L’Italia: un paese di musichette mentre fuori c’è la morte!

Due spaccati dell’Italia che convivono per non cambiare mai

Martedì 10 febbraio ha inizio la prima puntata del Festivàl (con l’accento sulla “a”) della Canzone Italiana. Kermesse ormai alla sua 65° edizione. Noto appuntamento che tiene incollati sia gli appassionati di sempre sia gli alternativi. Lo si guarda perché piace, lo si guarda perché lo si deve criticare. Alla fine lo guardano tutti.

Ma giungiamo a questa edizione, presentata da Carlo Conti, accompagnato da Emma Marrone (e qui non posso resistere a lasciarvi questo link), la Bionda, Arisa, la Mora, Rocio Munoz Morales, la Bella.

Motto di quest’anno è “Tutti cantano Sanremo” o meglio, #tutticantanosanremo. I primi a cantare Sanremo sono la famiglia Anania, la famiglia più numerosa d’Italia. 18 componenti = 2 genitori + 16 figli. Fino a qui tutto bene. La mia incredulità mista a turbamento è giunta nel momento in cui il pater familias ha iniziato a parlare, invocando continuamente lo Spirito Santo, la Provvidenza e il Signore Gesù Cristo. Così ho iniziato a elaborare e a cercare di dare una spiegazione.

Ho visto tutta la prima serata e la seconda del Festivàl, come ogni anno, perché credo che si tratti dello spettacolo popolare per eccellenza e che il Teatro Ariston, in questi giorni di febbraio, offra una rappresentazione del paese da cui non si può prescindere se si è interessati ai fenomeni sociali e culturali.

 

Così, ho iniziato a pensare e a cercare di darmi una risposta al perché Sanremo 2015 sia stato inaugurato in questo modo. In primis la scelta del direttore artistico e conduttore: Carlo Conti, amato da tutte le mamme e le nonne d’Italia, con quella faccetta pulita e il vestito a puntino dello sposo e poi tutti quei quiz, gli imitatori, le grandi reunion vintage. Insomma quelle cosa che sanno di focolare, di sicurezza. In una parola sola tradizione. “Tradizione”: trasmissione nel tempo, da una generazione a quelle successive, di memorie, notizie, testimonianze; anche le memorie così conservate.

 

Ma andiamo a ritroso. Due anni fa, nella serata iniziale di Sanremo 2013, presentato da Fabio Fazio, sul palco sono saliti Stefano e Federico, una coppia gay che si è sposata a New York. I due, riproponendo un video che ha avuto molto successo sul web, aprivano in diretta televisiva la questione sulla condizione delle coppie omosessuali in Italia, esibendo una serie di cartelli  esplicativi. “Ci amiamo/Vogliamo sposarci/Ma a New York/Perché le leggi di questo paese non ce lo lasciano fare”.. era lo slogan dell’esibizione.

La famiglia omosessuale contro la famiglia devota con sedici figli. Fazio contro Conti.

Quest’anno si sarà pensato di rimettere le cose al proprio posto e non destare ulteriori scandali. Questa è la famiglia tradizionale. Più unica che rara, ma molto religiosa e sopratutto, con un padre e una madre.
Forse è proprio questo il messaggio di tradizione promulgato da Sanremo 2015. Perché sì, l’omosessualità esiste e va rispettata, ma non deve accostarsi alla famiglia.

L’omosessualità quest’anno è raffigurata come una caratteristica eclettica, un vezzo da artisti.
Può essere gay Tiziano Ferro, il primo dei superospiti di questa edizione (e qui sottolineo, l’unica vera voce di questo Festivàl che ha impietosamente sottolineato la qualità di molti dei cantanti in gara. Ah, lui non a caso non ha mai gareggiato al Festivàl).
Può essere gay Platinette, o meglio Mauro Coruzzi, che gareggia, spoglio degli abiti della drag queen, con una canzone sull’ambivalenza uomo/donna e sul pregiudizio.
Può essere gay Conchita Wurst, ospite della seconda serata, che per molti non è altro che la donna con la barba.

Un Festivàl che è bacino di offese alla diversità e discriminazione fatte passare per siparietti di cabaret (Alessandro Siani contro il bambino obeso), la patetica reunion di Al Bano e Romina (cult di Carlo Conti) che si lanciano sguardi di odio sottolineati al 777 di televideo con “magari mori” ma che cantano una Felicità che entrambi hanno trovato in altri luoghi e spazi.

Ma Fazio o Conti rappresentano due spaccati dell’Italia che convivono per non cambiare mai. Per un anno ci travestiamo da tolleranti progressisti e mettiamo al centro del dibattito i temi sociali. L’anno successivo ci stracciamo le vesti e invochiamo la famiglia tradizionale e lo Spirito Santo. Due facce diverse di una medaglia che è sempre la stessa.

Questa è la tradizione italiana, un’Italia uguale a quella di sempre, che veste i panni di un’innovazione che non esiste.
Tutto riassumibile in questo qui: la ‘locura’!

La tradizione, ma con una bella spruzzata di pazzia. Il peggior conservatorismo che però si tinge di simpatia, di colore, di paillettes. In una parola, Platinette.
Platinette ci assolove da tutti i nostri mali, da tutte le nostre malefatte. Sono cattolico ma sono giovane e vitale perché mi divertono le minchiate del sabato sera. Ci fa sentire la coscienza a posto, Platinette. Questa è l’Italia del futuro: un paese di musichette mentre fuori c’è la morte”.

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