricondurre a una partita di dati tra divinità.

Anche gli dei greci erano assidui giocatori d’azzardo: si narra che Zeus e i suoi fratelli, dopo aver sconfitto i Titani, si sarebbero giocati a dadi la spartizione dell’universo (Ade non dev’essere stato un gran giocatore!).

Ma è proprio nella Grecia Antica che il gioco d’azzardo si svincola dalla tradizione mistico- religiosa e viene ad assumere una valenza più terrena e materiale. Già a questo periodo risalgono le testimonianze del gioco d’azzardo come problema sociale e le prime forme di gioco patologico: Diogene ci racconta che Socrate era un assiduo giocatore e che per questo motivo più di una volta finì sul lastrico. Il “dio denaro” spinge gli uomini a tentare la sorte e la dea Fortuna sceglie per loro l’esito del gioco.

I giocatori dell’Antica Roma preferivano le scommesse, puntando ingenti somme di denaro (sesterzi) su gladiatori o fantini.

Nel Medioevo il gioco d’azzardo diventa diabolico: il gioco dei dadi era condannato dalle autorità della Chiesa in quanto si credeva che il diavolo stesso avesse creato questo passatempo!

Ed ancora nel XVII secolo il diavolo continua a metterci lo zampino: si diffonde il gioco della roulette, gioco diabolico, creato niente dimeno che dal diavolo in persona, i cui numeri, se decriptati, avrebbero svelato un importante segreto entrando in contatto con il diavolo.

L’aura di magia e di mistero intorno alla roulette ha catturato l’immaginazioni di scrittoli e letterati: Dostoevskij ne “Il Giocatore”, cala il suo protagonista in un mondo fantastico chiamato appunto Rulettenburg (Roulettilandia).

Tornando indietro al XV secolo, ciò che ci lascia un po’ perplessi è l’atteggiamento delle autorità civili e religiose nei confronti di alcune forme di gioco d’azzardo: mentre il gioco di carte era condannato da magistrati e predicatori (molte le testimonianze di roghi pubblici di carte da gioco in molte piazze europee), nessun divieto era previsto per le lotterie, anzi erano ben viste e incentivate dallo Stato e dalla Chiesa. Perché questa distinzione? La giustificazione risiedeva nella funzionalità delle lotterie nel finanziare spese pubbliche di vario genere. Ma un dubbio ci assale: non sarà che i giochi d’azzardo privati erano mal visti perché distraevano i giocatori dal riempire le casse di Stato e Chiesa? Il denaro dei giocatori era pur sempre limitato: come si poteva giocare alla lotteria se tutti i quattrini erano stati persi al gioco di carte?

Quindi, a quanto pare, il legame tra Stato e gioco d’azzardo è sempre esistito.

 

In questa congiuntura storico-economica che stiamo attraversando, in cui a farla da padrona sono la crisi economica e il flagello disoccupazione, e in cui il rischio di default è lo spauracchio degli Stati, il gioco d’azzardo sembra rappresentare un’illusoria via d’uscita.

Non stupisce, quindi, che in Italia il fatturato annuo legato al gioco d’azzardo si aggiri intorno ai 90 miliardi di euro, (più di 16 volte il business annuo di Las Vegas) e che, dopo Eni e Fiat, l’industria del gioco si posizioni al terzo posto per fatturato prodotto.

Tra deregolamentazioni e liberalizzazioni, lo Stato biscazziere sembra non voler rinunciare alla sua parte di bottino, infatti ben il 10% degli introiti dell’industria della fortuna finiscono nelle casse dell’ Erario.

Intere famiglie finiscono in rovina perché l’intero stipendio viene “ingurgitato” dalle new slot (le cosiddette macchinette mangia soldi), che ormai si trovano anche nel bar sotto casa.

Un dato che ben illustra la tragica situazione del nostro paese è che la spesa annua pro-capite destinata a questo sfizio (o vizio?) è salita a poco più di 1.200 euro negli ultimi anni, e che ormai la fascia di età dei giocatori vada dai 13 ai 90 anni!

Lo Stato incentiva questa fatua risoluzione di problemi con la massiccia campagna di comunicazione del “vincere facile”, con le estrazioni “ogni 5 minuti”, e facendo leva sul desiderio di evasione (da questo paese forse?) proponendo giochi dai nomi poco equivocabili come “turista per sempre”, mentre gli inviti a  “giocare responsabile” passano inosservanti rispetto alla stragrande pubblicità e alle campagne (dis)informative sulle nuove possibilità di gioco, è come sussurrare ad un sordo.

I debiti e le somme perse al gioco d’azzardo hanno, persino, portato mogli a far interdire i propri famigliari, per i quali il gioco è passato da vizio a vera e propria malattia.

È dal 1992 che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato la ludopatia (dipendenza da gioco d’azzardo) come patologia. In Italia, bensì, questo fenomeno riguardi circa 800 mila persone, le istituzioni non sembrano esserne troppo interessate.

Pochi sono stati i provvedimenti presi delle istituzioni in merito a questo tema, e quando ci sono stati sembrano essere specchi per le allodole: un caso per tutti, quello adottato dell ex-(ma allora) ministro Tremonti, qualche tempo addietro, in cui si prevedevano sanzioni per gli esercenti che non vietavano il gioco ai minorenni, prevedendo multe e chiusura dei locali, ma che contemporaneamente istituiva tre nuovi giochi di Stato.

Ma, come la storia ci insegna, la soluzione non va trovata nel proibizionismo assoluto, che avrebbe come reazione l’incoraggiamento di forme di gioco d’azzardo private, probabilmente gestite dalla malavita.

La presa di coscienza che nel gioco d’azzardo ci siano elementi di pericolosità non deve comportare la criminalizzazione tout court di questo aspetto, che come abbiamo visto, fa parte della vita dell’uomo da sempre. Quello che si dovrebbe fare, invece di “sussurrare ai sordi”, sarebbe di avviare iniziative atte a favorire la diffusione di una sana filosofia del gioco responsabile, riportando questo fenomeno sui binari del divertimento.

 Katia Valentini

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11 Comments

  • da una partita a dadi, passando per il diavolo, fino agli affari della malavita e dello stato… la storia sociale dell'uomo cazzo!

  • sempre splendidi ed interessanti articoli della valentini. 🙂
    credo che il "16 volte il business annuo di Las Vegas" ha stupito molti… la ludopatia è una cosa seria.

  • senza contare la truffa intenzionale dietro questi giochi tipo gratta e vinci.ci sono piccoli regolamenti che non rendono mai reali le vincite per come si pubblicizzano… e poi a livello statistico, neanche a parlarne

  • la dove ci sono i soldi e la possibilità facile di farli, c'è o lo stato o la mafia… c'è lo zampino del diavolo…dicono loro! 😉

  • in ogni ambito della storia umana, si trova una lenta degenerazione delle condizioni socio-culturali, che sebbene non siano più sporche, retrograde ed estremamente feroce come negli antichi, oggi, allo stesso modo, il patinato sviluppo umano, nasconde un peggiore sottotesto disumano. proprio per il fatto che, seppur nel pieno di una civiltà avanzata, ancora siamo (tendenziosamente) nelle stesse situazioni assolutiste di una volta

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