Kanun: “women who become men”

Un antico fenomeno sociale disciplinato dal diritto tradizionale del Kanun: il diritto della donna di proclamarsi uomo

In Albania ci sono (o meglio, c’erano) donne che diventano uomini. Non sono omosessuali che seguono “a culturally informed response to a biological imperative, but –honorary men- revered as heads of household” (“Women who become men. Albanian sworn virgins”, Antonia Young. Berg ed., Uk 2001).  Il loro nome albanese è  “burrneshe”

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Come già avevo anticipato nel post precedente, mi sono incuriosita quando sono venuta a sapere di alcune usanze che prendono corpo in Albania, e che fanno capo ad un vecchio codice millenario, il “Kanun“.

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Nel Kanun la famiglia rappresenta il nucleo centrale della struttura organizzativa sociale del popolo albanese. La famiglia è considerata l’elemento indispensabile per garantire la sopravvivenza degli albanesi e dell’identità nazionale. Come recita il Kanun: «La famiglia è un insieme di individui che vivono sotto lo stesso tetto con lo scopo di moltiplicarsi per mezzo del matrimonio e svilupparsi fisicamente e spiritualmente» (secondo libro, art.9, coma 18).

Il capofamiglia è simbolo di equilibrio e di saggezza e tutti i familiari ne riconoscono la superiorità.

 

La posizione che il Kanun assegnava alla donna era di assoluta subalternità rispetto agli uomini nella famiglia come nella società.

Nel diritto consuetudinario del Kanun, la donna albanese, una volta sposata, non entra a far parte della nuova famiglia ma resta sempre parte integrante della sua famiglia originaria e quindi viene vista come una sorta di “corpo estraneo” per la nuova famiglia, a differenza del ‘diritto romano’ in cui la donna sposata perdeva qualsiasi contatto con la famiglia di provenienza per unirsi al nuovo gruppo familiare. Semplicemente la donna passava dal potere del padre al potere del marito che comunque la considerava come qualcosa di avulso dal proprio nucleo familiare pur disponendone a suo piacimento (bastonandola o ripudiandola semplicemente tagliandone una ciocca di capelli o addirittura uccidendola). Così descritta la condizione femminile quando era in vigore il Kanun sembra addirittura peggiore alla condizione femminile di Paesi in cui vige la Sharia o altri codici.

Inoltre, con il matrimonio, il padre della sposa consegnava, insieme al corredo pattuito, un proiettile, come simbolo del potere assoluto che si riconosceva al futuro marito. Quest’ultimo avrebbe potuto persino uccidere la propria moglie in caso di tradimento grave, di adulterio e di mancato rispetto dell’ospite, senza per questo incorrere nella vendetta della famiglia di lei. Era ammesso nel Kanun anche il matrimonio «con la prova»: il marito prendeva la donna in casa con sé per un anno e se la donna durante questo periodo non portava a buon fine una gravidanza, il matrimonio era da considerarsi sciolto. Il marito avrebbe potuto tenere la donna con sé per pietà, ma riacquistava il diritto di risposarsi.

 

Nel Kanun si riconosceva anche un particolare diritto alla donna, cioè quello di proclamarsi uomo.

Nella società patriarcale dei remoti villaggi di montagna del nord dell’Albania, se gli uomini della famiglia muoiono e la famiglia rimane senza un erede maschio si ha un modo tutto particolare per “ricreareun erede. Una ragazza, o dei suoi parenti , possono dichiarare che lei è diventato un “maschio“. Da allora, lei (ora diventato un lui) potrà vestirsi come un uomo, eseguire le attività maschili e intrattenere relazioni, come un maschio, con gli uomini. Egli sarà il capo della famiglia, organizzarerà la divisione del lavoro e della ricchezza, gli sarà permesso di portare un’arma e difendere l’onore della famiglia nelle faide. Questa trasformazione avviene nel corso di una cerimonia, dagli effetti irrevocabili, di fronte ai 12 anziani del villaggio, la donna dichiara di essere vergine e di praticare l’astinenza, ottiene così abiti e nome maschili, ma soprattutto i diritti e il rispetto riservato agli uomini.

Si fa riferimento a queste donne come le cosiddette «vergini albanesi».

 

La vergine nel Kanun nacque, dunque, da un bisogno sociale, ma anche personale. Diventare una “vergine giurata” offre una possibilità ad una ragazza che desidera sfuggire a un matrimonio combinato, senza disonorare la famiglia dell’uomo per lei scelto come marito. Il fenomeno non fa nulla per minare il patriarcato, ma permette alle donne, altrimenti confinate ad un ruolo del tutto subordinato, una vita più libera, anche se una libertà menomata, dunque una parvenza di libertà.

 

Sull’origine di questo fenomeno si continua tuttora a discutere. Di recente alcuni l’hanno sottoposto a un’ottica molto moderna vedendo in questo fenomeno un modo di manifestare l’omosessualità, fatto che l’antropologa Antonia Young ha completamente rigettato dato che in una società estremamente maschilista come quella voluta dal Kanun l’omosessualità era un tabù indiscutibile, mentre l’omosessualità femminile non risulta sia mai stata presa in considerazione. Tra l’altro vi è da considerare che la sessualità di queste donne era del tutto repressa e non faceva in alcun modo parte del loro nuovo status.

Nel suo libro “Women who become men“, Antonia Young aveva valutato questo fenomeno come quasi estinto però aveva anche previsto un suo risveglio in Kosovo, come conseguenza delle crisi degli anni ’90. Ad ogni modo i forti cambiamenti sociali che hanno interessato le zone più remote dell’Albania e del Kosovo, e soprattutto le forti tendenze migratorie verso le grandi città pare che facciano cessare i motivi che rendevano utile la conversione in uomini. Tutte le Virgjinat sono ora delle donne anziane, che sono parte di un antico fenomeno eccezionale.

 

Katia Valentini

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> Prima parte: “Kanun: la vendetta di sangue

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