Intelligenza artificiale? Certo può fare molte cose, ma è sempre affidabile? Questa riflessione nasce dalla visione recente del film “Sully”. Il film parla, come molti di voi sapranno, di un “disastro” aereo (la parola “disastro” è tra virgolette perché miracolosamente non è morto nessuno)
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LA STORIA DEL FILM
Riassumendo succede che il capitano dell’aereo, accortosi di aver perso entrambi i motori, non ha la possibilità di tornare indietro o atterrare in un aeroporto vicino. L’aereo è da poco decollato e il guasto avviene quando è già in volo. La causa? Uno stormo di uccelli.
Allora che fa? Dopo alcuni secondi, prende la decisione di atterrare nel fiume Hudson, fiume che attraversa New York. Ovviamente la decisione presa lo porta ad essere processato: ha fatto bene? Ha messo in pericolo delle vite? C’erano altre possibilità? Le simulazioni del volo dimostrano che in realtà l’aereo sarebbe riuscito ad atterrare in un aeroporto vicino o a tornare indietro.
Ma il comandante si accorge di qualcosa: di cosa? Cosa manca? A parte che i piloti impiegati nella simulazione non rischiano davvero la loro vita e quella dei passeggeri, quindi non vivono in una situazione di stress e tensione, a mancare sono proprio quei secondi in cui il comandante ha dovuto prendere una decisione, quei secondi in cui il suo cervello ha dovuto rapidamente calcolare tutte le possibilità dopo aver raccolto tutti i dati a sua disposizione e decidere sul da farsi (un tempo che se anche il computer avesse dovuto calcolare poi non avrebbe avuto il tempo necessario per realizzare un atterraggio di successo… come volevasi dimostrare).
In poche parole a mancare nelle simulazioni è il “fattore umano”: è così che il comandante stesso lo chiama.
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FATTORE UMANO E INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Questo ha portato a chiedermi: è di questo quindi che ho sempre parlato, trattando temi relativi all’intelligenza artificiale?
Mi chiedevo sempre: quanto è affidabile un’intelligenza artificiale? Quanto riesce ad essere coinvolgente? È un bene o un male? È innegabile che ci siano dei vantaggi, ma poi? Veramente vogliamo vivere in un mondo abitato dai robot? Le I.A. potranno un domani riprodurre anche le emozioni umane?
Il regista Miyazaki non è convinto: di fronte a degli anime disegnati da robot ha trovato il risultato a dir poco aberrante, in quanto poco espressivi. I robot non conoscono il dolore e quindi non possono disegnarlo… queste sono state le parole del regista dello studio Ghibli.
Secondo Platone una copia non sarà mai come l’originale, quindi forse le emozioni delle I.A. saranno solo una pallida e sbiadita imitazione di quanto saremmo in grado di provare noi. O no?
Attualmente, le A.I. di cui le aziende stanno sempre di più facendo uso e che sono quelle che cercano di somigliare all’essere umano, sfruttano la tecnologia definita “deep learning“, cioè quella appunto che, basandosi su reti neurali, cerca di riprodurre il cervello umano – e sarà proprio questa la nuova frontiera dell’A.I., come non a caso viene rappresentato da una Serie Tv come “Westworld”, dove l’algoritmico dell’Intelligenza Artificiale prevede ciò che gli scienziati chiamano “disuguaglianza simmetrica“, vale a dire quell’epifenomeno quantistico capace di creare la “singolarità” di una Coscienza senziente come la vita umana semplicemente nel momento in cui il Vuoto quantistico (la sostanza alla base di Tutto) riflette se stesso accorciando l’oscillazione dell’asse dell’energia dell’Universo… ed è per questo infatti che non si parla tanto di ‘creazione’, altrimenti la vita avrebbe solo duplicato se stessa, invece si è semplicemente riflessa (si tratta di un meccanismo tipico del Vuoto quantistico – che a quanto pare è un vero e proprio “tessuto connettivo”, ha cioè una struttura neurale in grado di elaborare “immagini/idee” come correlazioni quantistiche. Di fatto il Vuoto emana una proiezione di se stesso formando una dimensione olografica che altro non è che la nostra realtà; parallelamente questo nostro mondo si manifesta poiché è sperimentato proprio da quei focolai senzienti che pure loro si sono riflessi dalla Coscienza Cosmica dello stesso Vuoto, a formare esattamente ognuno di noi in quanto coscienze individuali. Per chi fosse interessato abbiamo parlato di questi meccanismi cosmici in questo Speciale Approfondimento).
