Lei dice che ha preso a odiare il suo corpo

Racconto breve...

Un paio di inverni fa Silvano prese una cotta prepotente per una tizia che lavorava alla Feltrinelli.
Poteva avere una decina di anni più di lui, aveva due labbra scure che lasciavano pensare e ripensare.
In quello stesso periodo, Graziano, detto il disperato, stava preparando anatomia e non aveva voglia di vedere nessuno, nemmeno Silvano e Robertino, che comunque vivevano con lui e dunque doveva vederli in ogni caso.
A volte quando il disperato li incrociava per casa, sbuffava e imprecava contro dio, gli angeli e i profeti.

Silvano e Robertino chiamavano continuamente il padrone di casa perché lo scaldabagno da qualche tempo faceva le bizze, i muri avevano delle crepe sinistre e forse c’era un serpente nascosto da qualche parte in cucina.
Lo aveva intravisto per la prima volta Robertino, lo aveva descritto come un piccolo pitone, disse che era sgusciato da sotto la credenza.
Non gli aveva creduto nessuno.
Ma poi il disperato, mentre era andato a fare uno spuntino notturno, aveva gridato forte vedendo con la coda dell’occhio la vecchia serpe aggirarsi dietro il frigo.
In ogni caso il disperato disse che era una vipera e non un piccolo pitone.

Silvano di lì a poco smarrì la bussola, completamente: andava ogni giorno alla Feltrinelli per spiare la ragazza di cui si era invaghito, comprava dischi e libri in continuazione, lo faceva solo per passarle davanti e farsi fare lo scontrino… diceva che aspettava il momento opportuno per conoscerla e chiederle di uscire e poi di fare l’amore e così via, finché mamma morte non li avrebbe divisi.

Quel pomeriggio tornò a casa con “Rocket to Russian” dei fratellini Ramones.
Lo mise sullo stereo e cominciò a ballare in cucina, indiavolato, fin quando non comparve il disperato che, incazzato nero per tutto quel casino, prese la rincorsa e gli lanciò il manuale di anatomia, colpendolo a uno zigomo.

Non avevano roba nel frigo da parecchi giorni ormai.
Solo qualche rimasuglio, un po’ di roba nella credenza e dei barattoli di salsa.
Fuori pioveva quasi da sempre.
Silvano aveva capito che la tipa della Feltrinelli era una macro stronza, quindi si guardò allo specchio e decise di non sorbirsi mai più litri di pioggia per andare a vederla e spendere soldi per roba di cui non gliene fregava nulla.
Il disperato un giorno ebbe un attacco d’ira e distrusse due piatti di ceramica e una piccola radio con cui di solito ascoltavano le radiocronache delle partite di pallone.
I pasti erano tutti molto simili: pasta col sugo, uova o patate o frittate di patate.
Uscire a fare rifornimento di scorte era quasi impossibile con tutta quella pioggia. Avevano finito la carta igienica e a Robertino era venuta l’idea di pulirsi il culo con tutte quelle vecchie copie della Gazzetta dello Sport che ingombravano l’ingresso.

In quei giorni di catastrofe Silvano aveva trovato il coraggio ed era uscito di casa, era andato a dire alla tipa della Feltrinelli che aveva rotto le palle con quei sorrisi finti e che doveva crepare.
Lei aveva chiamato subito la sicurezza, dopo un paio di ceffoni Silvano si era calmato.
Qualche tempo prima Robertino aveva fatto una bella scorta di tabacco, filtri e cartine, quindi si passava le ore chiuso in camera a sentirsi gruppi anni novanta e a rollarsi sigarette.
A volte Silvano entrava e parlavano del disperato, che stava oramai in cucina a urlare da solo e a sbavare da tre giorni, erano contenti perchè non lo avevano mai visto così bene.

A poco a poco i fratellini Ramones stavano morendo tutti.
I telegiornali non dicevano un cazzo di queste cose.
L’inverno sembrava durare da sempre, l’inverno più lungo della storia umana, dicevano.
Lo scaldabagno funzionava due volte su tre, quindi a turno uno di loro faceva la doccia fredda, che significava in sostanza poter morire da un momento all’altro: una roulette russa.
Capitava quasi sempre al disperato che, prima di entrare in doccia, si faceva due sorsate da una vecchia bottiglia di Red Label arrivata alla quarta generazione di inquilini.
Vagamente stordito, mordeva con tutta la forza che aveva in corpo un asciugamano, apriva l’acqua e piangeva.

