La via dell’amore e della morte

Romanzo on the road di Melog

1

 

 

(1978 circa)

È una di quelle giornate in cui potrei fare di tutto o assolutamente nulla. Mi sono appena svegliato e, ancora intorpidito, cerco disperatamente dentro di me un valido motivo per alzarmi e andare alla finestra per vedere se piove o c’è il sole. Qualunque cosa io decida di fare non avrebbe alcuna importanza, non ho nulla da perdere, se non la vita, che, del resto, in questo momento non è che abbia un grande valore. Rimango nel letto ad ascoltare i rumori delle città che si è svegliata da ore e non provo alcun senso di colpa a non unirmi al suo movimento. La mano tocca meccanicamente il mio sesso che, cosa normale appena sveglio, scoppia di una virilità totalmente inutile e vana ..sarebbe il momento adatto per farsi una sega. La sega, quante cose vi sarebbero da dire su quest’argomento, ci si potrebbe scrivere interi trattati e mai si giungerebbe a svelarne tutti gli aspetti reconditi, non è solo un sano esercizio notturno per scaricare pulsioni naturali e poi addormentarsi sereni, e non è neppure un modo sbrigativo per ingannare da soli il tempo che a volte sembra eterno, è qualcosa di molto più complesso, è il rapporto che si ha con se stessi e, quindi, con gli altri. Una cosa non sono mai riuscito a capire: perché in ogni ambiente nessuno osa mai dichiarare ufficialmente di masturbarsi? Eppure l’auto erotismo è una cosa sacra e vitale, se non si riesce a far l’amore con se stessi serenamente e senza senso di colpa, come sarà poi possibile farlo con qualchedun’altro, uomo o donna che sia. Il sentire vibrare il proprio corpo, lo scoppio finale con la fuoriuscita del seme sono il canto culminante di un momento di auto-affermazione  ..eiaculo ergo sum. Ricordo che tempo fa, a tarda sera, mi trovavo a chiacchierare con alcuni uomini maturi più o meno felicemente sposati, l’abbondante vino bevuto li aveva resi particolarmente loquaci, sciolti e disinibiti e, in uno sprazzo di inaspettata sincerità, l’uno all’altro confessò che di tanto in tanto si ritirava in bagno a farsi una sega e che in quell’azione non solo dava sfogo alle proprie fantasie erotiche, ma provava anche un certo senso di rivincita nei confronti della moglie, con la quale il sesso da tempo aveva perso quell’aspetto gioioso e trasgressivo che gli è proprio. Si, certamente la masturbazione è un buon esercizio per stimolare la fantasia. Un mio amico mi ha raccontato tempo fa che per masturbarsi con vera soddisfazione doveva vestirsi da donna, che poteva farlo raramente, solo quando in casa non c’era nessuno ed aveva libero accesso alla stanza della sorella per indossarne i vestiti. Ciò che provava non era una sorta di incesto traslato, non sognava di possedere la sorella, ma se stesso, se stesso vestito da donna e quello che metteva in atto era un rito lento e studiato con cura che durava circa un’ora. Si poneva di fronte allo specchio ..si guardava con compiacimento e poi iniziava la pratica masturbatoria ..alla fine beveva il suo stesso seme che accuratamente aveva accolto nella sua sinistra ..senza dubbio un raffinato esperto del settore.  Io sono meno fantasioso, non raggiungo simili apici di ricercatezza, mi limito ad immaginare di stare con la donna che in quel momento occupa i miei pensieri e, grave manza, dopo mi subentra un senso di desolata solitudine. Decido di non masturbarmi. Mi alzo e vado alla finestra. Sole. Per diversi giorni il cielo ha versato sopra la mia testa tutto quello che di liquido aveva costringendomi a lunghe permanenze in casa, oggi no, oggi c’è un sole quasi primaverile e, dopo essermi vestito, esco per andare al bar.

 

Abbracciato al giornale mi siedo ad un tavolino del bar Ferrazzoli. Il sole non è forte e non devo temere che scaldi la birra che sto affogando di whisky. Osservo le mille bollicine che salgono libere verso la superficie e che poi si disperdono nell’aria cercando di dar sfogo alla loro vitalità. Ripenso alla mosca che nella mia stanza, in cerca di libertà, andava a sbattere ripetutamente contro il vetro della finestra ..me ne sono guardato bene da aprirle il varco ..perché? Probabilmente se fosse uscita sarebbe andata ad impigliarsi nella prima ragnatela che incontrava ..ma forse non c’era nessuna mosca, nessun vetro.

Attorno a me i tavoli si sono riempiti di stranieri e turisti ..parlano e ridono ..ridono e parlano ..non li capisco ..mi danno fastidio e un desiderio di fuga mi pervade. Faccio un gesto alla cassiera che dalla vetrina del negozio tiene sotto controllo che nessuno vada via senza pagare.  Arriva di corsa il cameriere.

-Metti sul conto baffo ..pagherò a fine mese, quando avrò qualcosa da darti!

Lui guarda smarrito verso la cassiera che con un cenno della testa gli comunica che sa già tutto, che ha capito e va bene così.  Mi alzo e torno a casa.

Non ho neppure fatto a tempo di posare le chiavi sul tavolo che squilla il telefono ..è Ivan. Ha la voce strana, chiede se ho voglia di bere qualcosa, di fargli compagnia. Ci diamo appuntamento entro un’ora al solito bar.

Arriva con la barba sfatta, il viso gonfio, pallido che sembra un morto. Si lascia andare pesantemente sulla sedia.

-Sono triste Chico!

..finisco di bere il mio campari-vodka e aspetto che parli.  Arriva il cameriere ed Ivan ordina una sambuca per se ..io chiedo una vodka liscia. Beviamo a lunghe sorsate. Infine il suo racconto. La donna lo ha lasciato, improvvisamente. Lui era andato a salutarla e lei, sfuggendo al suo abbraccio, di punto in bianco gli aveva detto di non amarlo più, che si era invaghita di un altro. Tutto era finito così, senza un valido motivo. Mi racconta di come ha disceso le scale strisciando lungo il muro, di essere salito sopra un autobus e di essersi lasciato andare ad un pianto dirotto di fronte ad un mondo incredulo che un uomo adulto possa piangere.  Piange anche adesso.  Ho conosciuto Ivan molti anni fa, forse 10, è stato in una casa dove andavamo a far progetti di grandi cambiamenti sociali. Si discuteva a lungo, si leggevano testi e ci riempivamo la bocca di sogni e di Sierra. Sembravamo dei duri. I nostri cuori sembravano non conoscere dimensione umana, ma solo freddo raziocinio e battaglia ..ed oggi, quello stesso Ivan è qui, di fronte a me, che piange come un bambino perché una ragazzina di 18 anni gli ha detto di non amarlo più.

Trascorro tutta la giornata con lui girovagando per diversi bar ed osterie bevendo di tutto sino a tarda sera ..Ivan vuole parlare ma non vuole pensare. Alla fine lo convinco che sarebbe ora di rientrare e lo trascino a casa mia. Mentre diamo fondo alla bottiglia di Gin che abbiamo comprato in un bar notturno gli preparo il letto, lui mi guarda sbigottito, quasi offeso che io non voglia più starlo a sentire

– Ivan ..sono le cinque ..ho sonno!

– Allora dormi!  Stronzo!

– Stronzo tu!

Come si mette sul letto crolla. Vado nella mia stanza. Senza spogliarmi mi distendo sul letto e da di là mi giunge il respiro pesante di Ivan ..anche io mi addormento.

 

 

 2

“I’ can’t get no satisfaction”.. la voce di Mick Jagger che lo urla sino a svegliarmi mi giunge chiara dalla casa di Gianna. Passo la mano sopra il mio sesso e mi sento un dio. Guardo verso la finestra ..c’è il sole e una sensazione di vitalità entra in me. Dovrei riordinare casa, ma non ne ho la voglia e ignoro che sia ridotta a un cesso. Fumando mi vesto in fretta, la testa mi gira un poco ..a giudicare da come mi sento deduco che ieri sera mi devo essere divertito parecchio ..dovrei bere qualcosa per ristabilire un poco il tasso alcolico, ma in casa non è restato nulla di bevibile, neppure soldi per comprarlo ..scenderò da Gianna a vedere se ha da offrirmi una birra. Mi ricordo improvvisamente di Ivan ..vado dove l’ho lasciato ieri sera ..non c’è più, è già uscito. Chissà dove sarà ora, forse dietro la porta della sua bambina ad implorare di farlo entrare ..forse è seduto sulle scale che piange  ..e lei? Lei è lì, poco distante da lui, oltre quella barriera di legno, tra le braccia del suo nuovo amore, che si tura le orecchie per non sentirlo.

 

Gianna apre la porta. Entro. Mick Jagger continua ..I’ can’t get no satisfaction.  Lì, arrivata chissà da dove c’è una ragazzina, avrà si e no 18 anni. E’ una di quelle smandruppate che schiaffano un “cazzo” ogni due parole per dimostrare al mondo intero quanto sono libere. E’ piena di una boria quasi vomitevole e mi subissa con mille domande rovinandomi la birra che finalmente bevo. Vorrebbe sapere chi sono, cosa penso, dove vivo e cosa faccio ..le rispondo di malavoglia a monosillabi, poi, improvvisamente, forse per far colpo su di me, inizia a parlare di Palestina. Il suo sproloquio è di un antisemitismo delirante, mescola di tutto in un triturato fetido e stantio, mette nello stesso calderone sionismo, Abramo Lincoln, deicidio, guerra santa, martiri, lotta di popolo, complotto massonico-giudaico- imperialista, il tutto condito, nella sua follia da ebete della peggior specie, da una quantità incredibile di “cazzi”, poi, senza la minima logica che lo giustifichi, attacca un pistolotto sul femminismo e la fine del maschio. E’ molto fiera di sé e anche lei si sente una combattente. Ma che cosa cerca? Cosa vuole? Mentre la sto a non ascoltare, ripenso al discorso di Martin Luther King, letto non ricordo su quale rivista. Ebbene si! Sono ebreo, maschilista, fallocratico e sciovinista ..e me ne vanto! E tu non puoi essere altro che una gojà per di più ignorante e un poco stronza ..non potrebbe essere diversamente, è fisiologicamente impossibile, contraddicimi se puoi! Lei continua il suo monologante bla bla delirante ..non ho mai sopportato il dar fiato alla bocca tanto per parlare e non ho alcun desiderio di farmi rovinare la giornata,..oggi c’è il sole.

