La Fine

Racconto breve di Giuseppe Cetorelli

La sveglia suonò alle 4.30. Si destò di soprassalto come sempre, le coperte proiettate in alto ricaddero pesanti sul vecchio materasso. Corse in bagno, si stropicciò gli occhi pieni di cispa, guardò il suo viso allo specchio.

Era giovane lei, una ragazza di 28 anni. Alta e bruna, gli occhi sempre mobili e brillanti aveva una gran fretta, nonostante l’alzataccia. Il lavoro da cameriera non la soddisfaceva ma si impegnava molto, aveva ereditato dal papà operaio la cultura della fatica. Per nulla al mondo avrebbe mancato ai suoi doveri. Smise di aver premura, lavò il suo corpo con precisione, non si preoccupava dell’orario sarebbe arrivata puntuale come sempre. Il viso, poi le braccia, la schiena, il collo, le gambe, nulla fu risparmiato dall’acqua. La divisa era appoggiata sullo schienale di una sedia, nelle insenature della coperta disfatta trovava riparo un gatto, raccolto tutto bagnato qualche giorno prima, vicino ad una malinconica grondaia.

L’alba si avvicinava quasi rabbiosa, i primi bagliori illuminarono la camera. Lei pensava “che magnifica giornata, dopo il turno chiamo a casa e poi di corsa al parco”. Le piaceva correre e sentire il vento sulle gote. Ripeteva “nessuno mi pettina come il vento”. Una cosa semplice in fondo ma così bella e libera. Non sistemò l’appartamento, lasciò tutto sossopra e aprì l’uscio. Si era vestita in un baleno ed era perfetta. Scese di corsa le scale, gli ultimi gradini furono saltati di slancio. Sul pianerottolo incontrò un uomo con un ghigno stampato sul volto e immerso in chissà quali pensieri, se ne stava ritto e immobile, come qualcuno che desidera stare solo con la propria risata. Vide il sole, l’accecava ed invadeva le strade, le riempiva come l’acqua in canali obbligati. Prese la svolta del palazzo, poi più niente.

Solo dolore, calore, rumore di ossa spezzate, denti, braccia altrui, volti coperti, grida, tramestio. Rimase alcuni minuti a terra, non sentiva dolore, solo un leggero ottundimento dei sensi. Il suo sangue colorava l’asfalto, non riusciva a muoversi. Sentiva le sue membra attaccate ma era come se appartenessero ad un altro corpo. Prona, avvertiva un leggero fluido rigarle il collo. Vampate di fuoco la invadevano. Una sirena di lontano, stava per addormentarsi, perdere i sensi. Si sentì sollevare di peso, “signorina! signorina! Mi guardi, ricorda cosa le è accaduto?”. “Non chiuda gli occhi!! Stia qui! Cosa c’è! Lei non riusciva più a far nulla, le sembrava di respirare il proprio sangue, stremata. “Mi dispiace, è che mi hanno ammazzato”.

di Giuseppe Cetorelli

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