Questa RUBRICA parla di quel “consumo” incivile fatto da una società mercificata, la nostra; la stessa che qui prova a resistere con gesti locali e altre forme di autodeterminazione culturale (ispirati non di rado dal ‘mangiar e bere bene’)… mentre quel carrello della spesa si è smarrito in un momento di disattenzione del suo aguzzino
Affronto il corno per il toro, e non è un refuso. Affronto il toro della comune e civile convivenza rifacendomi ai cinque/sei post di amici disperati e ad una conversazione avuta a pranzo in una squallida mensa con alcune colleghe di ufficio… carucce per carità, simpatiche, intelligenti e anche piacevoli, ma il discorso è subito decaduto nelle mille difficoltà di mangiare un boccone in santa pace. Oltre che scarno, il menu di una mensa aziendale è pietoso quanto limitato nella sua essenza. Roberto, chef e titolare è un cuoco di bassa lega, nulla toglie, che si prodiga per dar da mangiare ad un centinaio di persone con un menù a tariffe ridotte e con quello che può essere condiviso dai più, senza sale, senza panna, senza olio di palma, ma senza essere particolarmente dannoso nel suo lavoro. Se aveste letto Anthony Bourdain vi sarebbe chiara la situazione. Certo io sono un “rompicoglioni”, come mi chiamano i migliori e più stretti amici che mi vogliono bene . Ma con Roberto ho raggiunto un compromesso. Lui fa cenno con la testa di quello che non devo prendere, io annuisco e non lo prendo, poi mi sorride e spera che non torni da lui con il piatto a prenderlo per il culo. È un quieto vivere il nostro. La nostra conversazione finisce qui. Salvo un suo “dottore” alla mattina che ricambio con un sorriso, e alle volte con un caffè e sigaretta di pomeriggio col sole a parlare di: “come sarebbe bello, se…”, mai di cucina. Ma non vi tedio su come si mangia alle mense aziendali, tanto è inutile. Si mangia male, alle volte onesto, spesso senza cattiveria. Meglio che in casa di alcune donne con cui ho avuto la sfortuna di incontrarmi. Spiego meglio.
Il lavoro, la vita, le disgrazie, la negligenza e una società che normalmente ti chiede prestazi oni e produttività eccessive, ci rendono poco inclini alla vita domestica, al desco, alla compagnia e alla tavola. Se sino a qualche anno fa mangiare era una questione interessante, un modo per stare assieme, oggi che si dispone di illimitati mezzi e conoscenze, di una gamma straordinaria di prodotti, mangiare è diventato un tick nervoso, una nevrosi. Se parlo di cibo, come faceva mio padre e prima di lui mio nonno, e decanto i prodotti di Tizio o Caio, conosciuti personalmente, e di cui le vicende familiari mi sono note, vengo preso per un folle. E soprattutto passo per scemo io che non so’ cos’è la quinoa. E qui rientriamo nella succitata nevrosi.. È ovvio che se leggessi un qualsiasi Blog o rivista di cucina non mi sarebbe difficile capire cos’è questa benedetta quinoa… coadiuvato da immagini affascinanti posso vedere che sono semini di una qualche pianta oggi così tanto di moda. Suppongo che ci sia stato un Colpo di Stato e un relativo enorme debito del Paese produttore verso qualche Banca Mondiale per giustificare così tanto clamore: magari lo Stato ha dovuto cedere il raccolto ad una Multinazionale della chimica mentre uno studio inglese ne decanta le proprietà: farà vedere i ciechi, fare cacca bene agli stitici, curerà l’artrosi, farà ricrescere i capelli… o perlomeno mangiarla farà miracoli che neanche la Madonna di Civitavecchia nei suoi giorni migliori.