Esco da quella casa incazzato come un bufalo,..forse avrei fatto meglio a  ..I’ can’t get no satisfaction Mi siedo al bar con l’intento di leggere il giornale in pace e bermi il mio Campari corretto (chissà a quanto aumenta il mio debito con la cassiera), ma sono troppo carico di adrenalina e quello che vedo con trasandata sufficienza sono solo mozziconi di titoli. Dal tascapane tiro fuori il mio blocchetto di appunti, ma anche scrivere qualcosa mi è impossibile, non riesco a concentrarmi e qui c’è troppa gente che con la sua sola presenza mi infastidisce ..eppure la giornata era iniziata così bene con il sole alla finestra. Alla mia destra c’è una coppia tardo hippyeggiante che sta fumando del pessimo kif, lei è avvolta in un scialle indiano-napoletano sdrucito dai colori stinti e lui è nero di sporcizia. I due, con ostentata ritualità, si passano la canna, osservando bene se qualcuno li stia guardando e ridono della loro trasgressione che non scandalizza più nessuno ..mi danno fastidio. Il campanile batte le ore ..le conto, sono le 11. Oggi dovrei andare alla RAI per uno dei miei soliti giri promozionali e fare lunghe ed esasperanti anticamere nella speranza che prima o poi, pur di non veder più la mia faccia, qualcuno accetti un mio progetto ..vedremo chi si stanca prima se io a rompergli i coglioni o loro a fare promesse che non mantengono. Le nostre strategie sono diverse, io miro alla esasperazione, loro a scoraggiarmi in tutti modi, a farmi sentire un estraneo ..anche con la strana numerazione delle stanze: quando arrivo a quella col numero che dovrebbe precedere il loculo dove vegeta il funzionario cui mi sono fatto annunciare  ..non c’è, quella stanza si trova esattamente sul lato opposto dell’edificio.

Un altro Campari.

Passa Paolo l’anarchico (ma cosa vorrà dire poi essere anarchici? Ha un qualche senso affermarlo pur vivendo di tutto ciò che la società che condanni ti da? Io sono anarchico ..tu sei anarchico ..anche il salumiere è anarchico ..siamo tutti anarchici perché anarchico è bello!) ..Mi vede, ..si siede

– Cosa mi paghi da bere? – dico

– Quello che vuoi

Paolo non ha problemi economici, vive a casa dei suoi che, purché non se ne vada. gli consentono di giocare a fare il rivoluzionario nella bambagia. Ordino un doppio whisky. Beviamo e parliamo di cinema, di Herzog, di Wenders e Fassibinder ..lui non ha mai sentito nominare Kluge e per dribblare lo smacco mi fa una domanda a freddo:

– Vuoi entrare in una cooperativa? ..Niente divisione dei compiti ..nessuno comanda ..e tutti decidono!

Già non lo ascolto più e mi metto a rincorrere i miei sogni, il mio film dove io sia tutto e dove io possa esaltare il mio fottutissimo egocentrismo. Non posso accettare l’idea che una storia nata dalla mia immaginazione possa essere tramutata da altri per scelte stilistiche o chissà per quali altri reconditi motivi. Non credo nella collaborazione. Mai nessuno potrà venirmi a dire in quale modo vada mangiata la mela che io immagino debba essere mangiata, quel gesto è nato dentro di me e nessun altro lo conosce meglio di me ..quel morso è mio e io sono quel morso ..io sono io ..sono dio e basta! ..si, forse anche tu sei dio, ma mi dispiace per te, il politeismo è finito, non c’è posto per due dei a questo tavolo. Mi alzo senza ringraziarlo e me ne vado, …tanto Paolo capisce ..e poi, Paolo, il ringraziare non sarebbe stato un gesto piccolo-borghese? Ed io sono un anarco-stalinista.

Non riesco a stare fermo per più di una decina di minuti con la stessa persona ..ho l’impressione che i dialoghi dopo pochi minuti diventino una tragica farsa di ripetizioni infinita e mi manca l’aria, mi sento soffocare. Il desiderio di vita che ho dentro è così forte e disperato che rasenta la morte e la tendenza all’autodistruzione pur di non vederla scadere. La morte non mi fa paura, è la contaminazione che mi angoscia. La contaminazione della vita, dello spirito, della mente ..del corpo. Il solo pensiero che il mio essere che tutto ha provato, sentito e vissuto debba un giorno lentamente contaminarsi e imputridire mi fa sperare che quel momento non debba mai giungere e che la mia fine si consumi improvvisamente, all’apice della vita, in un grande fuoco. Strada facendo penso che finalmente potrò bermi una birra in beata solitudine, ma non ho birra in casa e neppure soldi in tasca per comprarne una non mi resterà altro da fare che mettermi a dormire.

Appena oltrepasso il portone il portiere mi viene in contro, ha in mano una raccomandata ..me la da’ con stampato sulla faccia un sorriso beffardo. Non ho alcuna intenzione di dar soddisfazione alla sua malcelata curiosità e sono sul punto di mettermi in tasca la busta senza aprirla, quando la stampigliatura SIAE sul frontespizio mi fa cambiare idea ..la apro, al suo interno trovo un bell’assegno circolare a mio nome ..sono i tanto agognati diritti d’autore che aspettavo da tempo ..finalmente un po’ di ossigeno! Per festeggiare in modo degno decido che non andrò in RAI.  Dopo esser passato dalla banca a depositare l’assegno e farmi dare un poco di contante torno al bar ..Paolo a quest’ora se ne sarà andato.

L’astro dispensatore di vita mi sogghigna dall’alto oltrepassando i miei occhiali neri. Un riverbero di luce mi ferisce dalla lattina vuota di birra posata sul mio tavolo ed io mi specchio sul suo ripiano, graffiato da mille avventori casuali. Passa una ragazza. Il suo modo di camminare denuncia la sua consapevolezza di avere un corpo desiderabile ..è lento, trasognato, ondeggiante. La mia mente malata la paragona ad una lenta carrellata leggera, guidata da una mano esperta che evita ogni scossa tremolante e la conduce sicura verso mondi ovattati. Giunta al limite della piazza la ragazza improvvisamente si ferma, non sa cosa fare, oppure, forse ha avvertito qualcosa ..inaspettatamente torna sui suoi passi ..mi passa davanti …”ecco il controcampo”, infine scompare là da dove era venuta.

Il proprietario del bar sembra aver annusato che in tasca ho del denaro e mi osserva dalla porta del locale con insistenza aspettando un mio gesto ..fingo di non vederlo. I pensieri e le sensazioni mi assalgono con impeto e fatico a stargli dietro. In questi momenti forse dovrei avere con me un registratore portatile per dettare tutto quello che la mia mente partorisce ..ma forse no, neppure così funzionerebbe, dare forma con parole alle sensazioni è diverso, è un’altra cosa che non ha nulla in comune con le sensazioni stesse, meglio lasciarle così, al loro stato puro, potenziale, sono più vere. Lo stare immerso in questa situazione di vuoto travolgente non mi impedisce di vedere il padrone-cameriere che continua a fissarmi per sollecitare un mio gesto ..distolgo lo sguardo.

Un pungente odore di senape e hotdog arrostito mi rigettano nel presente: il padrone-cameriere ha preso coraggio e mi si è avvicinato ..lo precedo.

– Oggi non ho proprio fame – dico – ..nessun “cane-caldo” oggi ..e neppure birra, non ne ho voglia, poi pongo la domanda che non si aspetta – …Ivan si è visto?

L’ho colto di contropiede ..l’argomento Ivan non è di suo gradimento, so che maledice il giorno in cui, in preda ad un eccesso di altruismo, gli ha offerto di dormire sulla brandina che tiene in dispensa ..da allora non ha mai più potuto rifiutargli l’ospitalità.  Bofonchia qualcosa e se ne và.  Di nuovo solo, ma ormai l’atmosfera che si era creata è svanita e decido di andarmene altrove.  Mentre raccolgo le mie quattro cose, si ferma davanti alla porta del bar il camion della Campari. Proprietario e garzone escono di corsa per accelerare l’operazione di carico e scarico ..i vigili sono sempre in agguato e questa e zona pedonale.  Io penso per un attimo ad un bagno nel Bitter Campari, ma questa immagine non mi piace, la cancello e subito mi allontano.

E’ troppo presto per pensare alla cena e troppo tardi per il pranzo. Davanti a me ci sono ancora molte ore di luce che posso impegnare nella ricerca di una ragione di vita o nella corsa verso la morte. Giro l’angolo e vado a sbattere contro Marcello. E’ appena tornato dall’Australia ed è pieno di progetti. Laggiù ha fatto una barca di soldi facendo il lavapiatti e conducendo una vita di rinunce con il solo fine di accumulare denaro, tanto denaro per poi tornare in patria ed avviare una piccola impresa. Marcello a tempo perso fa il fotografo ed ora ha in mente di aprire una agenzia fotografica particolare: vendere ai giornali foto corredate da articoli già pronti e mi chiede se sono disposto a scrivere i pezzi ..so già che è uno di quelle idee destinate a non vedere la luce ma, per non far la parte del disfattista quale sono, dico di si, di farmi sapere. Cerco di allontanarmi ma Marcello non ha alcuna intenzione di mollarmi, è gassato al massimo e vorrebbe parlare di tutto e nulla, io ho la testa in fiamme per il suo subissarmi con mille argomenti, per il suo tocchicciarmi ad ogni “ascolta” che pronuncia e, in un momento di particolare attivismo ribelle, riesco a sfuggirgli dalle grinfie per ritirarmi nel verde di un prato a rincorrere i miei ricordi.

La nebbia della sera sta iniziando ad avvolgere tutto. Passa una moto ..ed io vado indietro nel tempo: mi trovo seduto sul ciglio della strada, accanto al mio zaino, in attesa che qualcuno mi carichi per andare a Londra. Comincia a calare la notte e la migliore prospettiva è che la passerò qui all’addiaccio ..canto per farmi coraggio e compagnia. Sono trascorsi molti anni da allora e i ricordi si sovrappongono, hanno perso le dimensioni spazio-tempo. Risento il profumo della sua pelle ..rivivo le sue labbra su di me e il modo in cui con tutte le mie cellule annusavo i suoi odori e gli umori per poi perderci in un amplesso quasi disperato. Quando riproverò ancora quello struggimento di allora, il sapere che al mondo ci sia chi desidera baciare perdutamente il mio sesso con amore sino ad accogliere dentro di se il dono-frutto della mia passione? Ci sarà ancora chi, con innocenza pura, anelerà perdutamente a voler sentire sulla vellutata intimità che mi ha offerto in dono le mie labbra assetate dei suoi umori? Fare l’amore è meraviglioso e per essere degno di essere chiamato amore e non puro accoppiamento deve essere ricco di passione. E’ forse nel donare e donarsi nei modi meno usuali che la passione e il desiderio di sentire e farsi sentire trova il suo culmine. Il mio desiderio mai confessato di porre il mio sesso in ogni centimetro del suo corpo, di gioire di lei e farla gioire in ogni modo possibile, di bere, di essere bevuto, di tutto, non è perversione, non è malattia, ma anelito ad un sovrapporsi reciproco completo dove ogni separazione è annullata ..dove la finzione non è possibile e viene superata la scontatezza ..sembra tutto così logico, naturale, scontato, eppure, quante sono le persone cui potrei confessare queste cose senza essere frainteso e come sarebbe più sana e felice la vita sessuale-affettiva se potessero essere dette e fatte in libertà senza vergogna.

