L’Articolo 18 e il mantra ipnotico del job(s) act

Una delle più grandi perdite di tempo mai perpetrata dai politici e dai media a danno dei cittadini italiani..

.– Articolo 18? No, ti prego, non voglio sentire più parlare di questo argomento! –

– Tranquillo, non te ne parlerò, in realtà si tratta solo di una parola d’ordine che ho inserito nel tuo cervello mentre eri sotto ipnosi. Fra un po’ ti alzerai e ballerai a casaccio in centro alla stanza imitando Franco Battiato nella clip del brano “La stagione dell’amore” –

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Da un po’ di anni mi capita una cosa piuttosto strana: guardo il telegiornale delle venti, ma le mie orecchie non percepiscono le parole del giornalista di turno, così mi limito ad osservare le immagini. Immagini poco attraenti, oltretutto, date le facce proposte su ogni canale a quell’ora.
Ciò mi accade perché il mio fisico si rifiuta di incamerare le informazionimantra”, cioè quel genere di argomenti che vengono proposti per settimane intere con il chiaro scopo di ipnotizzare la povera gente. Ho provato ad ascoltare, ma niente, non digerisco più quella roba. È un po’ come la mia intolleranza al lattosio: appena bevo un bicchiere di latte mi fulmina un attacco di diarrea e corro al cesso ribaltando tutto ciò che ostacola la mia corsa.

Il mantra più incisivo delle ultime settimane è: l’Articolo 18.

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L’Articolo 18: PAPPARAPPAAAAAAAAA!!! (Qui ci stanno le trombe del film “I dieci comandamenti” nella scena dell’esodo).

Domanda numero uno: ma che cazzarola è l’Articolo 18?

Sì, certo, lo sappiamo tutti, si tratta di un articolo dello “Statuto dei Lavoratori“.
Ah, perché esiste uno statuto dei lavoratori?
Sì, è la Legge 20 Maggio 1970 n.300 (aggiornata alla legge 92/2012)
Strano, ho cambiato più di venti lavori ma nessun collega me ne aveva mai parlato, né mi era stata fatta studiare a scuola, né mi è stata consegnata in fase di assunzione, ne’ mi è stata illustrata in un qualche incontro pubblico organizzato dai Comuni.
Lo so, lo so, se c’è un torto quello è il mio, perché sono io a dovermi informare, non devono informarmi gli altri.
Uff, oggi mi sento polemico, meglio procedere.

L’Articolo 18 di cui si sente parlare fino alla nausea, tratta l’argomento “Reintegrazione nel posto di lavoro”, ovvero il diritto da parte di un lavoratore di ottenere da un Giudice il suo posto in caso di licenziamento illegittimo.
Si potrà pensare, quindi, che questo articolo sia lo strumento utilizzato dal Giudice per procedere con la sentenza, ma non è così, perché i rimandi ad altre leggi già esistenti sono infiniti: …ai sensi dell’Articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi dell’Articolo 35 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al Decreto Legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei “divieti di licenziamento” di cui all’Articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di “tutela e sostegno della maternità e della paternità“, di cui al Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’Articolo 1345 del codice civile
EH?!?! Vuoi dirmi che ci stanno fracassando i maroni da settimane per modificare una legge che in realtà non vale una cippa da sola perché molti suoi principi sono comunque sanciti da altre leggi?!?!

Sì, fratello e sorella miei che state leggendo (quando parlo così mi sento un po’ messia metropolitano ‘dde noi artri), l’Articolo 18 potrebbe essere anche eliminato domani mattina perché esiste una legislazione infinita sui diritti dei cittadini, applicabile anche nei casi che hanno a che fare col lavoro.

Non dimentichiamoci che un lavoratore è prima di tutto un cittadino, e come tale non può essere discriminato.

Ed ora vi illumino (da buon messia): la Costituzione tutela nello specifico anche i diritti dei lavoratori con pochi, semplici e cristallini articoli, cioè quelli compresi fra l’Articolo 35 e il 40.
È scritto tutto lì.
So che siete avidi di conoscenza, quindi non ve ne elenco i contenuti perché probabilmente siete già su google a cercare di scaricare Costituzioni in pdf.

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La discussione politica che ha infervorato il Parlamento l’altra sera (“voto di fiducia” per la Riforma del Lavoro) ha, per me, lo stesso valore della chiacchierata che mi sono fatto ieri pomeriggio con un passante che aveva il cagnolino simile al mio, anche perché pare che nel “jobs act” non si faccia neanche menzione all’Articolo 18 di cui sopra.

Jobs Act, Jobs Act…
Ma si può sapere che minchia vuol dire Jobs Act?
E per quale stramaledetto motivo alcuni giornalisti e politici dicono Job Act e altri dicono Jobs Act?
Che significato oscuro ha quella lettera “s”?
Per quale assurdo motivo il Governo italiano deve dare nomi inglesi alle proprie iniziative?
Avete mai visto un governatore americano che chiama una sua proposta di legge “uè paisà ognu ‘e nuie adda lavorà act”?

Matteo Renzi, giovincello neofita della dittaturina fai da te, in realtà cerca di copiare l’ “American Jobs Act” di Obama, dove la parola ‘Jobs’ è l’acronimo di “Jumpstart Our Business Startups” che, tradotto alla Roberto D’Izzia (cioè male), vuol dire “sviluppo delle nostre imprese emergenti”.
Usando l’inglese ci siamo tolti l’imbarazzo di nominare lo “sviluppo delle nostre imprese emergenti”, dato che non esiste!

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Penso a Barak Obama, l’uomo più potente del mondo, che non è riuscito a portare a compimento il suo Jobs Act anche se aveva 447 miliardi di dollari da poter utilizzare, poi guardo Matteo Renzi, il primo Presidente del Consiglio metà bimbo e metà coniglietto Trudi, che non riesce neanche a trovare 1 miliardo di euro e mi chiedo: faccio bene o no a sospettare che tutta la discussione sull’Articolo 18 sia la più grande perdita di tempo mai perpetrata dai politici e dai media a danno dei cittadini italiani?
Non si era discusso di cose più inutili da quando Belèn aveva mostrato una farfalla sulla sua patata.
Immagine bucolica, fra l’altro, degnamente meritevole di più attenzione rispetto ai punti neri del nostro Presidente del Consiglio.

Roberto D’Izzia

 

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