Allora torniamo a Roberto, il quale vende un primo a 6,00 euro e un secondo a 8,00 con contorni surgelati e tristi nel loro essere stracotti. Ma li fa per noi cento e ce li manda su teglie gigantesche… ci campa lui, la sua famiglia e altre tre persone. Per carità i primi sono due e i secondi pure, c’è l’insalata e un paio di varianti a caso, come mangiare in caserma, in ospedale o dove ci siano più di quaranta persone per volta. A casa vostra invece fate come vi pare… se lì non vi piace portatevelo da casa, è permesso. Ma perché allora rompere le balle a lui? O a me se siedo al vostro tavolo? Soprattutto Roberto, d’altronde, se ne sbatte i coglioni della ricerca inglese e fa quello che conosce.. Perché ad un popolo che dal Medioevo e per certi versi anche dall’antica Roma (sulle lagane cito Apicio e Plinio… fate voi) si riempie la pancia con pasta, sfoglie di farina e cose simili.. dovete costringerlo a non servirsi più della pasta e del pane, basamento appunto del Cattolicesimo (aimè) e dalla civiltà Mediterranea?
“Mah, un mio cugino è celiaco, la pasta mi gonfia, fa ingrassare…” mi dice Anna, “Si Anna… a te! A me no!”; ma Paola incalza: “Io sono vegetariana e odio quelli che mangiano carne”, “Cara Paola ma va a vivere coi conigli e i Bonobo in Congo” per essere gentili… “Io sono fruttariano”, “E che vor’dì?”, “L’ho letto su Internet, lo era pure Steve Jobs”, “Mi fa piacere, vuoi che telefono a Putin e glielo dico?”. Perché non te ne vai da qualche altra parte? Cioè, perché Roberto deve provvedere alle tue frustrazioni o fissazioni (ci prova pure) e io devo ascoltarti, darti spazio e condividere con te le tue malattie? Se avete il diabete non entrate e chiedete di chiudere la pasticceria vero? Perché avete bisogno di farci sapere di essere malati, non avete dignità?
Mi hanno risposto che è normale. Definiamo normale, ora, vi prego! È vero che definire normale qualcuno o qualcosa preveda di suo una discriminazione, cioè se ti definisco “normale” definisco inusuale qualcos’altro. Se c’è normale, c’è per forza un ab-normal. Dovrei dire che non esiste una normalità, un metro… un campione prova che va bene con tutto. Esistono quindi solo molteplici casi. Dovrei dire che siamo unici nelle nostre diversità (che mi piace di più). Dare una propria opinione non conforme (as no usual) su un determinato argomento di solito scatena le ire dei ‘diversi’, o come diavolo li volete chiamare i discriminati. Ed è addirittura stata diagnosticata come DOP cioè una patologia, curabile con i farmaci, ovviamente venduti dalla ditta che ne ha sponsorizzato la ricerca (al pari di ciò che non di rado ancora accade con l’omosessualità e l’alcolismo). Che strano. Su questo mi soffermo. È vero – ma anche no – che alcune stranezze godono di pari opportunità avendo per di più identici diritti e identici doveri. Viviano un’epoca stramba e indefinita, è ovviamente un periodo storico transitorio che vede la società cambiare nel rapporto tra uomo e pianeta. La nostra è una società individualista e umano-centrica, con forte propensione al Capitalismo e alla legge del più forte, che probabilmente è in decadenza e lentamente sta volgendo al termine, o verso quello che Polibio e Vico chiamavano “Ricorso Storico” (cioè un ritorno a un più antico metodo di civiltà) o verso una prossima era, completamente diversa, forse straordinaria o magari ancora più terribile.
Da sempre, filosofi, parrucchiere e ragionieri si sono domandati: cosa ne sarà del mondo domani?
Ovviamente non appartengo a queste categorie e non so darvi risposte.
Ma in questa società l’uomo comune, normale, è schiacciato nella morsa dei bisogni indotti (quelli in conformità con i modelli proposti dalla pubblicità): tant’è che un “Io naturale“, che di suo probabilmente vivrebbe in maniera più epicurea o perlomeno oziosa (insomma naturale), oggi non ha più spazio.
Questo conflitto tra induzione all’azione mirata al consumo e al lavoro per il profitto di altri (non al tuo, sia chiaro)… questo conflitto innaturale porta scompensi. Ansie per lo più, che sembra si manifestino soprattutto nelle donne che conosco io (ma non credo solo in quelle), con delle fisime o problemi di varia natura. Ebbene, quelli delle case farmaceutiche si insinuano nelle vostre ansie, e come ai tempi di Galeno, che dava per qualsiasi malattia oppiacei, così tanto per quietare i malati (vi risparmio le fonti altrimenti andremmo avanti per pagine e pagine), al vostro problema – vero o presunto – vi danno una pasticca per non pensarci su.