 

 

 3

È una di quelle serate in cui non ci sarebbe nulla di meglio da fare se non andare a stendersi a pancia in su ai piedi della pista di decollo dell’aeroporto ..vedere gli aerei passare vicini, essere scossi dal rombo e partire con loro sfuggendo così a senso di solitudine, ma la mia moto giace da tempo scassata non ricordo più in quale vicolo del centro. Sconfitto decido di andare a casa. Mentre attraverso il ponte con occhi grandangolari faccio carrellate sul mondo. Vedo storie di protagonisti senza volto che s’incrociano senza parlarsi sulla strada della vita. Nuovamente attore e regista di me stesso mi appresto a girare l’ultima scena: E’ un lunghissimo pomeriggio costellato da carcasse di ogni tipo. La mente, tra flutti rosso fuoco, si aggrappa alle nubi alla ricerca di spazi. Passano bimbe belle con passi leggiadri di gazzella e lui, leone ferito, le osserva che giocano nel prato bevendo Pernod. Una di loro si stacca dal branco, ..il leone s’acquatta furtivo nell’erba  ..la femmina annusa nell’aria il pericolo e lesta ritorna tra le compagne. Il leone, deluso, ruggisce e si alza dalla sedia pesante ..poi scompare nel folto della savana portandola dentro di sé nel sogno. Quando compaiono i titoli di coda sono già sul letto ..ancora vestito.

Passa un’auto della polizia, ne sento la sirena lontana ..allora mi spoglio ..inutilmente, quasi con noia e, nudo come un verme, mi addormento.

 

Suonano alla porta ..a giudicare dalla luce che filtra attraverso la tenda deve essere ancora presto e non capisco a chi possa essere venuto in mente di rompermi le palle. Lo squillo seguita imperterrito, insistente, prima a più riprese poi, infine, prolungato, fisso. Comincio a dubitare che qualche stronzo, grazie alle maledizioni che gli ho inviato, sia restato fulminato e che ora penzoli dal pulsante con gli occhi strabuzzati fuori ..no, lo squillo s’interrompe e poi riprende sempre più lungo, insistente. Ho capito: è l’idiota di turno che ha deciso di buttarmi giù dal letto ignorando che per farmi girare le palle per tutta la giornata basta solo attaccarsi al campanello. Ma come cazzo fa ad essere sicuro che sono in casa ed insistere cosi? Attraverso il corridoio di corsa, spingo il pulsante per aprire il portone e mi affaccio sulle scale per controllare chi sia, senza rendermi conto di essere nudo e che se la signora che abita di fronte a me dovesse aprire la porta mi vedrebbe lì, così, col pisello penzolante in vista. E’ Gianfranco. Lascio la porta dell’appartamento aperta e torno a ficcarmi sotto le lenzuola.

Ora è davanti al mio letto che mi propone di accompagnarlo a portare le bozze della sua tesi sulla struttura della musica rock al Prof ..ho ancora sonno, non ho voglia di alzarmi e inoltre non mi va neppure di farmi vedere dal Prof che sta ancora aspettando la mia tesi “Taoismo, marxismo e Wittgenstein”, argomento che di certo ha accettato per il puro gusto di vedere dove andassi a parare. Gianfranco insiste, dice che non vedrò il Prof ed è chiaro che se non lo accompagno non si sposterà dal mio letto e mi romperà le scatole all’infinito per poi rinfacciarmi sine die il torto che gli avrei fatto. Non mi resta altro da fare che alzarmi, a fatica. La mattina ho bisogno di qualcosa che mi dia un poco di carica e prima di salire in macchina vado al bar per bere un martini-wodka, naturalmente pagato da Gianfranco.

Ha fatto presto a consegnare il suo plico ..pare che il Prof non solo sia soddisfatto del lavoro di Gianfranco, ma che possieda anche il dono della onniscienza: gli ha chiesto se ultimamente mi aveva visto o se aveva notizie mie, per fortuna non gli è stato rivelato che mi trovavo a pochi metri di distanza.

Appena risaliti in macchina Gianfranco mi fissa,

-Che ne dici se andiamo a trovare Principessa?

-Ma siamo matti!? Non ho alcuna intenzione di rivedere Principessa. – ribatto prontamente

Principessa è l’infermiera che Gianfranco ha incontrato in uno dei suoi frequenti ricoveri di controllo in ospedale e che non so in quale modo anni prima aveva fatto innamorare perdutamente di se. Il loro era un legame solo ospedaliero che sino a un anno fa si consumava unicamente negli scantinati dell’ospedale con travogenti amplessi notturni su brandine e lettighe. Poi, un giorno, poco prima di convolare a giuste nozze con Silvia, Gianfranco aveva deciso di dare l’addio al suo celibato con Principessa e mi aveva chiesto casa e letto in prestito. Il pomeriggio concordato lui e la sua bella infermiera si erano presentati felici con due bottiglie di una orribile Sangrilla preconfezionata. Fatte le dovute presentazioni ero sul punto di lasciare il campo, ma Principessa, per convenzione o, forse, per coprire il suo imbarazzo, mi aveva chiesto di fermarmi a bere almeno un bicchiere di quell’orribile intruglio. Ci siamo messi seduti sul letto ..sturo le due bottiglie e provo a bere ..è disgustoso! I due piccioncini invece bevono in abbondanza e poco dopo sono completamente andati. Gianfranco in preda a confusione mentale brinda alla fine della sua libertà senza ricordarsi che non aveva annunciato il suo imminente matrimonio a Principessa che scoppia in un pianto dirotto e per mostrargli quanto lo ami si spoglia completamente e inizia disperatamente a fargli una fellatio. La situazione si fa non poco imbarazzante. Gianfranco mi supplica di non lasciarlo da solo in quella situazione da cui non sa come uscirne, non ha più alcuna voglia di fare l’amore con Principessa e non sa neppure come fare a distaccare da se la bimba che seguita a inondare di lacrime e attenzioni il suo pene. Maledico il momento in cui ho detto di si. Cerco in qualche modo di rasserenare la ragazza, ma ottengo l’effetto opposto ..ora è in preda a una crisi di nervi in cui mescola la fine di un amore che credeva eterno a un assurdo senso di colpa ..no fa altro che ripetere “se mia madre mi vedesse ora .. se mia madre mi vedesse ora”

Gianfranco pensa bene di battere la ritirata, accusa un malore provvidenziale e se ne va lasciandomi lì la sua Principessa isterica e in lacrime. Devo trovare una soluzione ..venire fuori ..liberarmi degnamente da una situazione che non ho cercato né voluto. Mi ritrovo così, poco dopo nudo, non senza qualche “inconveniente” del caso, sotto la doccia a sorreggere una ragazza che si dibatte nuda e piangente. L’acqua calda e le frizioni fanno il loro effetto: Principessa si calma. La asciugo, la riporto in stanza e con qualche difficoltà la rivesto. Riesco a farmi dire dove abita. Scendiamo lentamente le scale, i suoi passi sono ancora un poco malfermi e la carico su di un taxi dopo aver dato all’autista 10.000 lire affinché la riaccompagni a casa. Con un gran senso di liberazione vedo la macchina sparire nel traffico, sicuro che non l’avrei mai più rivista. Non è stato così. La mattina dopo me la sono ritrovata davanti il letto ..sorridente, con nessun imbarazzo, era venuta a ringraziarmi per la cura che mi ero preso di lei. Mentre seguitava a tessere lodi che ritenevo ingiustificate (in fin dei conti avevo agito nei miei interessi), iniziò a spogliarsi ..diceva che sotto la doccia aveva visto la mia erezione e aveva apprezzato il fatto che non avessi approfittato del suo stato, quindi, ora, completamente sobria e nel pieno possesso delle sue facoltà, voleva che avvenisse quello che non era avvenuto.

 

-Compriamoci piuttosto una pistola!

-Hu?

-Una pistola qualsiasi ..anche di plastica, purché sia una pistola, ho voglia di avere una pistola in tasca ..poi vedrai

La commessa del negozio di giocattoli ci fissa divertita, probabilmente da come osserviamo le pistole e le calibriamo ha capito che le stiamo comprando per noi e non per un ipotetico nipotino. Siamo nuovamente in macchina, occhiali neri, il bavero rialzato e due cappellacci rincalcagnati sul cranio. Così conciati ci buttiamo a folle velocità nel traffico. Gianfranco tiene la mano pigiata sul clacson ed io punto la pistola fuori dal finestrino contro chi mi viene a tiro per poi sghignazzare nel vedere quelle espressioni di sbigottito terrore. Il gioco ci dice bene: nessun poliziotto c’impiomba. Improvvisamente Gianfranco si rende conto che a correre il rischio di essere individuato è lui, ..la macchina è la sua e, malamente, mi scarica mandandomi anche a fare in culo.

Appena sul marciapiede mi ricompongo un poco ed entro nel primo bar che incontro per bere un Campari. Con abili mosse faccio in modo che la pistola infilata nella cintola dei pantaloni appaia e scompaia. Un vecchio la nota ..mi guarda, poi inizia a fare gesti concitati che crede nascosti al cameriere, vorrebbe forse gridare ..fa smorfie, chi lo dovesse vedere crederebbe che si sia improvvisamente rincretinito. Per farlo tacere mi avvicino a lui quasi minaccioso e lo costringo ad andarsene, forse a chiedere aiuto. Uscito dal bar mi libero in cestino dell’immondizia della mia artiglieria di plastica e con un po’ di carburante in corpo mi avvio verso casa.

