Dici Belle Epoque, ed evochi un’atmosfera magica, piena di sensualità, eleganza, dettagli raffinati, e per quell’epoca storica (parliamo degli inizi del Novecento) eccezionalmente innovativi. Dici Art Nouveau, ed evochi la figura di Alphonse Mucha, un’artista che ha veramente segnato un’epoca.
L’Art Nouveau fu una sorta di artemondo che abbracciava tutti i campi della creatività: architettura e pittura, scultura e design d’interni, illustrazione e musica, oggettistica, suppellettili, tessuti, fino all’arte funeraria. Aveva un coefficiente innovativo che si stemperava in una procedura ‘tradizionale‘ (anche in polemica con il vento dell’industrializzazione); a suo modo, l’Art Nouveau era un’arte esistenzialista prodotta per una società benestante, più che borghese, il cui decadentismo incarnava il conatus della fine di un mondo, fine che s’inabisserà nella terra insanguinata della Grande Guerra.
Mucha fu uno dei protagonisti di questa bellezza decorativa, piena di sbuffi e volute, di lusso sfrenato, di una sacralità a tratti morbosa e tragica perché alla ricerca di un nirvana che eleva l’artista a sacerdote del rito iniziatico, da cui il mondo sembra rinascere come la fenice perennemente dalle proprie ceneri; si tratta di una illusione, di una narcosi fondata sul desiderio e sul piacere di rispecchiarsi in quella nuova terra che simula nelle forme il mondo vegetale e animale, l’esotica luce che percorre la storia dell’arte.
A Roma, al Complesso del Vittoriano, Ala Brasini, si può ammirare, fino all’11 settembre, una selezione dei lavori più significativi di Mucha, oltre 200 tra dipinti, manifesti, disegni, opere decorative, gioielli e bozze preparatorie degli arredi della Boutique Fouquet, che permettono al visitatore di ripercorrere l’intero percorso creativo dell’artista.
La mostra al Vittoriano è curata da Tomoko Sato ed è organizzata e prodotta da Arthemisia Group in collaborazione con la Fondazione Mucha.
Le opere sono organizzate in sei sezioni: “Un boemo a Parigi“; “Un creatore di immagini per il grande pubblico“; “Un cosmopolita“; “Il mistico“; “Il patriota“; “L’artista-filosofo“.
Si è cercato di dare ampio risalto a tutte le tematiche oggetto della produzione di Mucha, non solo a quelle più note al grande pubblico, ma anche proponendo lavori caratterizzati da riflessioni filosofiche ed intrise di spiritualità e misticismo, o anche opere più propriamente politiche dedicate ai popoli slavi.
Lo stile di Mucha è impregnato di un meraviglioso estro creativo, che lo ha reso inventore di un nuovo linguaggio comunicativo, di un’arte potente e rivoluzionaria. Le sue fanciulle in fiore, una contaminazione fatale di sacro e profano, s’imposero con prepotenza per una carica di erotismo che si abbinava a un’assoluta eleganza, entro composizioni grafiche di altissimo impatto visivo, conquistarono Parigi, e non solo, allo scadere dell’Ottocento e sedussero immediatamente un vasto pubblico.
Mucha, un artista dal volto esuberante, lieve, attraversato anche dalle inquietudini proprie di un’epoca alle soglie dei conflitti mondiali. È il volto mistico, impegnato, del patriota che crede nel progetto di una Cecoslovacchia indipendente, nell’universalità dell’arte, nel potere di redenzione della Bellezza.
L’autore credeva nel potere dell’arte, nel suo essere un potente mezzo di diffusione al servizio dei popoli. Sognava un mondo migliore dove le minoranze etniche avrebbero potuto vivere senza le minacce delle Nazioni più potenti. Auspicava l’unione spirituale non solo dei popoli slavi, ma di tutto il genere umano. Un autore, dunque, che si discosta dall’idea di “arte per l’arte”, in favore di una consapevole espressione e traduzione delle proprie idee e del proprio credo nelle opere realizzate.
In mostra, una rara documentazione fotografica e i poster realizzati per gli spettacoli di Sarah Bernhardt, folgorata dal tratto eccentrico del pittore esordiente. «Signor Mucha, lei mi ha reso immortale» commentò la diva francese incaricandolo di disegnarle scenografie, costumi, gioielli per sei anni, e consacrandolo, così, come ricercato autore di arte applicata.
La mostra si chiude con l’ultimo progetto di Alphonse: il trittico “L’età della ragione“, “L’età della saggezza“, “L’età dell’amore“, concepito come un monumento all’umanità intera. Nelle intenzioni dell’artista, questo lavoro iniziato nel 1936 quando la terribile ipotesi di una guerra si faceva sempre più concreta, doveva raffigurare Ragione, Saggezza e Amore come i tre principi chiave dell’umanità, la cui armoniosa combinazione avrebbe favorito il progresso del genere umano. Anche se Mucha non fu in grado di portare a termine il progetto, gli studi eseguiti per questo trittico sono ancora in grado di trasmettere il suo messaggio di pace universale.
Katia Valentini
meraviglioso Mucha
una mostra strabiliante!
Disegnatore immenso, anche nelle intenzioni filantropiche
grazie Katia !!! cerchero’ assolutamente di scendere a Roma ,ne vale la penaaaaa
I like Mucha!
Siamo abituati a confrontarci con le inquietudini più cupe degli artisti.
Nell’eterno contrasto tra dionisiaco e apollineo, caos e cosmos, il disordine ha sempre riscosso le simpatie dei più.
Ma in giorni come questi, mentre i tamburi di guerra sembrano farsi sempre più vicini, la mano di un artista che si spende – senza retorica – per l’armonia, la pace e la convivenza, diventa balsamica.
Il tratto di Alphonse Mucha, oggi come allora, è dissetante.
vero,concordo.
un artista elegante capace di abbracciare l’armonia dei colori e della sensualità femminile come archetipo d’intrattenimento. eccezionale !
bel post di Valentini. 😉
I Musei sono di immensa ricchezza un patrimonio