E allora, io che rispetto alla massa dei media dico sempre dove prendo le fonti (per cui non mi bannate svp), vi voglio raccontare qualcosa su questo terribile e oscuro mistero che sono le intolleranze alimentari…
Paura vero? Non abbiatene… come diceva Monti in un suo libello che un giorno vi racconterò: «Entrate nel mondo del lavoro con le mani alzate, non vi sarà fatto alcun male». Mettiamo che tu, io, siamo dei fighi assurdi o pseudo tali: abbiamo un lavoro, una casa nostra, una parvenza di scrupoli ecologici, siamo attenti allo spreco, viviamo con poco tipo “Into the wild” o proprio con niente, in pace con tutti, usiamo la bicicletta, niente telefono, solo abbigliamento riciclato. Io capitalista che cosa ti vendo? Pensate che le Compagnie dormano da piedi? Ma è ovvio: il “certificato vegano”… cioè una nuova religione, una centrifuga che non ammazza i “batteri”… che ne so, qualcosa per te insomma la trovo, “Stai sereno”! E se non la trovo perché vizi non ne hai? La soluzione più estrema: la soluzione me la invento, te la induco… ti creo io il problema da curare!
Ora, il più strambo dei fenomeni di questi anni sono le intolleranze alimentari.
Dal sito del Ministero della Salute: «Le intolleranze alimentari fanno parte di un più vasto gruppo di disturbi definiti come reazioni avverse al cibo: si parla di intolleranza alimentare, piuttosto che di allergia, quando la reazione non è provocata dal sistema immunitario. Le intolleranze sono più comuni delle allergie».
Le prime osservazioni sui disturbi legati all’ingestione di cibo sono molto antiche: già Ippocrate aveva notato gli effetti negativi dovuti all’ingestione di latte di mucca. Tuttavia, le reazioni avverse al cibo costituiscono ancora una delle aree più controverse della medicina: non sono sempre chiari i meccanismi che ne stanno alla base e c’è ancora molta incertezza sulla sintomatologia clinica, sulla diagnosi e sui test che vengono utilizzati per effettuarla.
Di conseguenza, ci sono differenze di opinione sulla diffusione di questi disturbi e sul loro impatto sociale. Cioè, detto in altri termini: alcuni individui non tollerano certi cibi – soprattutto se trattati chimicamente e geneticamente – oltre all’alcol, ai veleni, ai funghi e all’arsenico… ma non se ne capisce cosa, come e perché..
Per definire i disturbi legati all’ingestione del cibo sono stati e vengono tuttora usati molti termini. L’American Academy of Allergy Asthma and Immunology ha proposto una classificazione, largamente accettata, che utilizza il termine generico “reazione avversa al cibo”, distinguendo poi tra allergie e intolleranze:
– le allergie sono mediate da meccanismi immunologici;
– nelle intolleranze, invece, la reazione non è provocata dal sistema immunitario.
Una classificazione simile, proposta dalla European Academy of Allergology and Clinical Immunology, introduce la distinzione tra reazioni tossiche e non tossiche. Le reazioni tossiche, o da avvelenamento, sono causate dalla presenza di tossine nell’alimento e dipendono esclusivamente dalla quantità di alimento tossico che viene ingerito; un tipico esempio di reazione tossica è l’avvelenamento dovuto all’ingestione di funghi. Le reazioni non tossiche, invece, dipendono dalla suscettibilità dell’individuo e si suddividono in allergie e intolleranze.
Le intolleranze alimentari > esistono diverse tipologie: enzimatiche (non hai l’enzima o è scomparso), determinate dall’incapacità, per difetti congeniti, di metabolizzare alcune sostanze. L’intolleranza enzimatica più frequente è quella al lattosio, una sostanza contenuta nel latte; la forma più comune di intolleranza al grano è la celiachia; un altro esempio di intolleranza dovuta alla carenza di un enzima è il favismo.