 

Attraverso il ponte ..mi fermo incantato a guardare sotto di me l’acqua limacciosa che scorre, i vortici mi incantano ed invitano ..una voce mi distoglie dai pensieri: è Carla che sta andando a ritirare il figlio da scuola (ma cos’è un pacco postale?). Mi chiede se sono disposto ad accompagnarla per un poco di strada ..guardo l’ora  ..e penso di si, non ho programmi. Facciamo insieme a ritroso la strada che ho appena fatto mentre lei mi parla del marito che non vede da mesi e che non le ha ancora spedito i soldi per il mantenimento del bambino. Il mascherone della fontana di via Giulia ci guarda con gli occhi sgranati mentre risaliamo verso Pz Farnese per poi dirigerci nella direzione di Pz del Popolo. Lei seguita a parlare con una certa enfasi, non occorre che io le risponda in modo sensato, ha solo bisogno che qualcuno stia ad ascoltare il suo sfogo. Passiamo accanto ad un distributore di sigarette che protegge il suo tesoro di nicotina con una fitta e pesante rete metallica. Carla interrompe il suo sfogo e guarda quella rete con stupore e mi chiede a chi possa essere venuto in mente di mettere in atto una simile assurdità ..sorrido divertito e le racconto di come quella sera di tanti anni fa, sfuggendo alle cariche della polizia, dal Pincio eravamo capitati lì, in gruppo, con gli occhi rossi per i lacrimogeni e in corpo tanta paura frammista a rabbia, di come i nostri anfibi erano partiti insieme, all’unisono, contro il vetro e di come, poi, quella notte, tutta la piazza aveva fumato sigarette americane gratis alla faccia di Nixon che non aveva potuto nemmeno abbandonare l’elicottero ..mi sento travolgere da quel ricordo, ma ad annacquare l’eroismo di quel momento ci pensa lei, Carla, che con un sorriso innocente e senza malizia mi chiede cosa c’entrasse il gestore di quel distributore di sigarette con Nixon  ..Non so cosa rispondere, alzo le spalle e batto la ritirata.

Ancora con in testa qualche flash di quella notte mi dirigo verso il bar del Fico ..di sicuro là troverò qualcuno. E’ un tragico errore! Il mio rivivere quell’epoca è ammantato di mitologia quasi poetica, e qui, tra questi tavoli ora mi ritrovo circondato da ombre con sciarpe rosse che sembrano non essersi accorte degli anni trascorsi ..anche i discorsi sono gli stessi. Non riesco neppure ad aver voglia di fermarmi e bere tanta è la nausea che mi hanno messo addosso  ..giro sui tacchi e me ne vado. Davanti al Ministero di grazia e giustizia salto sul primo autobus che passa che mi farà attraversare nuovamente il ponte.

 

Qualcuno mi chiama ..mi guardo attorno cercando chi sia, ma non riesco a vedere nessuno

– Non mi riconosci?? ..sono Laura!

Stento un poco ..ma poi ..ma si, Lauretta!. Quanti anni sono passati! L’ho persa di vista che era minorenne ed ora la ritrovo con una vera al dito, quasi irriconoscibile nel suo tailleur grigio e il viso un poco spento.  Mi osserva tra l’intenerito e il divertito

– Non sei cambiato affatto, sempre uguale!   Cosa fai adesso?

..Lauretta, chissà se hai mai rinfacciato a Marina di averci fatto incontrare quel giorno chiedendomi se ero disposto a darti ripetizioni di matematica. Mi ero ritrovato così dentro casa quella bambina sedicenne che pendeva dalle mie labbra senza dare il minimo ascolto alle mie dimostrazioni per assurdo. Era minuta, graziosa ..sempre sorridente e sembrava fare di tutto per mescolare l’innocenza a maliziosa provocazione. L’assurdità l’avevo poi commessa io la sera che, riaccompagnandola a casa in motocicletta, le diedi un bacio che voleva essere di affettuoso saluto e che lei tramutò in qualcosa di più coinvolgente. Ci ritrovammo così, il giorno dopo, non al tavolo con Talete o Pitagora, ma sul letto ad accarezzarci. Ricordo come mi avevano fatto impazzire i suoi timori e le sue paure, il non volere che la spogliassi e la fatica che feci a mettere allo scoperto il suo chicco di caffè dal gusto acre, ma delicato  ..allo stesso tempo però mi inteneriva: ero il primo maschio che vedeva nella sua intimità e scrutava le reazioni del mio corpo con attenta curiosità ..quasi con meticolosità da medico ..dichiarandolo anche. Mentre la osservo mi viene da domandarmi come sia stata la prima volta che ha fatto l’amore con suo marito, visto che noi non l’abbiamo mai fatto,  ..già, non abbiamo mai fatto veramente all’amore, non solo perché da un lato temevo di essere denunciato da sua madre che seguendola sin dentro lo studio del ginecologo vegliava attenta sulla sua purezza e verginità, ma anche perché non volevo bruciare un momento importante della sua vita. Mi chiedo se riesca a lasciarsi andare e dare le giuste interpretazioni alle reazioni del suo corpo, non come quella volta che pianse disperata perché aveva scambiato la naturale lubrificazione per rottura dell’imene. Con la fine della scuola era andata in vacanza da suo cugino e scoprì di essere più attratta da un coetaneo che non da un uomo che aveva quasi 6 anni più di lei ..il nostro lasciarci fu sereno, senza alcun trauma per nessuno dei due ..lo vedo anche da come mi parla ora. Lauretta seguita a raccontare le delusioni della sua vita coniugale come se si trattasse di un romanzo d’appendice ed io la osservo e mi domando se mi andrebbe di fare l’amore con lei ..si, mi andrebbe, ma non lo farei comunque. Non lo farei perché sarebbe una cosa ibrida, non chiara, ambigua. Che significato avrebbe? Vorrebbe forse essere un tornare indietro nel tempo e, nello spazio di una mezz’ora rubata, fingere che nulla è cambiato? Dire a noi stessi che siamo come allora? Sarebbe solo follia sperare in una simile eventualità! Non siamo più quei due ..siamo un’altra cosa. Allora cosa? Affermare che il nostro fare l’amore sarebbe come quello di un uomo e una donna che s’incontrano casualmente in uno scompartimento di un treno, che senza alcun motivo si sono guardati e si sono  piaciuti e che in silenzio sono scesi alla prima stazione che sia capitata sul tragitto e si sono uniti in un amplesso di passione senza sapere nulla l’uno dell’altra ..neppure il nome e poi, per non falsare l’eccezionalità del fatto, si sono lasciati in silenzio per non rincontrarsi mai più? No, neppure questo potrebbe essere ..non possiamo fingere di non sapere chi siamo ora, ..chi siamo stati tempo fa. Allora fare all’amore solo perché siamo stati bene insieme? Perché esiste ancora tra noi un affetto sottile che ancora ci lega? Questo si che potrebbe essere possibile, ma non ora, non oggi, almeno non per lei che è debole e lo vivrebbe come una fuga e non come una passeggera trasmissione di sentimento. L’unica possibilità che ho è questa che sto vivendo ora: che lei racconti e si sfoghi e che io la stia ad ascoltare ..nulla di più. Ad interrompere i miei pensieri ci pensa l’autobus che arriva ..un bacio appena sfiorato e salto sul mezzo.

 

 

 4

Eccomi di nuovo davanti alla macchina da scrivere con la testa completamente vuota. Non ho mai creduto al sacro fuoco dell’arte, alla ispirazione improvvisa cui non si riesce a porre freno se non con la creatività ..al massimo può esserci un sentore ..una percezione ..un’idea ..il resto è solo routine.

Mi piacerebbe avere accanto una donna, una donna che mi stia ad osservare, non in contemplazione, ma in comunione, una donna da abbracciare e stringere quando ne ho il desiderio, che se allungo una mano verso di lei ..incontro la sua che nello stesso istante si sta muovendo verso di me, una donna cui posso raccontare speranze e incubi ..una donna da amare. Con accanto una donna simile mi sarebbe forse meno difficile dare un senso alla vita e con maggiore naturalezza riuscirei a inventare storie da raccontare a me, a lei,  ma è inutile stare a fantasticare, non c’è, è un dato di fatto, non posso fare altro che prenderne atto. Osservo sul muro un ragno che tesse la sua tela ..anche lui presto si metterà in attesa, ma mentre per lui è naturale, rientra nella sua natura aspettare nascosto, non dovrebbe esserlo per me!  Mi rendo conto di essere caduto nella mia stessa rete, di inseguire un motivo superiore che dia un senso al tutto, di non accontentarmi di ciò che vedo nel ristretto specchio che ho di fronte ..forse è più saggio il ragno, non si pone domande, ..capita in un luogo ..li si ferma ..non cerca altri orizzonti, tesse con matematica precisione la sua tela ed aspetta attento che qualche cosa faccia vibrare la sua trappola.

 

Squilla il telefono ..è Michele, mi propone di andare insieme ed alcuni suoi amici a sentire un concerto jazz in non so quale scantinato ..lui ci va per lavoro, deve fare una recensione sul giornale per il quale scrive. Sono combattuto: non ho voglia di vederlo e sentire le sue infinite prediche e rimbrotti. Nonostante sia molto più giovane di me si comporta come un fratello maggiore o, peggio, come una suocera che, preoccupata per il futuro della figlia, striglia il genero scapestrato che non ha battezzato i figli e che non si decide a trovare un posto fisso. Prima che io abbia il tempo di dire si o no, Michele si raccomanda che io sia vestito in modo decente, che non mi metta la prima cosa che mi capiti a portata di mano perché lui ha una reputazione da difendere  ..lui si che è uno con la testa a posto, niente alcool, lavoro stabile e famiglia normale. Questo predicozzo estemporaneo fa aumentare in me il senso di ostilità nei suoi confronti e verso l’uscita in gruppo, ma, alla fine, cosciente che trascorrerei il resto della serata, se non al bar, ad osservare con un infinito senso di colpa il foglio bianco di fronte a me, decido di andare …l’appuntamento è per le 21. Riattaccato il telefono guardo l’orologio ..sono le 17, troppo presto per prepararmi ad uscire e troppo tardi per cercare di fare qualcosa al tavolino …mi preparerò e poi andrò al bar della piazza ad aspettare l’ora giusta per muovermi.