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I NUOVI UTILIZZI DELLE A.I.
Nel 2017 gli utilizzi delle A.I. saranno molteplici e avverranno in diversi campi. Un esempio di utilizzo delle A.I. è quello legato a studi di ingegneria che cercano di prevedere i danni alle strutte provocati dai rumori delle auto. Non serve un ingegnere super specializzato, ma è sufficiente un ingegnere edile che si avvalga di un software di A.I. e immetta i dati necessari.
Oltre questo, ci saranno probabili applicazione dell’A.I. anche in campo medico, attraverso la scansione delle cartelle cliniche e la possibilità di previsione dell’insorgere di eventuali infezioni. Inoltre forse sarà possibile anche perfezionare i trattamenti per i malati di cancro, tenendo conto del loro codice genetico.
Probabilmente le A.I. saranno impiegate anche nei sistemi di sicurezza e nei videogiochi, ad esempio per sviluppare movimenti sempre più complessi.
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IL CENTRO DELLA DISCUSSIONE
Quello di cui voglio parlare nello specifico, collegandomi ad argomenti trattati di recente, cioè appunto alla possibilità che i robot ci rubino il lavoro e al film appena citato, è la possibilità che molti lavori possano essere affidati a dei robot.
La possibilità c’è ed è valida nel caso di quei lavori meccanici in cui la componente umana non è effettivamente coinvolta, come nel caso dei lavoratori d’industria o dei guidatori di muletto.
Anche se l’impiego dei robot ci porterebbe ad un altro problema: che fine farebbero tutti quei lavoratori? Rimarrebbero a casa a far cosa?
A parte questo c’è da ricordare che molti lavori hanno bisogno della componente umana, psicologica ed emozionale che i robot non sono in grado e non saranno, secondo me, mai in grado di riprodurre in tutte le sfaccettature possibili. Questo lo si può capire se si pensa a quei lavori come il medico, l’insegnate, il militare… tutti lavori in cui si deve entrare in rapporto empatico con un pubblico di persone fatte in carne ed ossa come me e voi e per cui non di rado si prendono decisioni sotto stress..
Pensate: una macchina è programmata per fare una determinata azione in una determinata occasione… affidereste la vostra sicurezza a qualcuno con cui sarebbe difficile ragionare?
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ANCORA SULLA DEFINIZIONE DI LAVORO
Questa riflessione ci porta ad un altro tema, cioè quello di come deve essere considerato il lavoro.
Mi chiedo, e chiedo a voi, davvero c’è da sperare che i lavori siano compiuti dai robot lasciandoci il tempo di stare in panciolle e “goderci la vita”? La mia opinione è che, dato che alcuni/molti importanti lavori non possono essere svolti dai robot, allora quello che c’è da fare è rivalutare l’idea che abbiamo di lavoro.
Pur sapendo che i lavoro si deve fare per portare il pane a casa, dobbiamo secondo me sempre ricordarci che il lavoro nasce perché, almeno secondo le analisi di Locke, l’uomo possa procurarsi ciò di cui ha bisogno; e l’uomo è da considerarsi schiavo quando è la sua vita a dipendere dalle azioni di un altro uomo: fino a qualche tempo fa parlare di schiavitù quando si lavora alle dipendenze di qualcuno rischiava di essere riduttivo alle volte, le parole hanno un loro peso dopotutto e non va perso, le cose non vanno prese alla leggera… certo oggi, visto come siamo messi, non so se il discorso possa ancora reggere.