In alcuni casi, la reazione può essere dovuta ad alcuni additivi aggiunti agli alimenti. Non è ancora chiaro se in questo caso si tratti di intolleranza o di
allergia: non ci sono prove che la reazione abbia basi immunologiche. Sono state individuate le principali sostanze che possono provocare intolleranze farmacologiche: un gruppo di sostanze chiamate amine vasoattive, e altre sostanze tra cui la caffeina e l’alcol etilico, e i soliti additivi che danno più frequentemente reazioni
Vi dirò di più L’Efsa ha stampato questo, cioè un data base che vi permette di sapere dove gli agenti chimici vanno a finire nel cibo.
In sostanza non è chiaro perché si manifestano e come si curano. È certo che gli antibiotici e alcuni agenti inquinanti, tra cui pesticidi, alterano le capacità reattive umane e il contributo immunologico di difesa alle tossine e ai patogeni, o ai batteri (anche se tutto ciò non è scritto).
Se andate dal medico per i test delle intolleranze, uno qualsiasi, vi dirà che siete allergici a qualcosa… magari ad un tipo di spaghetto, ma non certo alle radiazioni nucleari o al radio. Non vi dirà mai di smetterla con le merendine in busta, con la roba in scatola o prodotta dalla Nestlè col mais Ogm e raccolta dall’altra parte del mondo sempre pregna di pesticidi, solfati e veleni… Non vi dirà mai che l’acqua che bevete è piena di arsenico, di amianto e Dio solo sa che cosa. Probabilmente non lo vorreste sapere ma è la verità. In sostanza, questa caciara sulle intolleranze alimentari sembra magari partire pure da un disturbo alimentare, per diventare però immediatamente una patologia da curare o una fisima da controllare! Tutto degenera…
E quindi se poi vi cominciate a prendere troppo sul serio??? Questo va oltre! Pensavate che il mondo fosse finito con Godzilla? Coi Vegani? Con la rivoluzione russa? No, leggete questo: dal sito dell’Università di Roma tra le disfunzioni alimentari compare la “Ortoressia“.
Il termine “ortoressia” deriva dal greco antico. La sua etimologia (“ortos”, che vuol dire diritto, corretto, giusto e “orexia”, che vuol dire appetito) indica una sorta di ossessione per i cibi giusti, corretti. Queste persone controllano e selezionano ossessivamente gli alimenti che assumono, ricercando con eccessiva scrupolosità cibo puro, sano, non contaminato, preoccupate dalle conseguenze mediche derivanti da un’alimentazione scorretta. La differenza fondamentale con chi soffre di anoressia o bulimia sta, dunque, nel rigido controllo non più della quantità di cibo ma della sua qualità. Comune è in ogni caso l’attitudine a seguire un regime alimentare sempre più rigido. La notevole quantità di tempo che queste persone trascorrono discutendo sull’esistenza di cibi puri e impuri, acquistando e cucinando scrupolosamente gli alimenti, e la difficoltà nel concedersi pasti in ambienti esterni, possono comportare conseguenze negative sulla loro vita lavorativa e relazionale. Un giusto percorso evolutivo, prevede semmai una corretta conoscenza e un conseguente modus vivendi sereno ed equilibrato… se invece le fisime cominciano a creare psicomanie sociali e grassi rigonfiamenti di coglioni, allora qualcosa non sta funzionando!
Ecco che le situazioni sociali divengono critiche alla luce del bisogno di programmare i pasti e conoscerne e controllarne ogni singolo ingrediente. Inoltre, il disgusto provato nel riempire il proprio corpo con sostanze non naturali e il desiderio continuo di depurarsi possono portarle a un ‘evitare fobico’ di certe situazioni oppure di piatti, posate e pentole, considerati contaminati da cibi non naturali o fabbricati con materiali che possano alterarne le qualità nutritive. Di fronte alle trasgressioni delle (ingestibili) regole che la persona si autoimpone: il senso di colpa è soverchiante; la stima di sé e degli altri è, infatti, strettamente collegata alla capacità di mantenere un regime alimentare sano. Anche minime deviazioni vengono vissute come veri e propri fallimenti. Il disprezzo per coloro che non condividono le loro idee alimentari accentua le difficoltà relazionali. In pratica: un poveraccio costretto ad una vita asociale dalle sue paure, in un mondo di regole costrittive e autoimposte.