Ad un tavolo, circondato dai suoi fidi, c’è Armando, da lontano mi fa gesto di andarmi a sedere con loro ..è una grande concessione. Hanno da poco fatto uno “strappo” e mi mostra fiero una Hassemblad da sballo ..mi chiede se la voglio, me la darebbe anche per poche lire, su di me non vuol fare guadagni eccessivi. Lo ringrazio del pensiero ..e parliamo d’altro.  È uno strano rapporto quello che ci unisce: io so cosa fa lui  ..lui sa cosa faccio io  ..non ci pestiamo i piedi, ci si saluta e a volte si mangia qualcosa insieme alla bettola dietro la piazza. Tutto è iniziato circa un mese dopo che io mi ero trasferito in questo quartiere. Lui e i suoi “ragazzi” mi avevano visto più volte sedermi al bar ..avevano capito che non ero di passaggio e avevano deciso di sapere chi fossi. Così una sera, con un fare un poco minaccioso, mi avevano fermato, quasi circondato, e intimato di portarli a casa mia, dovevano capire chi fossi, vedere dove e come vivevo ..valutare il mio tenore di vita e se ero pericoloso. Appena furono dentro casa fecero un giro d’ispezione commentando poi “Ma qui hai solo della merda ..non c’è nulla di valore!” ..era il segnale che non ero un informatore e neppure una potenziale vittima. La mia disponibilità nei loro confronti aveva rotto la diffidenza iniziale ..ma un altro fatto segnò l’inizio della fiducia e frequentazione. Alcune sere dopo il loro giro d’ispezione a casa mia, verso le 23, prima di mettere fine alla giornata, mi ero reso conto di essere restato senza sigarette e così mi ero diretto con passo veloce verso la macchinetta automatica ..imboccato una scorciatoia poco illuminata mi ero visto tagliare la strada da una pantera della polizia. Dal modo con cui mi bloccarono ogni possibilità di fuga si capiva che stavano cercando proprio me. I quattro agenti scesero con le armi in pugno e, senza troppi complimenti, mi spintonarono dentro la macchina che, a sirene spiegate, partì sgommando verso il commissariato di zona. Mi sono ritrovato così poco dopo dentro una camera di sicurezza senza sapere né il come né il perché fossi stato fermato. Chiedo di poter fare una telefonata ..la cosa mi viene negata. Verso le tre inizia una processione da film giallo di terzo ordine: due poliziotti, il primo, molto giovane, segaligno ed irascibile ed un secondo, più anziano, grassoccio e flaccido, si alternano nel farmi frequenti visite nella cella. Il giovane lo sento ogni volta arrivare da lontano, pare che lo faccia apposta, passo deciso, calcato. Dopo essersi fermato davanti alla porta fa trascorrere alcuni lunghi secondi poi apre di scatto lo spioncino della cella e sbraita una sequela di parole diverse il cui senso è uno solo. “Domani ti portiamo a Regina e allora si che parlerai, cazzo se parlerai” ..quindi se ne va sbattendo lo sportellino. Poco dopo arriva l’anziano, il grassoccio, lui quasi bussa ..entra nella cella ..si guarda attorno circospetto, si siede sul lettino di cemento e sottovoce, per non farsi sentire da eventuali altri, mi raccomanda di aiutarlo, di metterlo nella situazione di evitarmi situazioni ancora più spiacevoli, in pratica di dire tutto a lui, così non rischio di cadere nelle mani del giovane che mi vuole solo male, mentre lui potrebbe essere mio padre. In una delle tante ”amorevoli” visite mi porta anche del caffè e una coperta lercia, scusandosi, ma ha trovato solo quella. Questa pantomima durò sino alle 6 mattina, ora in cui fui rilasciato senza alcuna spiegazione e con l’invito a non tentare alcuna azione legale per il fermo irregolare ..tanto nessuno ne sapeva qualcosa né esistevano prove.

I quartieri sono paesi e il fatto fu risaputo, tanto che la sera stessa Armando mi si avvicinò mentre stavo al bancone del bar e, dopo aver dichiarato ad alta voce che sarebbe stato lui a pagarmi il caffè, dandomi una pacca sulla spalla che sanciva a tutti gli astanti la nostra amicizia, aveva sentenziato:

– Se la prossima vorta te porteno a Reggina e te fanno sede ..nun volè capì, piegate in avanti, coprete la faccia e aspetta la sgragnolata de colpi   ..nun te preoccupa’ d’artro ..sappi che fori c’è so li amichi”.

 

Arrivano le 8 e mi ritrovo in un locale denso di fumo. Sono riuscito ad entrare senza problemi grazie ad una tessera di giornalista della Prensa Latina, dono più o meno cristallino di Juan, una tessera che, conoscendone la farloccaggine, uso raramente, solo per entrare gratis nei locali pubblici in occasione di spettacoli. Il pubblico è formato per lo più da persone adulte che vogliono dare l’impressione di essere grandi intenditori e ciascuno decanta all’altro il disco chicca che ha trovato non so in quale bugigattolo.  Arriva Michele, è un poco contrariato dal fatto che io sia riuscito ad entrare senza il suo contributo, ma non lo da a vedere tanto è impegnato a fare gli onori di casa alla coppia che ha portato con se. Sono un lui e una lei di Milano, dall’età indefinibile e parlano con la erre arrotondata, dove tutto è fantastico e inusuale. Sorrisi falsi e forzati, nessun punto di contatto, parole smozzicate, discorsi che rimangono sospesi ..il tutto molto faticoso. Per loro sono un suo vecchio amico, una persona molto meglio di quello che vorrebbe far credere di essere ..fortunatamente inizia il concerto. Il jazzista è uno sminchionato che suona il sassofono ..l’unica cosa che trovo ammirevole in lui è che mentre suona in contemporanea riesce a grattarsi anche le palle, ma alla lunga lo spettacolo di suono e grattamenti di palle mi dà alla nausea e con la scusa di avere bruciori di stomaco dico a Michele che vado a mangiare qualche cosa al baretto annesso al locale  ..la “suocera” non si fa sfuggire la ghiotta occasione e, con disappunto, informa i suoi amici di quanto io lo faccia penare col mio stile di vita.

Seduto al bar bevo martini-vodka ed aspetto che l’happening si concluda. Finalmente alle 23 siamo fuori da quella calca. Con quel passo stanco a strascicato tipico delle comitive di amici che non sanno bene cosa fare giungiamo sino alla macchina di Michele che, investitosi della carica di gran cerimoniere si volta verso di me:

-Di un po’, tu che sei della zona ..dove si può mangiare a quest’ora qualcosa che non sia velenoso?-

-Bha! ..vista l’ora,- rispondo -direi l’Obitorio, il Sudario ..poi ci sarebbero anche Al cadavere o il Cassamortaro. Ora, l’Obitorio in realtà è una pizzeria che ha tutt’altro nome, ma nella zona viene chiamato così da tutti sia perché rimane aperto sino alle ore piccole, sia perché è completamente in marmo bianco e freddo ..anche i tavolini. Il suo aspetto non è certo allegro, ma si mangia bene e si spende poco: non esiste il coperto, niente tovaglia, ma freddo marmo. Il Sudario ha effettivamente questo nome, sta in via del Sudario, dietro il teatro Argentina. Lì spesse volte ci sono andato a mangiare con Vittorio alle due di notte per smaltire il nervosismo di un esame all’indomani ..esame che poi, puntualmente saltava, visto che dovevamo smaltire la sbronza presa la sera prima. È un locale strano, potrebbe ricordare per l’assurdità dell’arredamento la sala da pranzo degli alberghi di paese: stile danese impellicciato di infimo ordine. Non si mangia male, è pulito e porzioni abbondanti, tanto da essere il ritrovo, a fine spettacolo, per le compagnie teatrali di secondo ordine e di un pubblico nottambulo meno “culturalizzato”, ma, non per questo, non caratteristico: uomini in gessato e cravatta chiassosa (probabilmente magnaccia), accompagnati da donne imbellettate con ostentazione su tacchi a spillo dall’altezza strepitosa e instabile. Si, lo riconosco il Cadavere e il Cassamortaro non sono in zona e li ho aggiunti per fare colore, ma esistono veramente! Il Cadavere si trova sulla via Flaminia e ha questo nomignolo perché grande “maitre” del locale, con funzioni di factotum (da cameriere a cassiere) è un “essere” magrissimo, quasi scheletrico, che si muove tra i tavoli velocemente e parla con una voce bassa e impercettibile  ..invece il Cassamortaro sta di fronte al Verano, è una bettola senza nome e viene chiamata così da tutti sia per il luogo che per struttura del locale, stretto, lungo, buio e con poca aria ..pressoché una bara. Non ho fatto a tempo a indicare come papabili questi luoghi ameni che in men che non si dica mi ritrovo da solo in mezzo alla strada. Gente di poco spirito! Forse si sono lasciati impressionare anche dal mio abbigliamento: un completo in velluto nero con fodera rossa fuoco ..non me lo sono acquistato io, mi è stato lasciato in dono da Jean-Pierre, poco prima che tornasse a Parigi, ..era ingrassato e non riusciva più ad entravi dentro.

Mi incammino verso casa.  Strada facendo incrocio un telefono a gettoni stranamente non rotto e mi ricordo che in segreteria telefonica avevo trovato un messaggio di Ivan che mi invitava ad andare ad una festa ..lasciandomi un numero di riferimento e, cosa strana, forse una precognizione, lo avevo appuntato prima di uscire. Chiamo. La festa è finita da tempo, ma c’è ancora qualcuno che non ha voglia di levare le tende, così decido di andare. Dopo aver svegliato uno stralunato portiere e aver fatto finta di essere uno straniero per non farmi coprire d’insulti, mi ritrovo in un piccolo appartamento ove si respira aria di fine festa: odore di fumo stagnante, bicchieri e piatti sporchi sparsi ovunque. Ivan fa le presentazioni: è chiaro che a nessuno frega qualcosa, ma ugualmente ci si scambia strette di mano, si fanno cenni col capo e si accennano mozziconi di sorrisi.

Con in mano il mio bicchiere di vino di quart’ordine mi sprofondo in una poltrona ad osservare l’eterogeneo pubblico. La padrona di casa è una rossa esuberante che ride con voce fastidiosamente squillante e fa battute a raffica pur di non dare la parola “fine” alla serata. Gli altri festaioli sono tutti più o meno giovani che parlano di santoni indiani, presunte rinascite spirituali e diete a base di yin e yang per purificarsi corpo e spirito …come colonna sonora di sottofondo i Pink Floid. Trascorsa circa un’ora avviene un secondo esodo di massa e restiamo in otto. La rossa, in un momento in cui tutto tace, si avvicina a me e, sedendosi sul bracciolo della poltrona, mi mette sotto il naso la sua esuberante latteria.

-Chi sei? ..Cosa fai? ..Quanti anni hai?-

-Se intendi dire cosa faccio ora? ..sto qua, se invece vuoi sapere cosa io faccia nella vita …è una domanda che spesse volte mi sono posto io stesso senza trovare risposta. Chi sono? ..anche questa è una domanda difficile, ..ma per quanto riguarda l’età ti posso rispondere in tutta tranquillità: ho trent’anni-

-Te li porti male!