Detto questo, non voglio dire che dobbiamo tutti quanti noi fare per forza ciò che ci piace ecc…, non voglio in questa sede dipingere situazioni utopistiche da film. So che ci sono situazioni in cui una persona si può trovare a fare quello che non gli piace perché è l’unico modo per andare avanti. Ma allora questa persona non può trovare felicità in altro? Come ad esempio un affetto o una passione?
Una disquisizione psicologica: Secondo me sarebbe quasi meglio dubitare di chi parla di lavoro associandolo alla schiavitù, poiché così si perde quello che, a mio parere, dovrebbe essere il senso del lavoro vivendo una situazione di frustrazione (al di la delle coercizioni sociali). A livello psicologico, il lavoro è ciò che ci può consentire di stare bene con noi stessi, è un’attività che può consentirci di trovare un equilibrio. È un modo attraverso cui la nostra essenza si può esprimere, nonché il possibile raggiungimento di una “tappa” importante lungo il nostro “processo di individuazione“, cioè è il processo psichico che porta l’individuo a essere nella sua pienezza, a diventare ciò che è intimamente, per dirla con Jung; ecco la necessità di avere, nel caso si faccia un lavoro che non piace, qualcosa come un affetto o che so una passione che possa compensare il disequilibrio causato dal lavoro che non è nelle nostre corde.
Non sto inventando nulla, per scrivere queste cose ho chiesto la consulenza della dott.ssa Maria Elisabetta Quaglino, dello studio di psicologia e psicoterapia Epimeleia – www.studiopsicologiaepimeleia.it .
“Trova anche altro e non solo quello che ti piace!”. Accetta in sostanza la situazione così com’è da persona matura, non parlare del lavoro come una condizione di schiavitù e apriti a nuovi orizzonti..
E dunque, in ogni caso, ci sono quei lavori che non possono essere svolti dai robot, giusto? E allora che si fa? Solo perché magari una persona non ha avuto la pazienza di cercarsi un lavoro nelle sue corde, o perché magari non ha interessi, può stare senza far niente e io, a cui piace insegnare, devo stare coi libri in mano tutto il giorno per prepararmi le lezioni e aggiornarmi? In quel caso sì che si creerebbe una situazione di malcontento ancora maggiore, a causa della disparità delle condizioni.
Certo, se faccio un lavoro che mi piace non dovrebbe darmi fastidio lavorare. Credo.. se riprendiamo la definizione di Locke secondo la quale il lavoro è il mezzo attraverso cui posso ottenere ciò di cui ho bisogno, vedere che ci sono persone che non fanno nulla veramente mi lascerebbe indifferente?
E poi le persona in cassa integrazione anche se pagate non è che se la passavano bene! Pure pagati, il ‘non avere niente da fare’ li ha comunque gettati in un brutto stato d’animo.
Prendiamocela allora col lavoro sottopagato o quello gratis proprio, non con il lavoro in sé. Se la società ci ha portato ad avere una concezione errata di lavoro… chi dice che dobbiamo goderci la vita e lasciar fare il lavoro ai robot è più schiavo di quella società capitalistica che critica di quanto lo sono gli altri.
Roberto Morra
discorso molto complesso e pericoloso.
se e’ vero che le grandi aziende stanno iniziando ad usare in modo invasivo la AI e’ vero che questo potrebbe essere l’ inizio di un trend davvero travolgente. la AI potrebbe entrare prepotentemente nelle nostre vite e a quel punto davvero bisognera’ rivedere il concetto di lavoro, come ben sottolineato da Morra, ma non solo quello credo ….
secondo me i robot sono utili. per tanti esempi, tra cui anche quelli descritti qui da Roberto , ancor di piu’ per quei lavoro logoranti e alienanti che potrebbero essere risparmiati agli uomini.
in seguito pero’ , bisognera’ riscrivere non poche normative per riequilibrare tutto il sistema lavorativo , anche perche’ a quel punto non sara’ solo piu’ questione di perdere dei lavori in favore di nuovi che ne nascono …ci vorrebbero se mai delle vere politiche sul lavoro
tutto molto interessante
il fattore umano è insostituibile
sempre splendidi e interessanti post su questo blog. sempre bravo Morra nel tenerci lucidi sul meglio e il peggio della contemporaneita’