Bene, dopo le volte che vi ho perseguitato coi miei allarmismi, stavolta credo di fare una cosa sensata. Confesso che compro il pesce di allevamento, perché il pescato induce ad un consumo delle risorse eccessivo, e perché mi fido di più. I fagioli li mangio quasi sempre in scatola, perché una volta che ho finito i miei quattro/cinque kili di scorta nel freezer li compro e basta. Addirittura bevo vino da supermercato ogni tanto, non sempre, ma in mancanza di meglio va bene uguale; preferisco le birre note, e se possibile quelle della Cooperativa o quelle artigianali. A mio figlio compro i biscotti Gentilini e la Nutella che per l’occasione mangio anch’io e senza vergogna (da una recente ricerca sembra essere la meno peggio di tante altre cioccolate spalmabili). Compro alle volte senza chiedere di tutto per non stressare il prossimo. Io ci sto attento, e se me lo posso permettere preferisco sempre, in ogni caso ovviamente, il naturale. Ma vorrei che sia possibile e naturale farlo, non voglio costringere o imporlo a nessuno. In altri termini predico bene, e nei limiti del possibile razzolo pure, ma con rispetto per gli altri. Cerco di essere normale in quella definizione che ho citato prima: ognuno è unico nella propria diversità.
Daniele De Sanctis
e come darti torto Daniele
:))
io invece non concordo in tutto ma mi rendo conto che alcuni sono davvero pesanti …. ossessione e esaltazione pura!
SEPPUR LE INTOLLERANZE ALIMENTARI RIMANGONO UN PROBLEMA E’ EVIDENTE COME BEN SPIEGA DE SANCTIS CHE CI SIA UNA CORRELAZIONE TRA MODE ALIMENTARI E OFFERTE CONSUMISTICHE MANIPOLATE DALLE LOBBY CHE CREANO SEMPRE NUOVE RELIGIONI CONTAMINATE E INQUINATE
va be’ la mensa e la croce rossa !
si vero, ma il discorso di Daniele e’ sensato,una questione di buon senso
il buon roberto della mensa non e’ uno chef della guida michelin, perche’ pretendere cio’ che non si paga! certo nel limite del decente…!!! in caso conrario si tratta solo di egocentrici buffoni
le multinazionali sanno come far profitto anche dalle nostre fissazioni salutari ,cosi’ noi ci sentiamo belli e bravi perche’ ci preoccupiamo meglio della nostra salute mentre loro ci vendono il finto biologico o un veganesimo che dura il tempo per litigare con tutti
ottimo daniele de sanctis !
rispondo a bob : c’è anche l’aspetto della cucina etica che sarà il prossimo argomento,qui osservavo solo la nevrosi comportamentale sul cibo. noi si mangia perchè si deve non perchè ci piace. a me piace mangiare bene. non vado dagli stellati (se non prima che prendano le stelle) però attento le nevrosi sono vere ma anche indotte. bisognerebbe stare almeno a tavola, tra amici e non disquisire sul cibo piuttosto dalla provenienza e dello stipendio dei cuochi (alle volte anche delle scuole o della preparazione). ma non contesto roberto semmai le miei colleghe di mensa.
almeno pero’ mangiamo sano noi……poi ok,alcuni di noi rompono un po’ troppo i coglioni
ma il problema non è tanto la rottura di palle, o almeno non solo, il problema sta nelle implicazioni socio-comportamentali di queste mode. qui si parla di fissazioni che invalidano le relazioni sociali, ecc… cioè qualcosa di problematica per la persona stessa
RIECCOCI PERO’ DI NUOVO A PARLARE DI MALATTIA. CHI SI IMPEGNA A MANGIAR BENE E’ MALATO. DAI CAZZO RAGAZZI! CAPITE CHE TUTTO CIO ‘ E ‘ PERICOLOSISSIMO !!! SE UNO CI FRANTUMA I COGLIONI CON LE SUE FISIME E’ SOLO UN INSICURO ROMPICOGLIONI ANCHE SE STA FACENDO QUALCOSA DI APPREZZABILE, E BASTA! SEMPLICE! UN ROMPICOGLIONI UN PO’ FRUSTRATO, MA NON UN MALATO. MANDATELI A FANCULO NON DAL DOTTORE!