Azzo, io ho bluffato aggiungendomi anni a sproposito per sentirmi dire “Però, non lo avrei mai detto!” ..e invece questa stronza mi dice che li porto pure male! E non serve che Ivan sottolinei che però sono uno che vive e ha vissuto molto intensamente ..la rossa è ferma sul suo parere: li porto male! Mai più dirò anni in aggiunta, semmai taccerò  Dopo un poco la rossa, che non si è più mossa dal bracciolo della mia poltrona mi incita a ridere un poco, a non essere troppo serio e funereo e, per aiutarmi in questa fatica, accenna a farmi del solletico. Io cerco di scansarmi, ma serve a poco, abbandonato il solletico la rossa inizia a toccarmi in modo smodato ..io credo di capire cosa possano provare le donne quando vengono infastidite da attenzioni che non gradiscono. Si, è vero, io posso anche avere la voglia di fare l’amore, ma non di farmi scopare brutalmente, poi la rossa non è neppure il mio tipo. Ivan, che ha lo strano dono di non sapersi fare i fatti suoi, abbandonando per un attimo le attenzioni che elargisce alla ragazzina di buona borghesia che si è fatta irretire dall’artista maledetto, mi guarda con sfottente ironia..

-Hei Chico! Tu dici sempre che vorresti fare all’amore ..vero?

-Si

-..e se una donna te dicesse “’namo a scopà” ..che faresti?

-..Penso che scapperei.

– E se te dicesse “Sposami” ..Chico?

– Scapperei ugualmente

– ..Vaffanculo Chico! ..Che cazzo vuoi??

Anche lui ha ragione.  Che cazzo voglio? Voglio che una donna che mi piace e che mi stia bene mi avvicini, che con dolce fermezza mi comunichi tutto il desiderio che prova nei miei confronti e metta in fuga i miei timori. Una donna allo stesso tempo santa e puttana, dolce e decisa, bambina e adulta, casta e disinibita, moglie e amante  ..una donna che permetta alle mie fantasie di uscire dalla mente e trovare in lei il giusto e unico porto di approdo  ..una donna che sia la rappresentazione unica di tutti i miei sentimenti e pulsioni ..una donna che con pudica sfrontatezza mi sapesse comunicare il suo desiderio di me, del mio sesso. Che sapesse esprimere il suo desiderio di tenerlo tra le sue labbra e provasse un piacere quasi incontenibile nel sentirlo crescere sempre di più sino ad esplodere nella sua pioggia multicolore  Che mi dicesse che desidera sentirlo su di se, su ogni centimetro del suo corpo, dentro di se, ovunque, anche negli scrigni più inconfessati e provasse piacere alla sola idea di essere inondata dal mio seme..  Mi piacerebbe poi sentirla fremere ai miei baci e carezze sulle sue parti intime che mi ha donato e sentirla chiedere, quasi implorante, di entrare in lei con dolce irruenza per poi raggiungere insieme, nel ballo corporeo avvolgente, il culmine. Di certo voglio troppo!

Per altre tre ore circa cerco di fare capire alla rossa il mio punto di vista, che non è il mio tipo e che non sono disposto a farmi strumentalizzare, ma non mi capisce o finge di non capirmi o, ancora, lei sa bene cosa vuole e sono io a non saperlo. Le altre coppie sono allacciate in caldi abbracci che lasciano facilmente intendere a cosa mirano e, alla fine, viene deciso alla unanimità che si trascorrerà tutti il resto della notte lì, il letto grande è sufficientemente grande per accogliere 8 persone ..è un letto artigianale, fuori misura. Mentre le donne si sono allontanate insieme lasciando noi uomini incustoditi, Ivan mi si avvicina e sottovoce mi sibila una sorta di preghiera-ricatto:

-Chico ..non fare male alla mia amica ..è triste, si è separata da poco dal marito, ha bisogno d’amore ..non le fare del male.

Quando ci disponiamo sul letto, nemmeno a farlo apposta, mi ritrovo vicino alla rossa. Le luci vengono spente, lasciando solo un tenue lume. Trascorsi pochi istanti le altre coppie sono già allacciate ..io, con un poco di sforzo, memore della preghiera forse interessata di Ivan, allungo la mia mano verso il culo della rossa. Il mio deve essere un tocco “freddo”, senza trasporto, sta di fatto che con delicatezza la mia mano viene riportata al luogo da cui era partita. Con un sospiro di sollievo osservo il soffitto e mi chiedo perché diavolo mi sia fatto imbastire in questa situazione, ora potrei essere si da solo, ma nel mio letto, in un luogo più mio, in una tana che sento meno estranea. Trascorre del tempo, non so dire se ore o minuti, poi, improvvisamente, sento una mano che si poggia sul mio sesso ..una mano che poi si allontana e fa capire alle mie mani che non devono spostarsi da dove si trovano, devono restare immobili ..poi torna sul sesso e apre la cerniera a lampo. Quello che provo è una strana sensazione, un frammisto di imbarazzo e meccanicità. Anche l’eiaculazione finale non è un vero godimento, ma un senso di liberazione da una situazione di costrizione che non ha nulla a che vedere con ciò che provo quando mi masturbo. Torno ad osservare il soffitto con cresciuto senso di inadeguatezza. Mi alzo e, scavalcando i corpi degli altri allacciati ed ansimanti, vado in bagno. Dopo essermi lavato mi guardo allo specchio e decido che ormai, visto che sono in piedi, posso anche andarmene da quella casa ..non credo che qualcuno potrà prendersela a male, neppure la rossa ..anzi, forse, anche per lei la mia sparizione sarà fonte di sollievo.

Sono finalmente all’aperto ..di nuovo in strada e l’aria fresca della notte mette in fuga lo stordimento del vino. Attraverso a piedi molti quartieri e sogno di mettere a sacco la città che dorme. Mi domando perché la festa sia avvenuta così lontano da casa mia e perché non accada mai in questi casi che passi un taxi quando lo si cerca. Giungo alla via che mi porterà a casa mia, oltre il Tevere, in un quartiere malfamato, ma per me al sicuro. È una strada strana, lunga e stretta, costellata da una ventina di cestini per i rifiuti in ferro. Inspiegabilmente sono tutti stracolmi e passando accanto ad ognuno di essi vi getto dentro un fiammifero acceso ..poi, dal ponte, osservando lo scenario della strada illuminata dai bracieri maleodoranti mi sento una specie di imperatore romano. Sta iniziando ad albeggiare. Attraversato il ponte incrocio un’edicola ancora chiusa che ha depositati davanti i pacchi di giornali ancora umidi di stampa. In uno slancio di onestà proto-inglese tutt’affatto che “romana”, lascio su di un pacco una manciata di monete e prendo alcuni giornali ..se ad essere derubato fosse stato l’editore non avrei esitato a non farlo, ma sarebbe stato un edicolante incolpevole, per di più incavolato per la levataccia. Col mio gigantesco pacco di giornali sotto il braccio entro in un bar per mattinieri. Sono vestito da sera e tra operai in tuta e manovali esterrefatti che stanno bevendo cappuccino e mangiando cornetti caldi ..ordino un Bloody Mery.

Finalmente giungo a casa. Senza spogliarmi mi butto sul letto circondato dai giornali, l’odore di stampa m’inebria, è quasi sensuale e, soddisfatto di trovarmi in un luogo che sento mio, prendo sonno.

 

 

 5

Spesse volte mi sono seduto al tavolino a fissare il foglio bianco attorcigliato sul rullo della macchina da scrivere. Lui se ne sta là, immacolato e sghignazzante ..ed io a guardarlo con l’occhio allucinato. Oggi è una giornata di quelle. In questi momenti mi chiedo se non sia meglio “scrivere” fogli bianchi e che tutto il resto vada in malora ..qualsiasi cosa venisse “letta” andrebbe bene. Non solo! Ammesso anche che una sorta di idea dovesse affacciarsi tra le meningi, anche quella faticherebbe a trovare una forma che potesse fissarla ..è molto raro che le parole siano capaci di tradurre le immagini mentali ..il più delle volte le banalizzano ..meglio il silenzio. Continuo a fissare il foglio e mi arrotolo una sigaretta per guadagnare tempo.  Squilla il telefono

.-Ahoò! ..Bhe?

-Bhe cosa?-

-cazzo fai?

-Fisso

..poi Vittorio viene al dunque e mi propone un buon programma per riempire tutta la giornata. Per prima cosa di accompagnarlo a Frascati a prendere una macchina che un suo amico gli da in prestito ..poi di aiutarlo a fare un piccolo trasloco, in cambio mi darà una bottiglia di Tullamore Dew. Nel giro di una ventina di minuti mi ritrovo con Vittorio nella  macchina di Maurizio sulla strada per Frascati. Maurizio, dopo avermi salutato con la sua consueta domanda (“Cosa ti sei preso oggi”) si sprofonda con Vittorio in una discussione infinita su di un problema di topologia  ..mi addormento. Quando mi sveglio siamo già all’interno del cortile del Centro nucleare e Maurizio sta mostrando a Vittorio la Bianchina familiare che dovremmo riportare a Roma. Un saluto da lontano e scompare oltre una porta di ferro. Mentre mi accomodo sul sedile un poco rigido della Bianchina Vittorio mi informa che dovremo fare un poco di attenzione: i freni della macchina non sono al top ..a volte danno piccoli problemi  ..Ok ..mette in moto e andiamo. Appena usciti dal paese affrontiamo una bella discesa ..la macchina acquista velocità ..vedo l’espressione di Vittorio mutare ..la macchina va sempre più veloce  ..alla fine Vittorio lascia il volante e mi afferra il ginocchio gridando:

-Cazzo! ..Altroché difettosi! ..Questa non frena affatto!

Un piccolo dosso ferma la corsa. Ok ..ora sappiamo ..marce basse e poca velocità. Il problema ci si presenta ogni volta che giungiamo nelle prossimità di un incrocio, ma la questione viene risolta girando a destra anche se non necessario e poi facendo conversione e riprendendo il tragitto prefissato.  Questo sistema di viaggio ci fa prolungare un poco il tempo necessario, ma funziona.

Giungiamo finalmente vicino al Circo Massimo ..siamo vicinissimi alla casa di Vittorio e tutto è filato liscio. Davanti a noi c’è un semaforo rosso con due macchine ferme. Preghiamo che il verde scatti ..nulla e, lentamente, flosci flosci, andiamo ad infrociare su di una macchina lucente, bellissima e nuova, fracassandogli il fanalino di coda. Il conducente scende dall’auto. E’ un anziano elegantissimo, è allibito, non capisce come possa essere accaduto, si guarda attorno cercando qualcuno che possa aiutarlo, quasi balbetta “ma ero fermo li da tempo ..come può essere accaduto?” ..noi ci guardiamo bene dal renderlo edotto sulle cause del tamponamento. Pasticciando scuse incomprensibili Vittorio gli ammolla 20.000 lire per risarcimento immediato purché non chiami i vigili e quello, soddisfatto, ma non per questo meno sbigottito, risale in macchina e se va. Ora appare chiaro che non sarà il caso di usare la Bianchina per il trasporto e, posteggiata l’arma a motore prendiamo un taxi.

