James Blake (+ Is Tropical, Scott Matthew…) @Vasto Siren Fest -07/2015

Ultima serata al fulmicotone... fino al commovente set di James Blake

Sono stato anche alla seconda serata del vasto Siren Fest e solo due giorni dopo circa, riesco a parlarne, per via delle forze che il Festival mi ha tolto e delle immediate partenze. Dopo la sbornia Sun kill Moon, Verdena, Clark e Hopkins, vissuta il giorno prima e da me descritta sempre qui su UkiZero, ero impaziente di gustarmi i fuochi d’artificio finali. L’altra mattina, mi alzo verso le undici, né troppo tardi né troppo presto, mi adeguo alle esigenze del beb in cui alloggio. Scendo di casa e subito mi reco in piazza del popolo ad assistere a qualche sound check. Mangio qualcosa, pizza e un cuoppo di frittura di pesce. Il pomeriggio incontro Jon Hopkins e in un inglese scorretto gli dico «Best set last night!» e lui risponde «Ye, of course!»; poi gli chiedo di farsi una foto e lui acconsente senza problemi. Le ore passano molto veloci, torno al beb verso le sette, il tempo di una doccia e sono subito ai Giardini d’Avalos per Scott Matthew.

Bellissima la situazione intima che viene a crearsi, la tragica voce dell’australiano tocca il cuore di tutti: c’è il tempo per le emozioni e il tempo per l’ironia mai lasciata al caso e sempre melanconica. Matthew si esibisce nella splendida cornice dei Giardini d’Avalos, al tramonto; indossa una mise personalissima ma soprattutto un paio di calzini arancione con strisce nere, tirati fin quasi al ginocchio, che danno subito l’idea della personalità dell’artista australiano. Matthew, mentre sorseggia Cerasuolo rosso, suona gran parte del nuovo disco, “This Here Defeat“, e coverizza molti pezzi come “Dance With Somebody” di Whitney Houston, “No Surprises” dei Radiohead e “Anarchy in the Uk” dei Sex Pistols, esibendo la sua idea di ‘punk’. A fine concerto vado ad acquistare il suo disco di cover e ad abbracciarlo.

 

Dopo Scott Matthew, mi soffermo per pochi istanti a vedere, sul palco principale di piazza del popolo, i Pastels ma decido di glissare e mi avvio verso Porta San Pietro, dove Indian Wells, sull’abside dell’antica chiesa di San Pietro, dà la comunione elettronica ai più giovani.

A questo punto, non mi resta che ascoltare gli Is Tropical e James Blake.

 

Gli Is Tropical, a Palazzo d’Avalos, fanno i pazzi. Sono forse tecnicamente non eccelsi, ma riescono a mettere d’accordo tutti: si balla, si fa i cazzoni, tanto che Kristie Fleck, frontman figa del gruppo, sulle note di “Dancing Anymore” si butta fra la folla, scatenando gli ormoni dei maschi presenti (e non solo). I londinesi chiudono con “Seasick Mutily“, Kristie si toglie la maglietta restando in reggiseno e tutti sono contenti.

 

A questo punto la folla si sposta in massa al palco principale, James Blake sta per iniziare, è l’headliner del Festival, non può steccare e tutti sanno che non lo farà. Blake è investito da un’aura messianica, la sua voce sembra originarsi dalle viscere del corpo. È un ragazzo pacato, tranquillo che, però, può smuovere mille mondi. L’inglese attacca con “Hope She’ll Be Happier” cover di Bill Withers, lanciandosi poi, nei pezzi più classici, come “Limit To Your Love” fino alla quasi ballabile “Life Round Here“. Blake si esibisce in un set commovente, che tocca il cuore e le menti dei presenti. Eccezionale quando distorce un live così impostato, infilandoci il pezzo “200 Press” del suo ultimo Ep. Chiude con “Measurements“, brano finale del suo disco d’esordio. James saluta, la gente si inchina, io incontro, ancora una volta, Luca Ferrari in giro per la piazza e mi parla di quanto sia bello il mare, il sole, la musica, e penso che forse oggi c’è una speranza anche per l’Italia.

Domenico Porfido

 

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