Uova sode, insalata di patate e tonno in scatola.
Spaghetti col burro e un po’ di fagioli.
Uova fritte e pane duro.
Pasta con la salsa della madre di Silvano e mega frittata con nulla.
A volte il disperato gridava nel sonno e bestemmiava la vita e anatomia, gli esami e l’ulcera e tutte le scopate che non aveva potuto farsi.
Aveva un pianto lamentoso ed estenuante che svegliava gli altri coinquilini.
Silvano in quelle occasioni si voltava dall’altra parte del letto e sorrideva, perchè il peggio per il disperato era passato e ora stava bene.
Un giorno, in tarda mattinata, trovarono quel benedetto serpente vicino al lavello. Morto stecchito. Ora sapevano di non essere pazzi!
Silvano disse che se lo avessero mangiato non sarebbe successo nulla di grave.
Il disperato fu d’accordo e anche Robertino.
Fecero soffriggere un po’ di burro e buttarono in padella la vecchia serpe tutta intera, anche con la testa.
Silvano aggiunse del pepe, Robertino aprì una bottiglia di vino che avevano trovato una volta vicino l’università.
Alla fine, quella vecchia serpe si rivelò un pasto coi fiocchi.
Dopo cena il disperato iniziò a tremare e ad avere spasmi violenti.
Sbatteva i denti, poi li digrignava.
Robertino fumava nervosamente, Silvano aveva bagnato una pezzuola e gli rinfrescava la fronte.
Il disperato cominciò a pisciarsi addosso e a lacrimare.
Avrebbero dovuto portarlo al pronto soccorso, ma davvero c’era un freddo maledetto, oltretutto pioveva ancora come fosse il diluvio universale.
Lentamente il disperato ritornò in sé, si calmò, riprese in mano il manuale di anatomia e urlò i suoi strazi tutta la notte e anche la mattina dopo.
Si era ripreso e stava bene grazie al cielo.

Avevano perso la concezione del tempo.
Vivevano soltanto muovendosi nello spazio di casa, senza avere più dimensione temporale, senza sapere cosa è prima, cosa è adesso e cosa sarà dopo.
L’ultima volta che Robertino si era interessato a controllare la data era all’incirca fine ottobre.
Una mattina si svegliò che vide fuori dal balcone gli addobbi natalizi.
Cercarono in tutti i modi di capire che giorno fosse.
Non c’era modo di saperlo, il disperato aveva rotto la radio in uno dei suoi attacchi d’ira.
Silvano disse che per come stavano le cose avrebbero potuto fare finta che fosse il giorno di natale, tanto giù di lì sarebbe arrivato sul serio.
Prese a nevicare di brutto, a mo’ di tormenta di neve.
Passarono il giorno di Natale rannicchiati sotto le coperte e i piumoni e tutti gli stracci che avevano racimolato in giro per casa.
Non c’era più carta igienica ed ora anche i fogli della Gazzetta dello Sport con cui si erano puliti per giorni erano terminati… Robertino andò in bagnò e si pulì con una maglietta del disperato.
Silvano tenne la testa sotto il cuscino per ore e sperò che la tipa della Feltrinelli fosse triste quanto lo era stato lui quando da piccolo, nel giro di tre giorni, gli erano crepati tutti e quattro i nonni.

L’ansia crebbe lentamente fino a cena.
Visto che era la notte di Natale decisero di creare un po’ di atmosfera intorno alla tavola: accesero delle candele e apparecchiarono con cura, stapparono un buon vino rosso che odorava di acqua salata.
Si sedettero, cenarono con dei crackers imbevuti in un piatto con olio sale e origano.
Il disperato aveva le labbra talmente consumate dal freddo che gli sanguinavano copiosamente.
Robertino fumava la sua sigaretta e gli tremavano i denti e le mani ed anche le ossa.
Rimasero seduti in silenzio fino a mezzanotte.
Si scambiarono gli auguri con affetto.
Silvano prima di dormire guardò fuori dalla finestra, pensò che tanto tra poco sarebbe stata di nuovo primavera.

di Giuseppe Catanzaro

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