Mi ritrovo così dopo trenta minuti di nuovo nei pressi del Circo Massimo, dentro a un taxi, con legato malamente sopra la testa un mobiletto pesantissimo, con dodici assurdi cassetti che fanno un fracasso indemoniato. Per fortuna il tassinaro è una persona di spirito ..un mezzo sangue greco-italiano e in Grecia sono abituati a trasporti del genere. Già all’andata, quando lo informiamo del futuro trasporto non fa troppe domande, ma si assicura di avere sotto il sedile una corda robusta ..poi sulla strada del ritorno, nel dire come sia abituato a fare trasporti strani, ci racconta una storia delirante che ha visto coinvolti lui e suo fratello. La madre era venuta a trovare lui e suo fratello in Italia in occasione del proprio compleanno e la sera, dopo un pasto sontuoso e pesantissimo, aveva pensato bene di schiattare ed era morta felice.  I due fratelli, memori che l’anziana aveva chiesto di essere sepolta accanto al marito, si erano dati da fare per avere le carte necessarie al trasporto della salma ..nel frattempo la madre era stata depositata in uno scantinato con l’ausilio di ghiaccio comprato all’ingrosso ..sarebbe stata questione di pochi giorni. Giunse il momento in cui tutto era pronto e lui e suo fratello, per risparmiare sui costi di un carro funebre, decisero di provvedere loro. Per non dare nell’occhio, mettono la cassa con i resti della povera madre dentro una cassa normale più grande e il tutto lo fissano sul portabagagli della loro macchina. Si erano poi diretti verso Brindisi per prendere il traghetto. Ma faceva caldo ..il viaggio era lungo e, giunti all’altezza di Caserta decidono di fermarsi ad un autogrill. Quando belli satolli ed alticci tornano al posteggio scoprono che la macchina era stata rubata con bara e tutto. La questione che più li seccava non era la perdita della macchina, ma l’incognita di quale fine avrebbe fatto la loro povera madre e di come fare la denuncia. Chiamano i vigili e giocando sul fatto di essere “stranieri” restano nel vago e denunciano il furto di  “Macchina di scarso valore commerciale con cassa contenente oggetti di valore fortemente affettivo, ma non monetizzabile” Cosa strana per l’Italia, ma forse no per il caso specifico, la macchina fu ritrovato due giorni dopo in un bosco. I vigili chiesero ai due se volevano fare controlli sugli oggetti di valore affettivo ed esporre denuncia se erano stati manomessi ..si capiva che la cassa di copertura era stata aperta e poi richiusa in tutta fretta, ma i due greci assicurarono la polizia che non era necessario fare controlli ..che tutto andava bene così.  Appena i vigili si allontanarono aprirono la cassa, diedero una sistematina alle spoglie che avevano subito qualche sobbalzo e, felici, ripresero il loro viaggio verso Atene con la madre sopra la testa e la promessa che alla prossima sosta per rifocillarsi uno dei due sarebbe restato sempre accanto alla macchina.  La cosa che ancora oggi seguitava a divertirlo di più era pensare alla faccia dei ladri quando avevano scoperto di aver rubato un morto.

 

Prima di affrontare le scale con il peso sul groppone e rischiare di ruzzolare giù ad ogni passo ci beviamo due Campari al baretto sotto casa. Il trasporto è meno impegnativo del temuto, in più Vittorio concede a me il privilegio di andare avanti, il che significa di avere meno peso. Dentro casa, a lavoro ultimato, ci sediamo in terra sulla moquette a osservare il nostro lavoro e rivangare il pericolo corso con la Bianchina “bountykiller”. Tra un discorso e l’altro riemergono anche i giorni in cui abbiamo abitato insieme nella stessa casa di Trastevere, quella dove io sto tutt’ora, e le notti trascorse a rincorrere i bar notturni per berci una birra ghiacciata. Sembriamo due vecchi, nelle nostre parole c’è rimpianto per un mondo che sembra destinato a sparire molto velocemente ..locali dove siamo stati e che hanno lasciato il posto a jenserie, anche Noteghen, una delle nostre mete preferite, non è più quello di allora, oggi è diventato un bar rispettabile con orari rispettabili.

Quando scendiamo per berci l’aperitivo che ci aprirà lo stomaco agli hamburger in programma e la mente ad ideare come trascorrere il resto della serata è già notte. Al terzo Campari Vittorio si ricorda improvvisamente di aver promesso alla figlia che l’avrebbe portata al cinema. Cerca di convincermi ad unirmi a loro ..non mi va, allora compra la bottiglia di Chianti che avrebbe dovuto aiutarci a mangiare gli hamburger e me la da insieme a quella di whisky pattuita sin dall’inizio.

Cammino veloce con le bottiglie in tasca del giaccone, una per parte, evitando i passanti ..a mia volta evitato. C’è nebbia e ho freddo. Attraverso il ponte ed osservo l’acqua scura che scorre sotto di me. Ho una gran voglia di cambiare tutto quello che mi circonda. È un’ora qualsiasi di un giorno qualsiasi ed io sto tornando a casa con tanto alcool in corpo quanto basterebbe per sbronzare tre persone. Nessuno mi aspetta ..ed io non aspetto nessuno.

 

La bottiglia stappata giace sull’unico calorifero di casa in attesa di sprigionare tutta se stessa, un disco gira, io e la mia mente esplodiamo di piacere. Mi siedo sullo spigolo del letto, la macchina da scrivere sulle ginocchia e scorre un racconto. Accanto al letto la bottiglia giace vuota. E’ notte fonda. Esco e prendo la moto ..farò un giro.

Tutte le strade sono deserte, deve essere molto tardi ..c’è molto silenzio e posso udire anche da qui il rumore della fontana della piazza. Penso che mi avvicinerò al suono dell’acqua che cade con lunghi giri tortuosi, rendendo più lungo e sofferto il momento in cui volterò l’ultimo angolo e verrò assalito dal fragore che mi farà barcollare e sentire vivo come dopo un orgasmo. Non so se in questi momenti sono felice, avverto solamente un grande desiderio di abbandonarmi a questo stato e aspettare l’alba. Entro nella piazza a passo d’uomo ..il motore sembra quasi cantare, lo faccio girare lentamente. Improvvisamente mi si mette davanti una ragazza che mi costringe a fermarmi. Mi chiede se a quell’ora di notte c’è un posto dove possa andare mangiare (credo che prima o poi aprirò un servizio di assistenza affamati notturni) dico di si: il Sudario. Per correttezza l’avviso che però a quell’ora è un posto poco raccomandabile per una ragazza da sola ..mi chiede se l’accompagno e se sono disposto a farle compagnia. Accetto, tanto ormai il canto del motore e della fontana è stato interrotto dalle nostre parole.

Mi siedo di fronte a lei che ordina per se un piatto di penne all’arrabbiata ..io chiedo solo un bicchiere per prendere parte allo svuotamento della bottiglia. Vengo così a sapere che è scappata da una festa dove non si sentiva a suo agio, dove aveva lasciato un gruppo di amici a cazzeggiare del più e del meno e che, sicuramente non si saranno neppure accorti della sua sparizione. Non è una scapestrata, deve avere più o meno la mia età. È graziosa, ha un lavoro serio, una casa, ed è abbastanza soddisfatta della sua vita. Io fatico un poco a parlare di me, non so cosa dire, non ho nulla da dire ..l’unica confessione che riesco a fare è di denunciare apertamente che sto scivolando progressivamente verso una impotenza totale ..anche sessuale. Finita la cena mi offro di accompagnarla a casa in moto ..lei accetta ben volentieri. Passiamo sotto casa mia ed io, senza malizia o secondi fini, mostro con una mano una finestra in alto e dico di abitare lì, dietro quella finestra, in un sottotetto ..lei mi chiede di fermarci e farla salire.

Appena entrato metto sul piatto del giradischi “Through the past darkli”, dei Rolling Stones, un LP che mi ha accompagnato in un viaggio acido, e mi scuso per il mio assentarmi un attimo al fine di scaricare un poco di acqua. Quando torno in stanza vedo come prima cosa i suoi vestiti in terra, girando lo sguardo la colgo sotto le lenzuola con un sorriso lieve sul volto. Spengo la luce centrale, lascio acceso l’abajour, sollevo il braccetto del giradischi, quello che lo farà girare il disco all’infinito, mi spoglio nella semi-oscurità e m’infilo tra le lenzuola già tiepide ed accoglienti.

 

Quando sta per albeggiare la sento avvicinarsi a me con dolcezza..

– Per fortuna avevi detto di essere impotente! Devo andare, tu non ti alzare, faccio tutto da sola. Non credo che ci rincontreremo nuovamente, apparteniamo a due mondi diversi, ma è stato tutto bello e dolce ..serberò un bel ricordo di questa notte, sarai sempre con me …ciao.

Si, sicuramente rimarrà un ricordo bello, anche se legato ad un evento isolato, passeggero e fulmineo ..sarà bello. Non ho provato lo stesso disagio che sentii quella mattina che mi capitò di svegliarmi con accanto una ragazza incontrata chissà dove, trascinatami dietro chissà come, e per di più grassissima, che la mattina seguente era piena di attenzioni e richieste di affetto per un me che, invece, cercava di sfuggire e negava a se stesso che qualcosa potesse essere accaduto tra di noi. No, non proverò lo stesso disagio a non saper spiegare in modo razionale il come potesse essere accaduto tutto. Nel mio dormiveglia non desidero cercare motivi e ragioni, so solo, e mi basta, che è stato naturale, non calcolato, non cercato. Ci siamo incontrati per caso mentre ognuno di noi due vagava per conto proprio, forse sfuggendo a una situazione che non ci piaceva, ma non per questo stavamo cercando rifugio da qualche parte. Abbiamo sentito a pelle che potevamo fidarci l’uno dell’altra ci siamo denudati psicologicamente senza frapporre diaframmi, difese. Su cosa si sia basata tale fiducia non è dicibile, non può essere ipotizzato, è stato e basta.. Poi, semplicemente, come se fosse stata la sola giusta, vera ed unica conseguenza ci siamo donati l’uno all’altra in una unione intensa e fulminea che seguiterà a vivere, vellutata, per sempre, in un luogo della mente destinato a lei fin dalla nascita, pronta a riaffacciarsi di tanto in tanto, improvvisamente, con tutta la sua forza, con tutta la sua dolcezza.

 

 

 6

Fa molto freddo. Mi sveglio per il freddo che entra dalla finestra che devo aver lasciato aperta ieri sera in uno slancio di calore.  Non è il caso di scoprirsi troppo e mi vesto dentro il letto.  Seduto sopra il termosifone mi bevo una birra ghiacciata, ..il culo al caldo e il gelo in bocca, se fosse il contrario sarebbe un casino e per di più disgustoso.  Comincio a carburare. Osservo le pareti della stanza e me stesso, il me stesso che sempre più frequentemente si chiede la mattina per quale motivo si debba alzare dal  letto ..ed oggi più che mai. Sono trascorsi tre giorni da quando mi hanno svaligiato casa portandosi via l’unica cosa rubabile che avevo: il mio cappotto in cuoio. Armando ha cercato notizie ed è giunto alla conclusione che deve essere stato qualcuno di fuori zona, non crede che potrà fare qualcosa. Ho molta fame, ma non ho in tasca una lira, meglio avrei fatto a restarmene a letto. Oggi il bar dove ho il conto aperto è chiuso, Ivan chissà dove sta ..forse proprio dentro al bar a smaltire la sua Sambuca. L’unica cosa che posso fare è uscire e sedermi sui gradini della fontana a leggere il libro che ho comprato ieri con gli ultimi soldi che avevo trovato in tasca e chiedendomi se fosse più saggio tenerli per la spesa o comprarmi un libro ..mi ero detto “Compro il libro! ..Domani si vedrà” ..ebbene, si vedrà. Annusare l’odore di stampa e colla mi piace.

Passa Robertino, mi vede e, quasi implorante, mi chiede se sono disposto a fargli compagnia per pranzo ..si sente solo. Dal tono della voce capisco che è a terra ..deve avere qualche problema con la donna, non la moglie, l’altra. ..e questo mi da la possibilità di fare un poco il prezioso, di non denunciare il mio stato di estrema difficoltà. Faccio finta di non aver fame ..poi accetto, ma dovrò contenermi a tavola per non sputtanarmi.

È come pensavo: Robertino ha scoperto che il suo giovane amore è “a rota” e non sa cosa fare. Non vuole mettere in mezzo assistenti sociali che poi si trascinerebbero dietro anche la polizia con tutte le conseguenze. Non può neppure esercitare su di lei un controllo continuo, come farebbe a giustificare le sue assenze da casa alla moglie? Non può minacciarla che la lascia se lei non smette, sa bene che quelle che udirebbe sarebbero false promesse. Penso un attimo e poi trovo due soluzioni. La prima potrebbe essere che la minacci che se lei non smette inizierà a bucarsi anche lui e che così, insieme, andranno in contro alla catastrofe totale, ..potrebbe essere che la ragazza per evitare a lui la sua stessa sofferenza smetta. L’altra strada percorribile è quella di non soddisfare il suo auto-commiseramento e incitarla a farsi sempre di più sino a schiattare. Un discorso molto semplice: tu sei cosciente di dove stai andando di questo passo ..devi decidere tu e puoi farlo in qualsiasi istante, ma devi essere coerente, o smetti ..o porti al massimo il tutto sino alle estreme conseguenze ..io non posso fare nulla, sta a te. Mi alzo dal tavolo rifocillato e con in corpo un miscuglio incredibile di alcool. Prima che io mi allontani Robertino mi dice che opterà per la seconda ipotesi, è quella che lo convince di più e gli sembra anche più onesta.

Oh come odio l’umanità! Mi trovo su di un autobus circondato da passeggeri viscidi che puzzano d’uomo in maniera ignobile. A stento trattengo i conati di vomito che salgono dallo stomaco e dopo solo due fermate scendo. Aria pura. Niente umanità. È molto meglio fare un poco di strada a piedi che dover essere toccati, strusciati, da persone sconosciute che ti pressano da ogni lato.

A passi lunghi attraverso il ponte e vado a sbattere proprio contro lei, l’oggetto dei miei sogni:  Mi fa ciao ciao con la mano, ma non si ferma e scompare subito lasciandomi completamente di merda. Avrei voluto fermarla, parlare con lei e trovare un poco di carburante per la mia immaginazione, ma niente! Per tirarmi su di corda entro nel primo bar che incontro. Li dentro, appoggiato al bancone c’è un ragazzo di colore, ubriaco, che cerca di convincere il cameriere a versargli un ulteriore bicchiere di cognac italiano o almeno una birra.  Il cameriere sa bene che se lo accontenta quello non uscirà più dal locale e cerca mille scuse assurde per non versargli da bere, afferma anche di aver finito tutto. Entra un tizio vestito elegantemente..

-mi dia una Coca Cola ..per favore

Il cameriere senza un motivo che possa apparire spiegabile va al frigo e prende meccanicamente una birra, lo sguardo dell’ubriaco s’illumina, il cameriere si rende conto di aver fatto una sovrapposizione di ordinazioni e quando torna al bancone la apre e versa la birra nel bicchiere che è davanti l’acchittato, quello guarda perplesso, sembra preoccupato, ma il cameriere lo tranquillizza.

-Non si preoccupi ..costa lo stesso prezzo della Coca Cola

L’ acchittato, più preoccupato che tranquillizzato si guarda attorno ..osserva noi tre che lo stiamo a guardare interrogativi a nostra volta  ..beve in silenzio, più che bere ingoia d’un fiato tutto quindi paga in tutta fretta ed esce di corsa.

Salgo le scale facendo i gradini quattro a quattro, ma quando giungo all’ultimo piano, davanti alla porta del mio appartamento, mi si presenta uno scenario da catastrofe: li, davanti ai miei occhi c’è la mia dirimpettaia, la signora Simonetti, in dolce e affabile colloquio con l’esattore della luce. Non solo non ho soldi da dare per la bolletta, il che sarebbe il minimo, ma in bella mostra, appena aperta la porta, c’è il contatore bloccato con la pellicola. Cosa prevedibile la signora Simonetti e l’esattore mi stanno osservando  ..che fare? Improvvisamente l’illuminazione: busso alla mia porta ..e poi dopo un po’ esclamo ad alta voce: “ma qui non c’è mai nessuno! ..eh che roba!” e ridiscendo le scale sotto gli occhi di una allibita signora  Simonetti che, sicuramente avrà finalmente trovato conferma a ciò che ha sempre dubitato in malcelato modo: “il mio vicino è un pazzo”. Poi mi fermo al piano sottostante per sentire se la mia vera identità viene svelata ..per fortuna no, la Simonetti è troppo presa a finire all’annoiato esattore il racconto di quella volta che sua nuora… Bene! Farò quattro passi in attesa che il campo sia libero e mi dia modo di rientrare.

 

Verso le 21 telefona Sergio. È appena tornato dagli States  ed ha voglia di vedermi. Ci diamo appuntamento al bar della piazza per le 22, naturalmente lui arriva alle  23,15. Non è stato un problema aspettarlo, ho avuto tempo di bermi qualcosa e scambiare quattro chiacchiere con Armandino sull’andamento dei turisti e le macchine di grossa cilindrata straniere, quelle con il portabagagli ben fornito. Anche il turismo si è impoverito ..non si fanno più gli affari di una volta! Sergio ha indosso un pastrano color grigio che gli arriva alle caviglie dandogli un aspetto da profugo. In silenzio ci spingiamo per i vicoli del 13 rione. Passiamo davanti il rinomato ristorante “La Parolaccia” ..dove i turisti di tutto il mondo e su “saggio consiglio” delle agenzie vengono a farsi insultare dai camerieri a caro prezzo. Gli appellativi “stronzo”, “puttana” e “frocio”, cui seguono le compiaciute risate degli avventori lisciati, sono i più gentili. Dopo una rapida discesa arriviamo alla piazzetta esagonale dove c’è la birreria traguardo della nostra camminata. È piccola e pidocchiosa. Qui di giorno vengono a mangiare e bere birra i ragazzi che si allenano nella palestra di karatè che sta di fronte, sicuramente il loro maestro non è un giapponese ..ricordo che il mio maestro di karatè, un giapponese dall’aspetto piccolo e spigoloso, non avrebbe mai consentito una cosa simile e ce lo avrebbe fatto capire a suon di botte sul katami. Sino a qualche mese fa venivo spesso la sera in questo locale color cioccolato: servizio celere, la birra non malvagia, si trovava sempre posto e il prezzo di un piatto freddo era solo 2000 lire.  La voce di tale paradiso si deve essere sparsa ..fatichiamo un poco a trovare posto a sedere.

Guardo attorno, capisco anche che il cambiamento ha avuto ripercussioni sulla qualità del servizio: non solo i camerieri sono meno solerti, ma i piatti si sono dimezzati nella quantità. Sergio beve due lunghe sorsate di birra, poi, dopo essersi asciugato la bocca con la manica del pastrano, inizia a parlare, io, con i baffi bianchi di schiuma, lo sto ad ascoltare e, come un idiota, sogno praterie e tramonti texani. La sua voce funge da colonna sonora alle mie visioni.

-C’è sempre un tramonto per i cow boys che corrono- dice Sergio.

-Andiamoci a bere qualcosa di forte ..propongo io.

Ci alziamo e risaliamo per i vicoli sino ad un bar un poco fuori mano dal solito giro, conosciuto non tanto per se stesso, ma perché davanti a lui c’è la farmacia più vecchia di Roma. ..grande, tutta in legno con i contenitori in ceramica azzurra in bella mostra sulle scaffalature. Seduti al tavolino sulla strada ordiniamo due whisky e ci mettiamo ad osservare il mondo davanti a noi. Anche qui è cambiato tutto: niente più freakkettoni, solo gente normale e studenti in pari con gli esami. Sono scomparsi anche i graffiti sui tavoli che raccontavano storie. Tutto è diventato asettico, il bar è diventato asettico ..l’aria è asettica, ..anche il wisky ha un sapore asettico, sembra un medicinale.

-Siamo gli ultimi cow boys – dico.

-Comunque è il tramonto l’ora più bella nel west – aggiunge Sergio alzandosi e sparendo nel nulla.

Rimasto solo, seduto su di uno sgabello di plastica nel saloon che non c’è, mi guardo le mani che cercano qualcosa da afferrare nel vuoto. Bevo altri whisky. Si fanno le 5.

Sulla porta di casa dilatando le narici aspiro profondamente l’aria della mattina, apro la porta e mi sperdo nei miei ricordi.

di Melog

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